di Rita Scelfo
Il 30 Luglio si ricorda a Palermo il processo e la condanna per veneficio e stregoneria di Giovanna Bonanno, conosciuta come La vecchia dell’aceto. Era il 30 Luglio del 1789 e i nobili cercavano di avere i primi posti a Piazza degli Ottangoli (oggi Quattro canti), dove si sistemavano le forche più alte della città e dove fu impiccata “La vecchia di l’acitu” (La vecchia dell’aceto). Studi sull’esoterismo affermano che l’anima della persona morta per cause innaturali vaghi di luogo in luogo per trovare la pace; il fantasma di questa donna, infatti, si racconta che giri per le strade della città nella notte del 30 Luglio.
Questa donna era una mendicante e visse a Palermo nel quartiere Zisa nel XVIII secolo ma, casualmente, la sua vita cambiò in meglio. Un giorno si trovava da un aromatario, quando entrò una signora con in braccio la sua bambina, gridando: “Mia figlia muore! Ha bevuto l’aceto dei pidocchi! Don Saverio la salvi!”. La bambina aveva, accidentalmente, bevuto l’aceto per pidocchi comprato in quel locale. L’aromatario le fece bere dell’olio finché la piccola vomitò e si salvò.
La Bonanno non era ignorante in quanto aveva ricevuto in dono tanti libri dalla nonna e così imparò a leggere; questo le fu da aiuto per imbrogliare e ingannare gli analfabeti e i superstiziosi. Subito capì che poteva sfruttare l’accaduto a suo favore e acquistò dell’ “aceto per pidocchi”, prese un cane randagio e gli fece mangiare un po' di pane inzuppato nella pozione; dopo alcuni giorni lo trovò morto. Dai libri che aveva letto, ricordava che si poteva capire la morte per avvelenamento dalla mucosa delle labbra che diventava nera e così fece. La esaminò, ma non successe nulla; si rese conto di possedere un veleno che non lasciava traccia.
Fece sapere che era in suo possesso un liquore capace di riportare la pace nelle famiglie e così aiutò le donne che volevano liberarsi del marito e dedicarsi totalmente all’ amante. Nel 1786 i medici non avevano grandi conoscenze e se il malcapitato marito aveva dolori lancinanti, non ne capivano l’origine; così la vecchia dell’aceto andava a riscuotere il denaro promessole, faceva una preghiera, diceva: “U Signuri ci pozza arrifriscari l’armicedda” (Il Signore possa rinfrescargli l’anima) e andava via. Aveva clienti del popolino ma anche della borghesia e della nobiltà che, anzi, pagavano bene la sua mistura.
Nel quartiere della Zisa si verificarono diverse morti improvvise ma una madre si insospettì per la morte improvvisa del figlio e per le subitanee nozze della nuora. La vecchia dell’aceto fu imprigionata al carcere dello Steri, processata e condannata per stregoneria il 30 Luglio e da allora si dice che la sua anima vaghi per le vie della città proprio la notte del 30 Luglio di ogni anno. Dagli atti giudiziari del suddetto processo, risulta che Giovanna Bonanno sposò nel 1744 Vincenzo Bonanno da cui prese il cognome.
Lo scrittore Luigi Natoli, prendendo spunto da questa storia, ha scritto il romanzo “La vecchia dell’ aceto” nel quale sono riportate alcune fasi del processo di Giovanna Bonanno l’avvelenatrice. Il romanzo è una perla della letteratura palermitana; Natoli tratta i vizi, le virtù della sua gente ripercorrendo la società di allora, una società intrigante, oscura, reale, una nobiltà” lussuriosa e peccaminosa, corrotta e corruttibile, incline al silenzio per celare scandali inconfessabili”; così leggiamo: “tra figli illegittimi, creature del peccato e della colpa, amori lussuriosi e travolgenti, mariti e amanti scomodi, si aggira Giovanna Bonanno, la vecchia dell’ aceto, pronta con il suo veleno a purificare le colpe, a risolvere gli intrighi, ad alleggerire gli animi, ergendosi, anche lei, a paladina di una sua personale giustizia divina”. Nel testo sono riportate, anche, alcune fasi del processo di Giovanna Bonanno l’avvelenatrice.