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La meravigliosa Sacra di San Michele o Abbazia, è un complesso architettonico arroccato sul monte Pirchirano, nel cuore della val di Susa, vicino Torino. Visse il suo massimo splendore storico dal XII al XV secolo come centro principale della spiritualità benedettina in Italia. Quello che in genere attrae e incuriosisce è l’ aria di mistero, di pace e di spiritualità che infonde nel visitatore che la contempla e soprattutto il fatto che l’Abbazia è spesso associata a termini quali: esoterismo, misteri e leggende incredibili. Non a caso il suo scenario monastico ha ispirato Umberto Eco per l’elaborazione del suo famoso libro: “Il nome della rosa”. Ed è proprio su questi aspetti che focalizzerò la mia attenzione nel descrivervi e nel parlarvi di questo posto meraviglioso, che consiglio a tutti di visitare.
Perché un luogo misterioso?
Quali miti e leggende nasconde l‘Abbazia?
Il primo e irrisolto mistero, riguarda la data di costruzione dell 'Abbazia. Nessuno sa di preciso quando sia stata eretta. La leggenda narra che nel secolo X, l’allora vescovo di Ravenna, San Giovanni Vincenzo, arrivato in Piemonte, per condurre una vita da eremita, decise di costruire un’Abbazia sul monte Caprasio. Ma, iniziati, i lavori non riuscivano ad andare avanti per un evento singolare: ogni mattina il materiale per la costruzione dell’Abbazia, spariva. Insospettito, il vescovo rimase sveglio tutta la notte e scopri che i ladri del materiale erano due Angeli che lo portavano sul monte Pirchirano. Interpretando tale evento come segno divino, lo stesso vescovo decise di far costruire l'Eremo sul monte Pirchirano.
Il secondo mistero riguarda la cosiddetta “linea Michelita”, lunga 2000 km, che unisce 7 importanti luoghi di culto dall’Irlanda a Israele, Gran Bretagna, Francia, Piemonte, Puglia e Grecia. La cosa straordinaria è che tale linea è perfettamente allineata e collega i più importanti centri di culto dedicati all’arcangelo Michele. 

 

Viene spontaneo chiedersi perché proprio S. Michele. Perché secondo la leggenda è proprio San Michele a cacciare il demonio all’inferno con un colpo di spada la cui traiettoria avrebbe dato origine a questa “energetica “linea immaginaria, proveniente dal centro della terra. Questo punto energetico si troverebbe sotto una piccola piastrella, all’ingresso del Santuario, e si distingue, in quanto di colore più chiaro rispetto alle altre. Ma, attenzione... non bisogna sostare più di 7 minuti... perché?
Il terzo punto riguarda la leggenda della bella Alda, la fanciulla che recatasi in Abbazia per pregare, per sfuggire all’aggressione di soldati mercenari, preferì lanciarsi dalla torre del monastero, rimanendo miracolosamente illesa, a quanto pare, perché salvata da due angeli. Raccontato l’accaduto, ovviamente nessuno le credette e convinta che gli Angeli l’avrebbero nuovamente presa tra le loro braccia, la bella Alda rifece il gesto, ma questa volta, ahimè, non si salvò! Oltre a ciò, all’ interno dell’Abbazia si trovano numerosi simboli esoterici, individuabili già sul Portale dello Zodiaco dove si possono osservare costellazioni, soggetti biblici, donne che allattano serpenti, busti umani con code di pesce, ecc., ognuno con significati esoterici ben precisi.
La Sacra di San Michele è, e rimarrà sempre una delle Abbazie più suggestive d’ Europa. Un luogo ameno dove la spiritualità, che le vette su cui si erge infondono in coloro che riescono ad elevarsi a tale grado, provocano una sensazione di estraneazione dal mondo e di contatto con il divino, spiritualità assoluta verso l’infinito.
Tutto ciò che cos’è?
Un altro mistero? 

