Colors: Blue Color

 

di Sergio Melchiorre

Ho sempre amato il cinema. Sono nato con la televisione, almeno dal punto di vista cronologico-temporale, anche se ho passato la maggior parte della mia infanzia senza televisore in casa. La mia passione è stata la «settima arte», mi sono sempre nutrito di celluloide e sono cresciuto nel mito dei personaggi del neorealismo italiano e dei lungometraggi sovietici. 

Ricordo di essere rimasto profondamente turbato dall’imprecazione del prete, dopo l’assassinio del partigiano, nel film “Roma Città Aperta” di Roberto Rossellini e dai visi scarni dei marinai de “La corazzata Potmëkin” di Sergej Ejzenštejn...

Oltre alla venerazione epocale dei registi del Neorealismo italiano, la mia generazione è vissuta nell’attesa spasmodica dell’uscita dei film dello scrittore-corsaro: “Accattone” (1961), “Mamma Roma” (1962), “La ricotta” (episodio del film Ro.Go.G.), “Il Vangelo secondo Matte HYPERLINK "https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Vangelo_secondo_Matteo"o” (1964), “Uccellacci e uccellini” (1966), “Edipo Re” (1967), “Che cosa sono le nuvole?” (1967-Episodio di Capriccio all’italiana), “Teorema” (1968), “Il porcile” (1969),” Medea” (1969).

Continuiamo ancora oggi, 46 anni dopo il suo assassinio, a leggere su alcuni giornali articoli che evidenziano ancora l’aspetto più “scandalistico” del suo carattere, quale per esempio la sua omosessualità. Si vuole, in qualche modo, ridimensionare il self-made-man, l’attore, il regista, lo scrittore, il drammaturgo, il glottologo, il cineasta, il poeta e il giornalista, per dare maggiore spazio al suo ruolo, seppur molto contraddittorio, di polemista, per dare poca importanza a quello di attento osservatore dei cambiamenti della società italiana.

 La pubblicazione di “Petrolio”, opera letteraria postuma che ha suscitato molte polemiche a causa della sua frammentarietà, dimostra la tesi che l’artista viene spesso schiacciato dal peso delle sue scelte di vita e, soprattutto, dal modo in cui è stato ucciso il 2 novembre 1975.

Alcuni critici parlarono di straordinarie profezie che vengono alla luce, dopo un’attenta lettura del capolavoro incompiuto…

Il giornalista Gianni Lannes ha scritto a tale proposito: «Di lui amo l’anima corsara e veggente. Nella profezia scritta nel 1972 del romanzo postumo Petrolio – che Garzanti non volle pubblicare e mandò in stampa poi l’Einaudi, Pasolini aveva annotato, ben 8 anni prima della strage di Bologna: «La bomba è fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri restano sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binari (…)». L’ordigno, infatti, viene piazzato nella sala d’attesa della stazione di Bologna. La strage viene descritta come una “visione”».

Pier Paolo Pasolini, intervistato dalla redattrice Luisella Re di Stampa Sera, il 9 gennaio 1975, rilasciò la seguente dichiarazione: «Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti sapere che è una specie di “summa” di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie».

Il romanzo fu pubblicato postumo da Einaudi nel 1992.

L’anatema che ha accompagnato lo “scrittore corsaro” per tutta la sua vita va oltre l’inimmaginabile e continuerà anche dopo la sua scomparsa.

A chi sarebbe venuto mai in mente di eseguire un servizio fotografico del suo corpo prima dell’autopsia?

Con “Salò o le centoventi giornate di Sodoma” (1975), tratto da un romanzo di D.A.F. De Sade, alcuni giornalisti arrivarono ad affermare che il lungometraggio, oltre ad essere la rappresentazione latente delle sue perversioni sessuali, preannunziava sia il suo testamento artistico che la sua morte violenta.

Il film fu proiettato in anteprima a Parigi, qualche settimana dopo il suo assassinio, e la critica accolse l’opera trionfalmente, anche se qualcuno avanzò l’ipotesi che tanto successo fosse dovuto più al susseguirsi degli eventi che non alla validità della pellicola.

