Colors: Green Color

 

di Maria Pellino

Vorrei presentarvi un importante esempio di villaggio operaio sorto nel 1877, fondato da Cristoforo Benigno Crespi divenuto dal 1995 Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Tale sito è Crespi d'Adda, frazione del comune di Capriate San Gervasio in provincia di Bergamo, rimasto integro negli anni e il suo stato di conservazione è il migliore tra tutti gli altri siti esistenti al mondo. Lo stabilimento è stato funzionante fino al 2003 e tutt'oggi il villaggio è abitato nel pieno rispetto delle norme ambientaliste e di quelle stabilite dall'Unesco.

 

di Giovanni Macrì

È la tradizione che si fonde con la religione!

Ogni anno, il Venerdì Santo, si rinnova a Barcellona e a Pozzo di Gotto (un’unica cittadina nel messinese, per l’appunto “Barcellona pozzo di gotto”, ma con proprie tradizioni) la doppia processione delle “Varette” o “Barette”. Queste, a tarda sera, intorno alle ore 21,00, si incontrano sull’ampia via urbana che copre il “torrente Longano”, creando un momento cruciale di comunione sociale atto a indicare l’unità dei due centri urbanistici in solo Comune.

Proprio per le sue tradizionali peculiarità questa doppia processione è stata recentemente iscritta nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia (Gazzetta Ufficiale della Sicilia del 9 maggio 2014, pp. 38-44).

Barcellona e Pozzo di gotto, due nuclei abitativi originariamente separati dal torrente Longano, anche se oggi riuniti in unica cittadina, con un “Real Decreto”, per concorde intesa dei rispettivi “Collegi decurionali” sin dal 1835, hanno fatto sì che in questa realtà, per l’appunto Barcellona Pozzo di gotto, in provincia di Messina, si sviluppassero due processioni che confluiscono, caso unico al mondo, in un’unica sfilata con ben ventisei “varette”, tredici per parte, costituite da sculture ispirate a opere d’arte barocca e rinascimentale.

Un evento sicuramente esclusivo e singolare che rispecchia le antiche tradizioni e la devozione degli stessi abitanti. Le “varette”, oggi su ruote, vengono trasportate per tutte le vie cittadine. Mentre cantori chiamati “Visillanti”, al dietro di queste, in coro intonano l’antico canto polivocale del “Vexilla Regis”, testo scritto dal poeta latino Venanzio Fortunato (530 – 600 d.C.). Ai quali peraltro, come vuole la tradizione, per schiarirne la voce, durante la processione, si propinano sarde salate accompagnate da buon vino.

Le due processioni hanno effettivamente origini ben diverse.
Quella di Pozzo di Gotto, con chiari riferimenti alla tradizione spagnola, risale al 1621 (la “vara” dell’Ecce Homo è datata, infatti, in quest’anno). Naturalmente, all’origine, la processione aveva un numero ridotto di “vare”. Di certo non contava le tredici che oggi si annoverano. Alcune di queste sono custodite, durante tutto l’anno, nel Duomo di “Santa Maria Assunta”, e dove confluiscono per la partenza anche quelle custodite in altre chiese o magazzini. Vengono il Venerdì mattino sobriamente addobbate con fiori e luci o con solo con candele. Ogni “varetta” è, infatti, rappresentata da una famiglia che fa a gara con le altre per chi ha quella più adornata. Spesso sono gli stessi discendenti di coloro che l’hanno fatta realizzare in origine, oppure è rappresentata da una confraternita o da un gruppo di artigiani o commercianti o addirittura da un quartiere, che provvedono a tutto, dalla custodia all’addobbo floreale e al trasporto. 

Le “vare”o “bare” sfilano in questo ordine: Ultima cena, Cristo nell’orto, Cristo alla colonna, Ecce Homo, Cristo porta croce, Incontro con le pie donne, Cristo caduto sotto la croce , Cristo spogliato dalle vesti, Cristo in croce, Pietà, I simboli della Passione (la più recente… 1981), Urna col Cristo morto, chiude la vara dell’Addolorata

L’Urna col Cristo morto viene silenziosamente scortata dai cosiddetti “Giudei” in numero di 12 guidati da un “capo”. In realtà comuni cittadini che rappresentano gli antichi soldati romani con in testa il caratteristico elmo sormontato da penne di pavone, simbolo della consacrazione della Chiesa e della Resurrezione. La processione si chiude con un baldacchino sotto cui il sacerdote, con a lato i chierichetti, reca la reliquia della Croce, custodita in un ostensorio. Infine la Banda musicale di Pozzo di gotto accompagna il tutto. 