 

 

 

di Alessandro Porri

Roma, si sa, ha una infinità di gioielli nascosti, sconosciuti anche agli stessi romani, ma qui non stiamo parlando di una lapide, una statua, una fontana ma di un castello inglobato nella arzigogolata e spesso confusa architettura di questa favolosa città troppo spesso violentata da piani regolatori indiscriminati e abusivismi senza scrupoli.

UN PO' DI STORIA...
Il complesso, come lo vediamo oggi, è il risultato di diverse epoche costruttive accompagnate da numerose modifiche. C'è un periodo romano bel riconoscibile nel basamento della torre principale e nelle mura, mura che inglobano al loro interno materiali riciclati da altri edifici del periodo, probabilmente recuperati dalla vicina via Ardeatina, troppo spesso depredata nei secoli ed usata come vera e propria cava a cielo aperto. Sono evidenziabili poi altre parti che ci riportano dal periodo medioevale al periodo barocco fino ad arrivare alle ultime modifiche risalenti al XIX secolo.
L'edificio è cresciuto attorno a due ampie corti delimitate dal casale, dalla torre e dalle aggiunte ottocentesche. Di estremo pregio è una chiesetta che affaccia sulla corte più esterna, (cappella di Paolo V) la facciata, ornata da elementi barocchi e le decorazioni neoclassiche interne ne fanno un vero gioiello.

L'imponente torre, alta oltre 40 metri, vero elemento di punta della struttura, ci permette di osservare sul medesimo manufatto i diversi periodi e le relative tecniche di costruzione. La base è romana, gli speroni di rinforzo medievali in un misto costituito da tufo e selce. La parte centrale che si eleva è medioevale, i tufelli sono tipici del XIII secolo e le imbotti delle finestre hanno cornici in marmo bianco di chiaro riuso romano. La parte più alta, probabilmente aggiunta tra il XVIII e il XIX secolo, è costituita da massi in tufo ben squadrati che si allargano a formare delle mensole in peperino ispirate verosimilmente alla torre del Mangia di Siena. Sopra a tutto trova accoglienza una cisterna inglobata in mattoni giallastri risalente al 1891. La data della costruzione della cisterna è ricavabile da alcune ceramiche murate nello spazio sopra le porte più alte. Tutta la struttura un tempo si presentava circondata da imponenti mura di cui alcuni merli sono ancora ben visibili, si alternavano sulle stesse delle torrette di vedetta conservate in parte a rendere il tutto un sistema difensivo davvero imponente rapportato alle dimensioni del castello.


La prima testimonianza dell'esistenza del maniero risale ad una bolla del 1217 di Onorio III Savelli, in cui viene riportato il nome “Cicomola”, bolla che ne attribuisce la proprietà al monastero di Sant’Alessio sull’Aventino. Il termine Cicomola nel tempo si trasformerà in Cicognola e dal XVI sec. muterà nell’attuale toponimo di Cecchignola. Nel 1458 la tenuta fu acquistata dal cardinale Bessarione che qualche anno dopo, nel 1467, sottoscriveva un testamento a favore della cappella di Sant’Eugenio nella basilica dei Dodici Apostoli di Roma. Dopo la morte del cardinale, il castello fu venduto quasi immediatamente alla famiglia Margani che lo gestì per oltre cento anni. Negli anni a venire divenne proprietà di alcune delle famiglie più importanti di Roma, tra tutte spiccarono i Barberini ed i Caffarelli Borghese. Fu proprio grazie alla famiglia Borghese che agli inizi del '600 vennero realizzati importanti restauri che salvarono la struttura dall'incuria sempre maggiore. Lavori imponenti trasformarono letteralmente la zona, opere di bonifica, creazione di un grande parco con addirittura la creazine di una peschiera. Dopo decine di anni in cui il castello non aveva subito più opere di restauro e conservazione proprio in questo ultimo periodo, al termine di un intenso lavoro durato tre anni, il castello della Cecchignola è stato riportato agli antichi splendori mantenendone inalterate le caratteristiche che lo avevano "forgiato" in questo modo così particolare.