Purtroppo, i suoi film più autentici come “Accattone” (1961), “Mamma Roma” (1962), “La ricotta” (1963), “Comizi d’amore” (1963-1964), “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) e “Porcile” (1968-1969), sembrano entrati inesorabilmente nel mondo dell’oblio…

 Soltanto “Uccellacci e Uccellini” (1965), forse grazie alla straordinaria interpretazione di Totò che vinse il “Nastro D’argento” (1967) come miglior attore protagonista, è riuscito a far sì che Pier Paolo Pasolini entrasse nella storia del cinema italiano e ne occupasse un posto di rilievo. Oggi, nel mondo della celluloide del nuovo millennio, si sente la mancanza di quel “regista scomodo” che riusciva a proiettare, sul grande schermo, «la lingua parlata della realtà» e che usava l’anticonformismo e la provocazione per stimolare la riflessione e debellare l’ipocrisia che, buona parte di noi, cova nel proprio modo di pensare.

Dopo i sopracitati film, che ottennero un discreto successo di pubblico, uscirono “Il Decameron” (1970-71), “I racconti di Canterbury” (1971-72) e “Il fiore delle mille e una notte” (1973-1974), che appartengono alla “trilogia della vita” e che vengono tutt’ora proposti al pubblico come se fossero hard-core e che sollevarono molte perplessità ad opera dei benpensanti e ricevettero diverse denunce.

Oggi, nella società coeva, in cui imperano ancora indisturbati la mafia, il voto di scambio, il malaffare, la corruzione politica, il populismo, il razzismo e tutti quei mali denunciati dai suoi romanzi, dai suoi articoli, dalle sue poesie e dai suoi film, sentiamo la mancanza di un intellettuale del calibro e dell’intelligenza dello scrittore-corsaro.

 

 

di Francesco Antonio Fagà

Buenos Aires – novembre 2005

L’effetto “jet lag” non mi fa dormire, dovrei farlo perché domani è un giorno di lavoro importante, tiro a testa o croce per decidere se devo rivestirmi ed uscire dal mio albergo per trovare i miei amici o restare tranquillo ed aspettare che il sonno prenda il sopravvento sul mio corpo stanco. 

 

di Arianna Di Presa

Nel presente articolo vorrei evidenziare l’ultima opera della nota pittrice Francesca Barnabei, scelta dal Critico d’arte Vittorio Sgarbi come Finalista al Premio da lui stesso diretto.

Un capolavoro oceanico che induce il fruitore in un abbracciato catartico tramandato dalla potenza dell’onda, capovolta e potente come il flusso dell’anima, il quale si addice variopinto e silenzioso tra ombre e luci decantate dalle acque meravigliate dal volo dei gabbiani.

Un linguaggio certamente celeste e sublimato da un canto poetico, che non necessita ulteriori descrizioni; un’immersione trasformativa, che va a sviscerare l’essenza del sé in plurime vite, tra addii assenti ed eterne presenze, destinate ad approdare lungimiranti e lontane nell’onirica realtà della Creazione. Sullo sfondo vi è un vento rigeneratore di piena speranza, verso le nubili novità implementate sul candore universale.

L’esposizione sarà dal 29 ottobre al 1 novembre 2021 dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 presso il Centro Fieristico e Congressuale Padiglione n 5  (Via della Fiera 11, Ferrara).

 

Le parole del  mare

infondono un quieto risorgere

nell’effervescente oceano

dove l’intima speranza

contempla eternamente l’infinito.

 

 

di Maria Pellino

Non è facile districarsi nella società attuale, tra differenti offerte culturali che sono diventate sempre più rare a causa della pandemia. Nonostante le difficoltà dovute a restrizioni, chiusure e sfaceli vari, nella città di Trezzo sull'Adda, nel mese di luglio, si celebrava la cultura; la cultura intesa come “coltivare”. Il vero senso di cultura non risiede nel lasciarsi cullare dalle ondate moderne di accettazione passiva e di omologazione del pensiero e dell'esistere. Tutti siamo chiamati ad apprendere continuamente, e soprattutto, ad affinare quel pensiero critico che ci rende mai succubi di qualcosa. Cultura pura è quella che ci dà gli strumenti per poter essere più consapevoli e soprattutto rinnovare noi stessi e chi ci sta intorno. Proprio a Trezzo sull'Adda, nasceva, in questo luglio scorso, un movimento culturale, una corrente nuova che pone le sue basi da un'attenta osservazione della realtà, dallo studio concreto delle nuove dinamiche sociali e dalla profonda ricerca di sostanza e contenuti di essenza. Ho voluto intervistare colui che è il fondatore e l'ideatore di tale movimento, Fabio Martini, scrittore, poeta, editore.

