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di  Michele Petullà

L’Italia riapre. Ci prova. In una situazione contrassegnata ancora da tante incertezze. Tra le speranze di poter ritrovare una quotidianità ormai quasi dimenticata ed i timori di nuove “ricadute”. Tra gli opposti umori di chi ritiene che sia ancora “troppo poco” e chi, invece, ritiene che sia ancora “troppo rischioso”. Se sarà l’avvio di una vera e propria fase di ripartenza, o piuttosto una nuova “falsa” ripartenza, saranno i fatti a dimostrarlo.

di Adelaide Baldi

Oggi e domani sessantasei studenti da tutta Italia sono impegnati nel Certamen Mutinense Carolinum "Francesca Meletti": gara a livello nazionale di traduzioni dal greco e dal latino tra studenti di licei classici e linguistici, promossa dal liceo classico e linguistico "Muratori-San Carlo" di Modena.

 

di Ivana Orlando

Quando quel filo sottile diventa invisibile?
Quando lascia la lucida ragione per abbandonarsi all'oblio dell’alterato reale?
Chi sono i colpevoli?
Che cosa ha innescato l’altra metà del reale?
Quella a cui fa affidamento lo sguardo trasversale.
Lo stesso sguardo che Giorgio pone davanti ai miei occhi.

 

di Virginia Murru

Lo ha scritto su Twitter Kira Yarmish, che ha così provveduto ad informare l’opinione pubblica sul suo stato di salute. In seguito allo sciopero della fame, iniziato in carcere da Navalny il 31 marzo scorso, la situazione sta precipitando di giorno in giorno. Il rischio, secondo il suo medico personale, è di arresto cardiaco, che potrebbe sopraggiungere da un momento all’altro.
Per questo, a livello mondiale, c’è una grande mobilitazione volta a sensibilizzare Putin sulle gravi situazioni di salute, così che il dissidente possa avere accesso immediato alle cure urgenti e all’assistenza sanitaria di cui necessita. La vita di Navalney è nelle mani del presidente russo, il quale, fino ad ora, ha manifestato intransigenza circa il diritto di ricorrere agli opportuni trattamenti sanitari, con l’intervento dei medici che conoscono la sua storia clinica, e le gravi vicissitudini di cui è stato vittima nel 2020.
Il cardiologo Yaroslav Ashikhmin, che vorrebbe visitarlo, ma per impedimenti dovuti al rigoroso e disumano regime carcerario, non può avvicinarlo, ha scritto sui social: “Il paziente potrebbe morire da un momento all’altro, dato che i suoi livelli di potassio sono altissimi e necessita pertanto di essere trasferito in una struttura per urgente terapia intensiva.”
La moglie Yulia ha affermato che le sue condizioni sono critiche, e c’è anche, per ovvie ragioni, una notevole perdita di peso. Sia il cardiologo Yaroslav, sia gli altri medici che si sono occupati della salute dell’oppositore al regime di Mosca, hanno inoltrato richiesta formale all’amministrazione dell’istituto di pena nel quale è detenuto, chiedendo l’autorizzazione di avvicinarsi al paziente e assisterlo.
La situazione è precipitata dopo le ultime analisi del sangue, le quali hanno evidenziato, come già accennato, alti livelli di potassio. Le condizioni di salute sono estremamente precarie, sia per mancanza di nutrimento da quasi 20 giorni, sia per conseguenze pregresse dovute all’avvelenamento del quale è stato vittima il 20 agosto scorso. Com’è noto, fu salvato grazie alle cure dell’Ospedale Universitario la Charité di Berlino, nel quale fu confermata l’ipotesi di avvelenamento tramite l’agente nervino Novichok, già peraltro utilizzato contro un altro personaggio scomodo: la spia russa Sergej Skripal, nel 2018.
Navalny è stato tradotto in carcere a febbraio scorso, per scontare due anni e mezzo di pena detentiva dovuta ad accuse pregresse di ‘appropriazione indebita’, presso la colonia penale di Pokrov.
Un grande coro di proteste si è sollevato in tutto il mondo per indurre il Cremlino a cedere sulla concessione degli elementari diritti umani ai quali deve avere accesso il dissidente russo, che ha solo 44 anni. Si tratta, appunto, dei fondamentali diritti di un essere umano, eppure, al momento, gli viene ancora negato il soccorso dei suoi medici. Ma del resto, anche dopo l’avvelenamento, le autorità russe non volevano concedergli il diritto di recarsi all’estero per la disintossicazione.
Si protesta anche tramite i social, con un altissimo numero di adesioni, e non potrebbe essere altrimenti, dato che stiamo assistendo, in pieno terzo millennio, ad una delle più barbare manifestazioni di violazione dei diritti umani. Ignorate anche, fino ad ora, le istanze di Amnesty International. 

 

 

di Luisa Di Francesco

La pandemia ci ha rubato la vita, la socialità gli affetti, la quotidianità.

Lo sappiamo e lo viviamo da più di un anno. Ci siamo adattati a mascherine, distanziamento, gel sulle mani per ogni cosa che per caso tocchi (maniglie, portoni, il bottone dell’ascensore…se si pensa a quanto potrebbe essere infetto, si dovrebbe evitare di prenderlo! Abito al sesto piano, però, e con le buste della spesa e il fiatone che l’età ti dona, non è proprio impresa semplice!)

