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Sartano - Il paese dove resistono ancora "I casi i mattunazzi" (case di terra)

Su una collina circondata da ulivi, fichi e vigneti, sorge il paese di Sartano (Calabria), paese antico e ricco di tradizioni, che custodisce ancora adesso quasi intatte "i casi i mattunazzi", le case di creta e paglia, dette anche case di terra.

Dall'anno mille in avanti, l'abitato di Sartano era costituito principalmente da casette basse costruite con mattoni crudi di creta e pagli detti "mattunazzi", che non raggiungevano i due metri e settanta di altezza nella parte superiore.

 

Viviamo in un'epoca dove parlare di fede significa confrontarsi con molti aspetti della nostra società. L'esasperazione dell'individualismo crea forti insofferenze nelle nuove generazioni e raccontare di un libro excursus su contenuti teologici e spirituali è davvero una piacevole novità. Due fratelli, la fede e la modernità del vivere attraverso i media e i nuovi mezzi di comunicazione incuriosiscono e attirano verso un nuovo panorama dove tutti possono attingere energia e incoraggiamento.

La presenza degli Armeni in Calabria è databile tra il V ed il IX secolo d.C. I segni del loro passaggio sono evidenti tra Bruzzano con resti di un castello ROCCA ARMENIA, Brancaleone con le chiese rupestri con pavoni e croce armene incise, Staiti con croci dislocate nel territorio; chiese rupestri in grotte dove sono evidenti delle croci e pavoni incisi di stile armeno. In tutto il territorio allargato tra Bova e Bovalino i toponimi e gli stessi cognomi ricordano la loro presenza. Armeno, Armeni e Trebisonda, sono sicuramente nomi che ricordano provenienza.

Nel silenzio della natura lo scorrere dell’acqua sembra dire: ciao, mi chiamo FIUME, di nome CHIESE, ti va di fare una passeggiata con me?
Senza batter ciglio lo seguo in silenzio e ascolto la sua voce.

Sono nato dal massiccio dell’Adamello, ho raccolto la mia linfa vitale dai perenni ghiacciai che piano piano mi hanno nutrito e dato la forza per correre veloce e a tratti profondo per 160 km.
I Miei tutori sono la Val Di Fumo e la Valle di Daone.

Papa Francesco ha indetto l’Anno di San Giuseppe, dall’8 dicembre 2020 all’8 dicembre 2021.
Centocinquant’anni fa Pio IX, l’8 dicembre 1870, il giorno dell’Immacolata Concezione, con il Decreto Quemadmodum Deus (“nella stessa maniera che Dio”), aveva solennemente dichiarato Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica nello stesso modo in cui Dio aveva costituito quel Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, soprintendente di tutta la terra d’Egitto, per assicurare il frumento al popolo, allo stesso modo, quando stava per inviare sulla terra il suo Figlio Unigenito Salvatore del mondo, scelse un altro Giuseppe e lo elesse custode dei suoi maggiori tesori: Gesù e Maria.

In molti centri del Sud Italia, dal giorno successivo al Carnevale e per tutto il periodo quaresimale, è ancora possibile imbattersi in delle rudimentali bamboline di stoffa, esposte alle finestre o sospese a un filo steso da una casa all’altra che una volta servivano a scandire il trascorrere del tempo che precede la Pasqua.
Con una ritualità che resiste ai cambiamenti della società, le bambole Quaresima sono riconducibili ad un unico oggetto tradizionale ma presentano peculiarità, caratteristiche e nomi diversi a seconda dei luoghi: in Abruzzo, Molise e Puglia il termine più comune è Quarantane; in Calabria è molto diffuso Corajisime o Quarajisime, in Campania vengono chiamate Quaravesime o Caraesime.

 

“Il giro delle botti, dei catoj e delle carretterie” è un percorso enogastronomico che riporta il visitatore indietro nel tempo snodandosi tra antiche viuzze, per l’appunto le “carretterie”, (strade, ai tempi, percorse dai famosi carrettini siciliani) o da “stritturi” (viuzze molto strette) del borgo di Monforte San Giorgio in provincia di Messina, che potranno essere esplorate assaporando una storia che parla di amore verso la terra e di tradizioni siciliane da preservare.


Una manifestazione, nata forse per puro caso, da un semplice gesto, un atto conviviale, dove alcuni amici in piazza, una sera per San Martino, decisero di fare il giro delle botti di ognuno per assaggiarne il vino accompagnandolo, perché no, con un po’ di pane, del salame, del formaggio o di quello che ognuno aveva in casa. Da qui l’idea di creare una manifestazione che potesse far provare la stessa emozione a più persone, le quali così hanno modo, stando assieme, di sorseggiare un po’ di vino appena spillato e gustare i sapori locali in compagnia ballando qualche tarantella al suono di canti e musiche tradizionali.