Le “varette” di Barcellona invece muovono dalla cattedrale di San Giovanni, dove si radunano anche quelle provenienti da altre chiese e magazzini. L’origine di questa seconda processione risale alla metà del Settecento (le “vare” del Crocefisso e dell’Addolorata, risalgono, infatti, al 1754), anno in cui l’allora Chiesa di San Giovanni fu ingrandita acquisendo l’assetto architettonico attuale. Le “vare” procedono secondo quest’ordine: Ultima cena, Cristo nell'orto, Pretorio di Pilato (la più recente…1980), Cristo alla colonna, Ecce Homo, Cristo porta croce, Incontro con la Veronica, Crocefisso, Discesa dalla croce, Pietà, Cristo portato al sepolcro, Urna col Cristo morto. Chiude la vara dell’Addolorata. Anche qui l’Urna del Cristo morto è accompagnata da 12 “Giudei” guidati dal “capo”, però senza le penne di pavone, ma con un semplice elmo con pennacchio. La processione si conclude anche qui con il sacerdote sotto un baldacchino recante la reliquia della Croce e infine la banda musicale. 

A conclusione della serata a tutti coloro che hanno partecipato al trasporto delle “varette” e al canto della “visilla” viene offerta una cena a base di “ghiotta di pesce stocco”, innaffiata sempre da buon vino.
Ogni anno quasi tutto il popolo barcellonese e quello pozzogottese, ma anche tanta gente venuta da fuori per seguire la caratteristica processione, si riunisce al seguito delle “varette” per celebrare questo giorno e vivere un momento di sana comunità e di fede. 

 

 

di Franca Amono

APRIGLIANO (Cosenza) - Nel corso degli anni molte cose cambiano in meglio, o in peggio, sia nel quotidiano che in altri campi specifici, quali la religione, la scuola, lo sport, la politica, i rapporti sociali.
Anche per quanto riguarda le tradizioni e i riti della Settimana Santa, molte cose son cambiate da quando ero una bambina. A volte rimpiango quei tempi, legati ad usi e costumi ormai archiviati.
Ad Aprigliano c’era un prete in ogni frazione, ora ce n’è uno solo per tutto il Paese. E già questo fa capire il cambiamento!
Noi a Grupa avevamo il nostro bravissimo don Leopoldo Zicarelli, che è stato per tutti i Grupesi non solo un ottimo sacerdote, ma un amico e un compagno di viaggio.

La Quaresima era considerata un vero e proprio periodo di penitenza e di mortificazione del corpo. Ci si asteneva dal mangiare carne, si osservava il digiuno e si rinunciava ai dolci e ai divertimenti. Se dopo il Carnevale rimanevano delle polpette, o altri alimenti proibiti, si riponevano in dei panieri che si appendevano ad un chiodo fissato su una delle travi del soffitto, e lì rimanevano per tutti i quaranta giorni della Quaresima. Si pregava sia in chiesa, durante la Via Crucis, che a casa.
E dato che Gesù doveva trovare tutti con il cuore e l’animo sgombro di malizia e di peccati, si cercava di evitarne le occasioni per quanto possibile.
Verso gli ultimi giorni di Quaresima nelle famiglie si iniziavano le grandi pulizie di Pasqua : Gesù avrebbe dovuto trovare anche le case linde e pulite.

La Domenica delle Palme era attesissima da tutti…
Le persone adulte si procuravano grandi rami d’ulivo per portali in chiesa sia per adornare l’altare, sia per farli benedire dal prete per poi portarseli a casa e metterli sulla testata del letto, o nei campi per propiziare buoni raccolti. I bambini ricevevano dalle comari di battesimo ‘a “parma”, fatta con canne intrecciate in modo da formare una specie di globo o alberello tondeggiante, si decorava con carta velina di vari colori e si attaccavano ai rametti tanti dolciumi tradizionali. Le palme d’ulivo e le “parme” decorate venivano portate in chiesa: le prime erano simbolo di pace e di accoglienza, le seconde erano simbolo di abbondanza. 