 LA BIBLIOTECA


Dal 2006 il castello ospita una bellissima biblioteca di storia dell'arte, specializzata in materiali lapidei, composta oggi da oltre 5000 volumi. L'ingresso è consentito esclusivamente a studiosi e ricercatori del settore. Purtroppo, come per altri luoghi della cultura, in questo momento, a causa dell'emergenza corona virus, l'ingresso al pubblico non è permesso è possibile però la consultazione on line dei cataloghi per effettuare ricerche bibliografiche. Sono previste visite guidate al castello su prenotazione con un piccolo contributo di soli 5 euro, anche queste però sono giustamente soggette ai rigidi protocolli di sicurezza.

È notizia recente che il castello sia stato messo di nuovo in vendita, quale sarà il futuro di questo gioiello che sembra non trovare pace? La speranza è che i nuovi proprietari continuino a mantenere questo "libro di storia" come un luogo della cultura aperto al pubblico e non ne facciano un mero affare economico residenziale.

 

 

Ci sono castelli e castelli! Queste strutture grandiose, nate con lo scopo di fortificare e difendere cittadini e popolazioni tra il IX e il X secolo, nel tempo hanno lasciato traccia della loro imponenza donandoci, oggi, scenari suggestivi che scatenano la fantasia e spesso ci rendono partecipi di fenomeni anomali, misteri e anche apparizioni.
A tal proposito vorrei consigliarvi una visita notturna al castello visconteo di Trezzo sull'Adda (Milano) situato a nord del promontorio a formare un'ansa dell'Adda.
Il castello fu edificato intorno al 1160 da Barbarossa, da sempre conteso sul suolo milanese dapprima tra Federico Barbarossa e la città di Milano e poi tra i Visconti e i Torriani. 


Nel 1360 Bernabo' Visconti ricostruì sui resti dell'antica fortificazione ed oggi rimangono intatti la torre alta 42 metri, con pietra a forma di diamante incastonata senza malta, il pozzo dove si narra che Bernabò gettasse le fanciulle dopo aver passato la notte con loro, e i sotterranei, grotte scavate direttamente nella roccia e che sono in corrispondenza del fiume Adda.
Il castello ha suscitato l'interesse del Crop, (Centro di ricerca sul paranormale) che ha avviato studi relativi alla presenza di alcuni cori di voci che sembrano allietare le notti brave del castello e ad alcuni fenomeni di trasudamento rosso delle pareti dei sotterranei, così come la curiosa presenza di una sagoma antropomorfa su una foto scattata nel 2004 risultata non contraffatta.
Invito chiunque a calarsi in questo immaginario fantastico per vivere emozioni forti e, perché no, da brividi!

 

 

di Annamaria Emilia Verre

COSENZA - Cittadina dal fascino inconfondibile per bellezze naturali e tesori d’arte: RENDE.
E’ situata a 476 metri dal livello del mare e conta, ad oggi, 35.671 abitanti.
Ricca di storia e di cultura, Rende si estende lungo il corso occidentale del fiume Crati, fino alle Serre Cosentine, innalzandosi sulle colline, dove erge maestosamente la sua parte antica, fino a scendere a valle dove si estende, su vaste aree pianeggianti, la città moderna, sede dell’ Università della Calabria : l’UNICAL, uno dei più grandi Atenei d’Italia. Per effetto e a seguito del DPR 11 Marzo 2016,  Il Comune di Rende ha diritto, nei suoi atti ufficiali, di fregiarsi del titolo di città.

CENNI STORICI:

Le origini di Rende sono avvolte da diverse leggende. Dionisio di Alicarnasso narra che intorno all’ VIII Sec. a. C due, degli oltre cinquanta figli di Licaone, re degli Arcadi, Enotrio e Paucezio ,scontenti della loro eredità, abbandonarono il regno, accompagnati dalla loro sorella di nome Arintha, donna di ineguagliabile bellezza. Peucezio approdò sulla costa adriatica dell’Italia e diede alla terra che l’accolse il nome di Peucezia (attuale Puglia); Enotrio, insieme alla sorella, si spinse oltre ,navigando il mare, successivamente denominato Tirreno, precisamente nella zona dell’odierna San Lucido, per poi salire le montagne e approdare nella località attualmente nota come “Guardìula” (odierna Nogiano). A questa nuova conquista Enotrio diede il nome di “Aruntia”, poi successivamente chiamata “Arintha” in memoria della splendida sorella che, disgraziatamente, vi trovò la morte. Il corpo dell’austera regina venne rivestito di ornamenti di argento e oro ,e seppellito, con il suo tesoro, in una profonda caverna scavata nella vicina collina. Tale località, tramandata nel tempo col titolo di “Timpa di Arintha” (Tomba di Arintha), fu venerata dai discendenti di quel popolo, i quali presero il nome di Arinthani e poi Renditani, per successive modificazioni del toponimo. Altra leggenda vuole, invece, che i fratelli erano tre Vergiglio (al quale è dedicata una via nel centro storico) Enotrio e Paucezio, i quali, essendo in fuga, accompagnati dalla sorella Arintha, sbarcarono a San Lucido dall’alto Ionio e raggiunsero a piedi il borgo. Arintha, sfinita, arrivata ai pressi della “Guardiulìa” morì. A lei, attualmente, sono state dedicate alcune vie come “Via BellaArintha” meglio conosciuta come “Paramuru” nel centro storico (la tradizione vuole che,successivamente, per questa via si fermò anche San Francesco da Paola. Il Santo come era solito fare benedisse questo luogo). Al di là della leggenda, sono certe le origini enotrie della primitiva “Aruntia,” difatti della sua opulenza ne parlò ,nel ‘600, anche Ecateo da Mileto, nonché altri storici come Stabone, Lesbico, Bisanzio, solo per citarne alcuni. De Amato la ricorda così “Arintha, nun vulgo (Renda)dicta, Oenotrorum oppi dum, inter Emolam et Surdum amnes sublimi locatum. Terra undequaquae faecunda in suis oleribus, frugibusque(…).
Ebbe una lunga evoluzione storica che passò dal periodo dell’Impero Romano alle dominazioni Bizantine, Longobarde e Saracene, fino al periodo Normanno, Svevo, Angioino e Aragonese. Ognuno di queste culture lasciò nel territorio una loro impronta. Fu coinvolta dalle idee liberali della Rivoluzione Francese, fino a giungere poi, alla proclamazione del Regno d’Italia.
Tra l’800 e il ‘900 si presenta come un’area prevalentemente agricola - artigianale. Si producevano: grano, olive, fichi (i quali ad oggi alimentano un fiorente mercato del prodotto lavorato), i gelsi per la lavorazione della seta, i c.d. “setaiuli rennitani”, la quale seta, poi, veniva tessuta, con paziente lavoro, al telaio; la produzione e coltivazione del tabacco da parte del barone Giorgelli, torinese, trapiantato a Rende nei primi anni del ‘900; la lavorazione dell’argilla che ha fornito per anni la materia prima ai c.d. “Pignatari” coloro i quali lavoravano la ceramica. Rende era sede, anche, di una enorme fiera agricola, durande l’ultima decade di agosto, nella frazione Santo Stefano (allora di proprietà della famiglia patrizia dei Magdalone) nella quale si commerciavano animali come mucche, buoi, cavalli, asini, suini , ecc. Successivamente nascono le prime industrie come “La Liquirizia Zagarese”, otto fabbriche di laterizi, industrie del legno. Oggi, si può dire, che sempre più importante sta diventando il Parco industriale di Rende che raggruppa diverse aziende operanti in vari settori e ubicate nella zona industriale.
Originariamente tutto si svolgeva nella parte antica della città la quale era caratterizzata da diversi negozi, c.d.“botteghe” ,come la “Piccola standina”, gestite per lo più da gente del luogo. Negli anni ottanta e novanta, le amministrazioni comunali spostarono tutto a valle costruendo nuove piazze, parchi, musei e Chiese, trasformandola in una città moderna, caratterizzata dalle sue meravigliose aree verdi e, dal dicembre del 2011, sede del Municipio, in Parco Rossini, accanto alla Cattedrale di San Carlo Borromeo. Oggi Rende vanta un notevole piano regolatore e un terziario avanzato. La nascita dell’UNICAL rappresentò un ulteriore punto di forza e di sviluppo del territorio. La protettrice della città è L’Immacolata Concezione, si festeggia il 20 febbraio. Nell’occasione, tutta la comunità si riunisce sotto i festeggiamenti che culminano con la consegna delle Chiavi da parte del primo cittadino alla Santa Patrona, la cui figura è simbolo della salvezza della città e dei suoi abitanti dai forti terremoti avvenuti il 17 luglio 1767 ,il 12 febbraio 1854 e il 20 febbraio 1980. 