È ormai un immancabile appuntamento autunnale nel panorama delle sagre siciliane. Si tiene a novembre nel comune, appunto, di Monforte San Giorgio in provincia di Messina ed è organizzato dal “Gruppo Katabba” dello stesso centro peloritano che con le sue iniziative intende dare una giusta visibilità e rivalutazione al patrimonio materiale e immateriale della cittadina. Nel 1919 il “giro” è giunto alla sua decima edizione. Purtroppo causa pandemia COVID-19 l’anno scorso la festa non si è potuta organizzare.
Monforte San Giorgio è un antico borgo di impostazione arabo-medievale, con le sue stradine strette, con i suoi angusti passaggi cui, in alcuni, si transita solamente uno per volta, le numerose scale con alzate a volte sostenute e i suoi spazi intermedi con piccoli cortili interni.


L’evento si svolge, oltre che con l’organizzazione del “Gruppo Katabba” e dell’Amministrazione Comunale, anche con l’impegno di tutti gli abitanti del luogo che riescono ad animare la manifestazione e a renderla un qualcosa di emozionante e di allegorico. Una manifestazione capace di attirare migliaia e migliaia di visitatori da tutto l’hinterland e oltre, riunendo cultura contadina, tradizione che affonda le sue radici in tempi lontani, prodotti d’eccellenza locali e voglia di stare insieme in spensieratezza. Turisti siciliani ma non solo, che vanno alla scoperta del borgo della campagna messinese.


È sicuramente un weekend dai profumi antichi, attraverso le tipiche “stritturi” (strettoie) che caratterizzano il borgo, “i vaneddi” (piccole stradelle), “i ghiani” (piccoli cortili interni) e “i catoj” (ristrette abitazioni scavate nella pietra), e i vari parmenti (palmenti), molti ormai in disuso. Un itinerario percorribile esclusivamente a piedi, tutti insieme festosamente alla scoperta della piccola cittadina. Una manifestazione dove lanciarsi in balli tradizionali o chiacchierare con gli abitanti del luogo, simpatici e disponibili a rivelare aneddoti personali che riguardano non solo i piatti che offrono, ma anche la storia di quei luoghi antichi o le tradizioni dei mestieri tramandati dai loro padri, come “’u pananaru”, l’arte rurale dell’intreccio dei vimini. Arte ormai in estinzione! L’architettura di quelle case antiche riserva continue sorprese. È possibile, infatti, vedere ancora strutture ormai in disuso, ma ancora resistenti e perfettamente funzionali: archi a sesto ribassato, a botte o a crociera. Come pure è possibile, nelle varie cantine disseminate lungo il percorso, vedere delle botti dalle dimensioni eccezionali costruite all’interno di esse.
È un evento senza dubbio che catapulta il partecipante indietro nel tempo, il quale viene allietato nel suo percorso dalle tradizionali musiche di suonatori di ciaramedde (zampogne), friscaretti (zufoli), fisarmoniche e tamburello e dalle tipiche cantate siciliane.


All’ingresso della manifestazione, viene consegnata, al costo di 10 euro, una sacca con all’interno un calice che il visitatore potrà utilizzare per sorseggiare i vini che troverà lungo il percorso. Trenta postazioni di degustazione, dove poter trascorrere dei momenti di assoluta prelibatezza, accompagnati dalle esibizioni di cantastorie, stornellanti, gruppi folcloristici e “friscalettari”, all’insegna della più sentita tradizione. I visitatori hanno quindi la possibilità di assaggiare a ogni tappa pietanze semplici, ma tipiche del luogo legate ai prodotti autunnali: le schiacciate, i pomodori secchi sott’olio, la classica pasta e fagioli, o anche pietanze a base di “cucuzza longa” (zucchina lunga) che i monfortesi cucinano alla “ghiotta” e dolci. Dolci di tutti i tipi: crostate, torte. Tutti piatti della cultura umile delle tavole dei contadini. Naturalmente non possono mancare: la mostarda e gli spinci (sfincie o zeppole) con l’uvetta passa. Il tutto annaffiato da buon vino appena spillato dalle botti proprio davanti all’avventore.
Immersi in questo connubio di sapori, musiche, colori e suoni, è inevitabile portare a casa un’esperienza unica.

 

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