 

 

Bisognava ricordare Gesù che entrava in Gerusalemme trionfante.
Il sacerdote, dopo una breve processione nelle vicinanze della chiesa, benediva l’ulivo e le parme, poi celebrava i riti religiosi.
Si leggeva prima il Passio, e veniva celebrata la Santa Messa.
Le mamme ci avvertivano che la Messa delle Palme era lunga…
Dicevano così in dialetto:
-‘A ruminica ‘e re Parme,Missa longa e pranzu curtu!
A Pasqua, Missa curta e pranzu luongo!

Le mamme per la domenica delle Palme usavano fare i “ginetti”,dolci fatti con tuorli d’uovo e farina, poi addolciti con glassa bianchissima preparata con albumi montati a neve e zucchero a velo ed un po’ di limone, o anice. 

 

 

La Settimana Santa nel mio paese era vissuta con grande partecipazione.
Il nostro prete spesso faceva venire dei Padri Passionisti per le prediche
del triduo pasquale. Ricordo che a quei tempi il predicatore saliva sul pulpito perché tutti i fedeli potessero vederlo e ascoltarlo.
Un anno venne a Grupa un certo Padre Giovan Maria di una bravura eccezionale. Durante la predica del venerdì Santo eravamo tutti così commossi che piangevamo calde lacrime. Fu così per tanti anni. Questi bravi Padri riuscirono a far breccia nel cuore di alcuni ragazzi della Frazione Grupa, che li seguirono nei loro conventi per diventare anch’essi dei missionari….Peccato che nel corso degli anni, cambiarono idea e tornarono a casa per proseguire gli studi a Cosenza.
Già all’inizio della Quaresima in molte famiglie venivano messi a germogliare in un piatto dei semi di grano, o di lenticchie, o di ceci o altro, al buio così non si sarebbe formata la clorofilla per cui le piantine venivano su di un colore che variava dal giallo tenue al giallo intenso.

Il mercoledì Santo si abbelliva ‘u lavuriellu (così erano chiamate queste piantine) con fiori, nastrini colorati e si portava in chiesa per deporlo davanti al sontuoso Sepolcro, allestito dai giovani del paese con coperte di damasco e veli. Quando il sepolcro veniva disfatto, ognuno ritirava il proprio “lavuriellu” per riportarselo a casa. E tutti sarebbero stati protetti da ogni disgrazia.
Un po’ si metteva in mezzo al grano per propiziare un buon raccolto. 

 

 

Il Giovedì Santo nel pomeriggio si andava in chiesa, per l’attesa funzione dell’ultima cena.
Dodici giovani del paese, fungendo d’Apostoli, si sedevano intorno ad una tavola apparecchiata con dodici “tortani”. Il sacerdote lavava loro i piedi e in segno di umiltà glieli baciava ,poi dava loro un tortano benedetto.
Si procedeva con la funzione religiosa, e poi ci si organizzava a vegliare davanti al Sepolcro, dove era stato reposto il Santissimo Sacramento.
Durante la veglia si ricordava la notte trascorsa da Gesù nell’Orto degli Ulivi; si cantavano lamenti e canzoni molto toccanti.

Il Venerdì Santo in segno di lutto per la morte di Gesù anche le campane erano mute e il loro suono veniva sostituito da quello delle “trocchite”, rudimentali strumenti di legno molto particolari che emettevano un suono continuo e sempre uguale.
Girando una semplice manovella alcune asticine di legno, larghe due o tre centimetri, collegate ad un rullo, battevano rumorosamente sulla cassa provocando il caratteristico suono, come di raganelle. I ragazzi del mio paese se le facevano costruire dai falegnami del luogo e andavano in giro per le strade ad avvisare i fedeli, che accorrevano numerosi in chiesa per le funzioni del venerdì.
Dopo una breve funzione religiosa, durante la quale si leggevano pagine della Sacra Scrittura che raccontavano la dolorosa Passione di Nostro Signore, e l’adorazione del legno della Croce, partiva la processione con il Crocifisso e la Madonna Addolorata.
In testa alla processione c’erano le “verginelle”, ragazze in abito bianco (quello della prima Comunione) che portavano: il calice e i simboli della Crocefissione (i chiodi ,la corona di spine, la lancia, la spugna).
Durante la processione per le strade della propria frazione venivano cantate da donne con i capelli sciolti e vestite di nero, canzoni molto tristi, come la seguente:

Ciancia, ciancia Maria, povera donna
ca lu tuo Figliu è jiutu a ‘nna culonna,
nun l’aspettare si a casa nun torna,
ch’è cunnannatu re Pilatu e donne”.
Se parta scunzulata la Maronna
ppe lu jire a truvare a r’ancuna banna
mo vari e lu trova a nna culonna
li vrazza ‘ncruce, le mani a lla canna.
“Tu statti, Mamma mia,’nsinu ca muoru
E dopu muortu lassame e vatinne”.
“Cumu hajiu re fare io,figliu re oru,
lassare a ttie e minni jire,
c’avia ‘nu figliu ‘e trentetrì anni
curuna ‘e oru re la capu mia”.

IL Sabato Santo verso le undici del mattino si suonavano a gloria le campane, annunciando la Resurrezione di Cristo. Le mamme prendevano in braccio i figli più piccoli e li facevano dondolare a testa in giù
(‘e pennuliavanu).
Si sperava che il Signore li facesse crescere in altezza e in bontà.
I ragazzi più grandicelli se avevano la possibilità, magari se c’era un orto vicino, salivano su di un albero d’ulivo e si facevano dondolare anch’essi a testa in giù, aggrappandosi con le gambe ad un robusto ramo.
Poi si andava in chiesa e il prete benediva l’acqua, il fuoco ed il cero pasquale.

La Domenica di Pasqua, dopo aver partecipato alla Santa Messa Solenne, tutti a casa per consumare il pranzo pasquale che comprendeva la pasta al sugo con la carne di agnello o capretto, carne di capretto al forno con patate silane, polpette di carne, frutta e dolci tradizionali, come “i cuculi”, i tortani dolci con le uova intere, infilate ai bordi e trattenute da striscioline fatte con lo stesso impasto dei tortani.
Gli uomini alzavano un po’ il gomito, bevendo l’ottimo vino dei nostri vigneti; si suonava, si cantava e si ballava.
Insomma, si era contenti come …una pasqua!

Il lunedì dell’Angelo si usava trascorrerlo in campagna per la famosa scampagnata, detta da noi ‘a frittata, insieme a parenti e amici, che si davano da fare per portare ciascuno qualcosa da mangiare. Non mancavano ovviamente le frittate con uova, salsiccia, caciocavallo, le uova di cioccolato, vera delizia dei bambini, che facevano a gara ad accaparrarsi la sorpresa. Si era tanto tanto felici senza aver grandi pretese.

Considerazioni finali
Ora, come già detto prima, molte cose sono cambiate, ma quel che è peggio, è cambiato il nostro approccio con parenti e amici.
Non siamo più persone sincere e affettuose come una volta…la malizia, l’invidia, la gelosia sono sentimenti comuni, che minano alla radice i rapporti sociali e ci fanno sentire tutti più soli e tristi.
A peggiorare la situazione già difficile ci ha pensato il coronavirus…
E’ il secondo anno che, per colpa della pandemia da Covid-19 siamo costretti a stare in casa per evitare contagi. Pertanto, almeno per ora la Pasqua non la potremo festeggiare in compagnia, come vorremmo, almeno con i parenti più stretti.
Che il Signore ci protegga e allontani dall’Umanità questa brutta piaga, che sta decimando la popolazione in ogni parte del mondo.
L’augurio che faccio a tutti è che possiamo ritornare a vivere una vita ricca di buoni sentimenti: fratellanza, rispetto reciproco, amore, compassione.

Buona Rinascita in Cristo Gesù e Buona Pasqua a tutti!

 

 

di Giovanni Macrì

Il cosiddetto “Ballo dei diavoli” (in siciliano: “l’abballu di li Diavuli”) fa parte di una tradizione folcloristico-religiosa connessa alle manifestazioni pasquali del comune di Prizzi, un antico borgo medievale, uno stretto dedalo di viuzze in provincia di Palermo. Lo smeraldo dei monti Sicani situato a oltre 1000 metri di altezza dal livello del mare, una località in grado di mostrare ancora oggi l’essenza della Sicilia antica. 

Notizie