RENDE OGGI:

Città nobilissima per memorie millenarie, il Centro Storico di Rende oggi è divenuto un pittoresco Borgo Antico, propriamente detto “Borgo dei Musei”, un vero e proprio punto di attrazione culturale. Offre al visitatore, assieme ai suoi edifici monumentali pieni d’arte e di storia, numerose altre testimonianze artistiche che ricordano il suo passato e costituiscono una interessante e concreta documentazione. Da vedere: Museo Civico ospitato nel Palazzo Zagarese, impreziosito da diversi capolavori d’arte in prevalenza meridionale, dal ‘500 al ‘700. Nasce originariamente nel 1980 come museo del Folklore e successivamente fu arricchito da una bellissima pinacoteca dedicata ad Achille Capizzano con opere dello stesso e di altri artisti locali come Mattia Preti, Pascaletti ,Santanna, ma anche di altri grandi pittori del ‘900 come De Chirico, Guttuso, Balla, Carrà, Greco, Levi, Sironi e Viani. Nel Palazzo Zagarese vi è anche un laboratorio di liuteria; Museo Dell’Arti dell’Otto Novecento (MAON) ubicato nel settecentesco Palazzo Vitari. Museo d’Arte Contemporanea “Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona” collocato nel Castello. Museo di ceramica a Palazzo Bucarelli. Cinema Santa Chiara primo cinema della provincia di Cosenza. Castello Normanno detto “Gigante di Pietra” :imponente e altero spicca sulla collina del Vaglio. Fu fondato nel 1095 per ordine di Boemondo d’Altavilla. Le tre torri rappresentano lo stemma del Comune , probabilmente la loro prima comparsa come gonfalone comunale avvenne nel 1222 per l’inaugurazione del Duomo di Cosenza alla presenza di Federico II di Svevia. Tutt’ora nel Castello è possibile ammirare due stemmi araldici appartenenti a due famiglie succedutosi nella proprietà del castello: i Magdalone e gli Alarçon de Mendoza. Di fronte, in alto, è visibile lo stemma comunale, con sotto l’iscrizione: Urbs celebris, quondam sedes regalis, Arintha (Celebre città. Antica sede reale, Arintha). Il Castello, di proprietà del Comune dal 1922, è stato sede del Municipio fino al 2011. La tradizione vuole che il maniero fosse un tempo il luogo prescelto per i torbidi amori di una marchesa, si pensa appartenente alla famiglia dei Mendoza, la quale, dopo aver giaciuto con il bel giovanotto, oggetto delle sue brame, provvedeva di persona a disfarsene: prendendolo per mano ne guidava i passi verso un punto della stanza nel cui pavimento si trovava uno sportello ribaltabile e non appena il malcapitato vi metteva sopra il piede lo faceva precipitare in un buio e profondo pozzo. Di lei si narra ancora che durante le sue cavalcate, sulle terre laddove il cavallo si fermasse, divenissero di sua proprietà.