Qui in Puglia siamo “ROSSI”, un numero di casi incredibile, strutture ospedaliere al collasso (per questo siamo colorati così!); sui portoni dei palazzi ogni due giorni compaiono manifesti listati a lutto, a volte uno ad un lato dell’ingresso e uno all’altro.

Unico rimedio, unica possibilità di opposizione al virus: il vaccino!

Sono una docente, sono anche un soggetto fragile, ma questo non ha avuto importanza; l’essere insegnante mi ha consentito di inviare alla USL la disponibilità alla vaccinazione che ho fatto ai primi di marzo. Una bella fortuna! AstraZeneca: 4 giorni di febbre a 39, dolori e assenza di gusto, ma poi è passata.

Sono ancora qui.

In questa casa siamo in due: io e mio marito, io vaccinata con la prima dose- richiamo a fine maggio- lui no. Non ha 80 anni, non ne ha 70; ne ha solo 63 e sta aspettando.

Pochi giorni fa un comunicato: nelle tre sedi della mia città- Taranto- dove si effettuano le vaccinazioni per gli ultraottantenni o per la fascia dai 70 agli 80 è possibile, semplicemente presentandosi nel luogo senza alcuna prenotazione via Cup, essere sottoposti a vaccinazione con AstraZeneca.

Il medico di famiglia, interpellato, gli ha detto che verrà considerato nel novero dei pazienti che saranno da lui vaccinati, probabilmente con Jhonson & Jhonson. Quando? Non si sa, non ha le dosi, non sono ancora arrivate, non si sa quando verranno consegnate.  

I media bombardano: il vaccino Jhonson & Jhonson è pericoloso, viene sospeso. Che si fa? Non lo sappiamo.

Mio marito è un soggetto a rischio più di me: patologie multiple, casi di TIA, iperteso e con evidenti fenomeni di allergie (shock anafilattico).

Decide di tentare la vaccinazione “ad impronta” (possiamo chiamarla così???), cioè di recarsi direttamente in una delle sedi; alcuni amici e colleghi si sono presentati e sono stati vaccinati “seduta stante”.  

Va. Compila la chilometrica documentazione necessaria indicando con assoluta precisione tutte le patologie di cui soffre e ha sofferto, ogni medicinale che assume. Si mette in fila, aspetta; gli chiedono la prenotazione, non la ha; vorrebbero mandarlo via, non desiste, si arrabbia, spiega che altri hanno fatto come lui e sono stati vaccinati. Si arrendono, lo lasciano mettersi in fila. Aspetta.

Quando finalmente lo chiamano, l’infermiere legge la scheda anamnestica e chiama immediatamente un medico.

-Non può fare AstraZeneca” - conclude dopo una rapida lettura- troppo pericoloso per lei; deve fare Pfizer.”

-E dove? E quando? Non ho 80 anni, come lo prenoto?

-Si senta con il suo medico di famiglia.

Lo chiama all’istante.

-Non ho dosi in più di Pfizer, giusto quelle che servono per le vaccinazioni dei miei assistiti invalidi che non possono raggiungere i centri di distribuzione.

-E allora? Che devo fare? chiede al dottore presente nell’ambulatorio.

-Provi a tornare a fine giornata nel primo pomeriggio, magari è rimasta qualche dose di Pfizer, qualcuno potrebbe rinunciare o non presentarsi.

Così torna a casa, poi alle 14,00 è di nuovo al Palazzetto della Ricciardi di Taranto; tante persone in fila.

Spiega di nuovo.

-No, è troppo presto! Ritorni più tardi! gli dicono.

E così torna a casa, aspetta un paio di ore e poi di nuovo al Palazzetto. Lo trova chiuso: hanno finito le dosi e sono andati via.

Il 16 aprile aprono le prenotazioni per la vaccinazione della fascia di età in cui si trova mio marito. Chiama…dopo trenta minuti riesce a fissare un appuntamento per il 10 maggio, sa che gli faranno AstraZeneca e sa che non può fare quel vaccino.

Cosa spera? Che una volta prenotata la vaccinazione, i medici, confermando la sua condizione di fragilità, gli diano la possibilità di rinviarlo ad un’altra data con una dose di Pfizer! Spera questo! Spera che la prenotazione secondo i canali ufficiali, gli dia qualche possibilità in più rispetto al presentarsi semplicemente ai centri di distribuzione del vaccino.

Riuscirà? Chi lo sa! Aspettiamo la data e speriamo.

In casa siamo in due: io e lui, nostra figlia vive e lavora al Nord. Lui soggetto ultra fragile ed io anche. Però lui ha paura che ogni volta che si reca sul posto di lavoro possa infettarsi. E’ lui ad uscire anche per fare la spesa; un contatto sbagliato, nonostante le innumerevoli precauzioni che segue, potrebbe capitare anche per un banale errore o per distrazione. Non vuole e non può mettere me in una condizione di “Rischio”.

E allora succede che due persone che vivono nella stessa casa, di cui una vaccinata con prima dose e l’altra no, entrambi soggetti fragili, decidano, nell’epoca della pandemia, di “evitare” i contatti: nello stesso appartamento ma con mille precauzioni, nessuna vicinanza, meglio prevenire ed evitare.

Aspettiamo il 10 maggio e speriamo in una dose di Pfizer disponibile.

Aspettiamo e… speriamo in una storia di ordinaria normalità.

 

 

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