di Monica Vendrame
C’è un silenzio pesante, adesso, dove prima risuonava una voce tagliente e passionale. Vittorio Sgarbi, l’intellettuale irriverente, il polemista indomito, giace in un letto d’ospedale al Policlinico Gemelli di Roma, avvolto dall’ombra di una depressione che sembra averlo divorato. Quell’uomo che incendiava i dibattiti, che sfidava i conformismi con la sua verve inconfondibile, oggi è un fantasma di se stesso. E il Paese che ha tanto amato, criticato, provato a scuotere, forse non se ne è neppure accorto.
A rompere il silenzio è stato Morgan, il cantante che di Sgarbi è stato amico e complice in tante battaglie culturali. Con un post struggente, a metà tra l’elegia e l’accusa, ha dipinto un ritratto crudo della sofferenza del critico: "Vittorio Sgarbi, la personificazione dell’intelligenza e della vitalità, ha rinunciato a lottare". Le sue parole sono un pugno allo stomaco, una denuncia contro un’Italia che, secondo lui, ha ripagato con l’ingratitudine chi ha sempre combattuto per la sua rinascita culturale. "Anche il genio è di carne e ossa", scrive Morgan, quasi a ricordarci che persino i giganti cadono, quando il peso del mondo diventa troppo grande.
E quel peso, per Sgarbi, è stato un macigno: le inchieste giudiziarie, l’isolamento politico, la salute fragile. Ma forse, più di tutto, il senso di abbandono. Quell’amaro sapore di essere stato dimenticato, o peggio, tradito. Morgan non usa mezzi termini: "Lo spegnimento della mente di Sgarbi è il più grande atto vandalico che la cancel culture italiana abbia mai commesso". È un lamento disperato, un urlo contro l’ipocrisia di chi festeggia la caduta di un uomo invece di tendergli una mano.
Oggi, nella sua stanza d’ospedale, Sgarbi non è solo. Accanto a lui ci sono Sabrina Colle, la compagna che non lo abbandona, e la sorella Elisabetta. Ma il telefono, una volta strumento di infinite connessioni, ora riposa inattivo. Quella vitalità travolgente, quel fuoco che lo animava, sembra essersi spento. E ciò che resta è il vuoto.
C’è qualcosa di profondamente ingiusto nel vedere un uomo come Sgarbi piegato dalla sofferenza. Perché al di là delle polemiche, delle provocazioni, delle contraddizioni, lui ha sempre incarnato una cosa rara: il coraggio di pensare, di urlare, di non adeguarsi. E se un Paese lascia spegnere le sue menti più vivaci, cosa resta? Forse dovremmo ricordarci che anche i giganti hanno bisogno di essere sostenuti, soprattutto quando smettono di crederci. Perché la cultura non è fatta di monumenti, ma di persone. E le persone, a volte, cadono.