Rende, il cui sentimento religioso ha radici profonde,soprattutto dedita al culto mariano, è ricca di numerosi edifici sacri pieni di oggetti d’arte e di fede. Solo nel centro storico si possono ammirare : La Chiesa Matrice Parrocchiale di Santa Maria Maggiore (Duomo), Il Santuario di Costantinopoli, La Chiesa del Ritiro già Abazia di San Michele Arcangelo, La Chiesa del Rosario, Chiesa Dell’ Assunta comunemente conosciuta come “Riticieddru” , Chiesa di Maria SS della Neve, Chiesa della SS. Vergine della Pietà, Chiesa di Santa Lucia e Sant’Ippolito meglio conosciuta come “A chiesa i San Giuvanni” per la presenza di una bellissima Statua rappresentante San Giovanni Battista , Chiesa di San Francesco di Assisi o di Santa Maria delle Grazie già conventuale dei Minori Francescani Osservanti (oggi Convento delle Clarisse), Chiesa di Sant’Antonio Abate. Nelle contrade non molto distanti si possono ammirare La Chiesa si San Francesco da Paola, La Chiesa di San Rocco (C.da Rocchi), La Chiesa di Maria SS. Di Monserrato (Quattromiglia), La Chiesa di Maria SS. Della Consolazione (Santo Stefano e di Arcavacata). Edifici di struttura più moderna Il Santuario della Beata Vergine di Lourdes, La Chiesa di Sant’Agostino, La Chiesa di Sant’Antonio da Padova (Commenda), La Chiesa di San Giovanni Battista (Commenda), La Cattedrale di San Carlo Borromeo. Ancora nel centro storico risaltano interessanti dimore patrizie, rifatte nel secolo scorso, orgoglio e vanto di prestigiose casate, culle di personaggi famosi ch’ebbero un ruolo determinante negli avvenimenti della storia locale: i Magdalone, i Pastore, i Perugini, gli Zagaresi, tutti più o meno del ‘500 ,che conservano intatti molti portali scolpiti e balconate in ferro battuto. La centrale “Piazza degli Eroi” meglio nota come “U Seggiu”, i suoi vicoli particolarmente stretti e le arcate d’accesso. Lasciata alle spalle la parte più antica del Comune, si scende verso valle, ove si distende la città nuova. Ci si trova a spaziare in un contesto urbano molto diverso dal precedente col quale si pone un marcato contrasto tra una parte antica e una moderna. Si può ammirare Il Museo del Presente con il Belvedere delle arti e delle scienze, la “Sala Tokio” “il laboratorio dei pensieri” e internet cafè. Il “Metropolis” primo centro commerciale della Calabria, i diversi parchi tra cui il Parco Robinson, Parco Rossini, il Parco fluviale Emoli, le sue diverse aree verdi. Rende è conosciuta come città degli artisti, dando i natali a famosi pittori, scultori, musicisti del passato ma anche attuali, orgoglio dei rendesi. Diverse sono le compagnie teatrali che rappresentano egregiamente il territorio. Ricca anche nell’arte culinaria, diverse sono le ricette “rennitane” che si possono deliziosamente assaggiare nei vari ristoranti locali: “lagani e ciciari “(tagliatelle senza uovo), “fischietti e patati a ra tieddra”, “pipi chjini”, “majatica”, “cuddrurieddri” e diversi i dolci tipici “scaliddri” “turdiddri”, “Nginetti”, “Cuddruri” e tanti altri. Rende presenta diversi eventi, sicuramente fra i più importanti rientra Settembre Rendese una prestigiosa rassegna di musica e cultura che vede la presenza di grandi nomi dello spettacolo. Vanta, inoltre, di una notevole squadra calcistica.
La città di Rende definita da molti benpensanti la “Molinella del Sud” lascia nel visitatore un profondo sentimento di meraviglia e di incanto, nonché la voglia di tornare.