 

di Stefania Melani

Vincent Van Gogh nato nel 1853 nel Brabante d’Olanda, è rimasto un mito fra gli artisti cosiddetti “maledetti “ fra Arthur Rimbaud, nato a Charleville in Francia nel 1854 e Paul Verlaine, poeta nato nelle francofone brume di Metz in Lorena, nel 1844.
Tutti e tre furono mossi da una forte passione sociale.

Vincent Van Gogh soggiorna a Parigi dal 1886 al 1888 e qui scopre la pittura Impressionista, approfondisce l’interesse per le stampe giapponesi...così curate nel dettaglio e così dolci.

La scoperta del colore nella pittura degli impressionisti lo influenza molto, il colore giallo cromo è la sua passione, si dice lo stendesse anche con le mani e che questa cosa abbia avvelenato Vincent, peggiorando una salute precaria.

Qui egli sente una gioia nuova dentro di sè...e ci regala quadri di intense cromie, come molti paesaggi e innumerevoli versioni dei girasoli.

La sua vita fu molto difficile, una natura fragile e tormentata lo porta ad un’instabilità interiore, a forti commozioni ed a violenti coinvolgimenti.

Molto sensibile avrebbe desiderato di essere amato, ma la sua difficoltà di relazione lo metteva spesso in situazioni di impaccio che furono causa di delusioni infinite.

Ebbe l’affetto vero e molto forte del fratello Theo che lo amò ed aiutò sempre e la protettiva ammirazione di pochi amici.

Vincent rimane un artista intellettuale, sofferto e contorto, lettore appassionato e curioso che passa dalla Bibbia a Dickens, dai musei all’interesse per le stampe giapponesi.

La pittura diede un preciso indirizzo alla sua vita, gli permise di trovare se stesso, guidato da un istinto visionario e artistico cercava sempre la Verità attraverso la propria arte. Con le sue opere egli parlò al mondo, nella sua inquietudine il rapporto con la pittura fu assoluto e totalizzante tanto che essa fu anche il suo carnefice.

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SULL'OPERA:
Fra terra e cielo... in questo quadro possiamo vedere la poesia.

Una luminosa e alta poesia, che si erge con vorticoso segno verso l’infinito...

La Provenza è per Vincent una rivelazione, rimane entusiasta dalla sua bellezza solare, dai colori perfetti e puri dei suoi tramonti, delle albe e dal paesaggio.

Un paesaggio magico e ricco di una bellezza senza tempo...che tocca il cuore e lo affascina...donandogli nuova vita!

Qui, nel sud della Francia, l’artista realizza opere significative, piene di colore, luce che gli illumina il cuore e illumina le sue tele...

Con questa ed altre opere constatiamo una nuova pennellata, emozioni di sole che lo abbracciano, egli può finalmente sentirsi libero dallo spettro della pazzia che lo ha perseguitato.

È felice, si perde in questa gioia...ma è uno stato d’animo che non dura.

Troppo breve purtroppo....

Muore suicida ad Auvers-sur-Oise il 29 Luglio 1890.

PROFONDO E SENSIBILE VINCENT, LA VITA PER TE È STATA TROPPO DURA.
UN PESO CHE HA SPEZZATO IL TUO CUORE!

Un felice cammino di Arte e serenità a tutti voi che leggete.


Nella foto di copertina:

CYPRESSES WITH TWO WOMEN (1889)

I CIPRESSI E DUE DONNE
VINCENT VAN GOGH
OLIO SU TELA

30/3/1853
29/7/1890