Bibliografia: Rende: usanze, tradizioni, costumi. G.Giraldi 

Foto tratte dal web

 

 

Nell’entroterra siracusano, in Sicilia, inserita nello splendido scenario dei monti Iblei, nella Val di Noto, c’è la suggestiva cittadina di Palazzolo Acreide, di origini greche (dal greco “akrà”, sommità) e ricca di testimonianze di epoche diverse in cui decisamente ancora oggi si respira profumo di “barocco”. Inserita nel 2019 tra i borghi più belli d’Italia.
Santo protettore è San Sebastiano Martire, scelto dalla Chiesa come “depulsor pestis” (allontanatore di peste) e difensore della fede. Già dal 1414 anno in cui un miracoloso Simulacro del Santo approdò a Melilli (oggi libero consorzio comunale di Siracusa) il culto di S. Sebastiano si diffuse nell’area Iblea e in tutta la Sicilia. Subito a Palazzolo gli venne dedicata la Cappella presso l’antica Chiesa dell’Annunziata. La festa, che cade per la ricorrenza del 20 gennaio, si protrae fino al 27. Quindi la si replica il 10 agosto, andando a sostituire quella della Vergine Odigitria che era stata scelta come propiziatrice della buona stagione. Due celebrazioni vissute con la stessa grande venerazione, ma con un sfondo di pubblico, di spettacolarità e di folklore eccezionali con una grande risonanza che va sicuramente anche fuori dai confini locali. Otto giorni di festeggiamenti quindi a gennaio e addirittura dieci ad agosto (dal 7 al 17) che si susseguono con momenti rituali e tradizionali e momenti ricchi di iniziative più “moderne”. Tale celebrazione dal 2002 è inserita nella lista del R.E.I.L. (Registro delle Eredità Immateriali di Interesse Locale) dei “Patrimoni Mondiali dell’Umanità UNESCO”.
Un vortice di immagini, di suoni e di colori di epoche passate, accompagna un programma di tutto rispetto!
I momenti più toccanti e spettacolari sono tanti.
Già dai primi di agosto incominciano a fervere i preparativi per una festa dalle dimensioni davvero notevoli.
A partire dal 7 agosto si possono iniziare a visitare le varie mostre fotografiche e di artigianato locale allestite per la festa e si può assistere ad una serie di manifestazioni ad essa connesse come (l’8 agosto) la benedizione delle automobili e quindi “’a sirata â villa” – serale spettacolo musicale alla Villa comunale.
Il 9 è il giorno del giro di gala e della “svelata” (la rimozione del velo che copre) del secentesco Simulacro di San Sebastiano Martire, salutato dal popolo palazzolese, e anche non, acclamante. A seguire la celebrazione dei Vespri, la benedizione e l’immancabile “bacio” della Sacra Reliquia del Protettore della città Akrense.
Giorno 10 alle ore 8,15 si inizia con lo sparo di 21 colpi di cannone e la partenza del “carro del pane” accompagnato dalle bande musicali per la tradizionale raccolta delle cuddure votive (ciambelle di pane offerte al Santo ) ore 10,30, la benedizione di queste e dell’alloro (a ricordo del bosco di alloro sacro ad Adone, dove San Sebastiano, legato nudo a un albero, fu bersaglio delle frecce dei feroci arcieri della Mauritania).

 

 

Alle ore 13,00, momento clou di tutti i festeggiamenti, la suggestiva, maestosa e spettacolare “sciuta” (l’uscita) della Reliquia e del Simulacro del Santo. La piazza antistante la Cattedrale è gremita di devoti esultanti o di semplici turisti, provenienti da ogni parte della Sicilia e del mondo, giunti per ammirare questa meraviglia.

 

 

Annunciati dal suono a festa delle campane, i due artistici fercoli, sotto una pioggia multicolore di migliaia di “‘nzareddi” (piccole strisce di carta multicolori lunghe 2 m) vengono accompagnati da uno scroscio interminabile di fuochi d’artificio e dalle grida dei devoti che sommergono il simulacro, cui fa eco il suono delle bande e l’offerta di bambini nudi.

 

 

I due fercoli sorretti a “spadda nura” (sulla nuda spalla) dai portatori, vengono seguiti lungo le vie cittadine dalle devote del “viagghiu scausu” (viaggio a piedi scalzi) e dalla immensa folla dei fedeli. A seguire l’emozionante “catena umana” lungo la salita di via Fiumegrande. Alle ore 20,30 la processione serale e lo spettacolo musicale.
L’ultimo giorno, il 17 agosto, alle ore 20,30 c’è una nuova processione del Reliquario e del Simulacro di S. Sebastiano sulla sua “varicedda” (fercolo).
Per ultimo, una volta ritornato nella sua Cappella, la “velata” del Santo che resterà coperto fino al gennaio successivo.
Chiude la festa un fantasmagorico spettacolo piromusicale dalle dimensioni impensabili.

 

 

"La tradizione è una guida e non un carceriere".
(W. Somerset Maugham)

"Essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male"
E. De Filippo

Credo si debba scindere il significato letterale di tradizione con superstizione o ignoranza.
Nella tradizione risiede la storia, i valori ed i costumi di un popolo.
La superstizione è un rito ridondante che segue presupposti fittizi e soprannaturali, atteggiamenti irrazionali che hanno poco a che vedere con la cultura storica e tangibile di una collettività .
L’ignoranza credo sia circoscritta al grado di apprendimento o di capienza informativa e di conoscenza che un essere può acquisire. Ma questo è relativo all’individuo e non al suo costume.
Ho riscontrato, per esperienza personale, una chiusura intellettuale, stagnante, circoscritta non al costume ma al luogo. Un punto di partenza mai iniziato.
E a volte la parola tradizione veniva usata, come concetto educativo obsoleto. Un’educazione primordiale, da rispettare a scapito del buon senso e della libertà intellettuale.
Ergo non guide ma carcerieri.
Per paradosso ho riscontrato più evoluzione conoscitiva e pragmatica nelle persone più mature di età. Quelle persone che hanno tatuato nella loro pelle e scritto nella loro vita la storia.
Le incontro spesso tra i vicoli pregni di ciclamini o di mantiglie nei loro balconi.
Sono saggi, sono dei bambini saturi di esperienza, sono i nostri nonni.
Rappresentano l’ identità di un paese in provincia di Catanzaro. Costituiscono un bagaglio di esperienze, di valori in cui essi credono.
Sono dei bellissimi bauli da aprire e non da soffitte o sottotetti.
Andiamo ad aprirne uno..
Una lampada ad olio, un centrino, un vestito bianco in pizzo e, una strana bambola.
Sembra più che una bambola, un fantoccio vestito di nero, un calzino riempito di paglia e la gamba di un vecchio pantalone per l’abito.
Segue foto

 

 


Un pupazzo di stoffa: ‘a monacheda (la monachella).
Il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio della quaresima, tempo di penitenza e di conversione.
In Calabria gli avi appendevano ai balconi una rudimentale bambolina di stoffa vestita di nero ("monacheda"), raffigurante la Quaresima ("Corajsima"), moglie di Carnevale, rimasta vedova la notte di martedì grasso.
Entriamo nello specifico:
Corajsima era la moglie (in alcune versioni la sorella) di Re Carnevale il quale, grasso com'era, moriva il terzo giorno per aver mangiato troppo durante i festeggiamenti, lasciando sola e nella povertà la magra moglie, la quale veniva appesa ai balconi per tutto il periodo di Quaresima, per aspettare la Pasqua.
Carnevale deriva appunto dal latino carnem levare, “privarsi della carne”,
"levare la carne", Corajisima, che significa invece Quaresima, era un fantoccio che veniva appeso ai balconi per ricordare il digiuno dalla carne da attuare il mercoledì delle ceneri fino a Pasqua. A quell’epoca non esistevano i calendari, le 7 piume conficcate in una patata (o un'arancia) ai piedi della bambola servivano a tenere il conto delle 7 settimane della Quaresima , se ne sfilava una ogni domenica (alcuni la sfilavano il sabato) fino al giorno di Pasqua, giorno in cui finiva il digiuno e i cosiddetti fioretti. Nella mano reggeva fuso e conocchia, attrezzi usati negli antichi telai, per simboleggiare il "tessere" dei 40 giorni.
Segue Foto

 

 


Una remota tradizione, un fantoccio nato negli anni di totale povertà, veniva creato con materiali di riciclo, si usava un calzino bianco per creare il capo; i rimanenti ritagli di stoffa, con cui le donne cucivano i loro capi, li utilizzavano per rivestire la bambola.

 

 

 

 


Incuteva timore la corajisima?
In effetti devo ammettere che un po’ di batticuore nel vedere il risultato finale mi è sopraggiunto ma ogni tradizione nasconde in sé un proprio dogma.

 

 

 

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