Colors: Blue Color

 
di  Arianna Di Presa
 
Nel presente articolo vorrei incentrare l’attenzione sull’Arte poliedrica di Antonio Conte, un tuffo di consapevolezza pensante attraverso la potenza cromatica. Antonio Conte vive e lavora a Napoli. Si laurea presso l’Accademia di Belle Arti nel 2009, dove implementa differenti tecniche pittoriche. La peculiarità del suo atto creativo si fa interprete di storie vissute dalle persone più fragili, di una necessità comprensiva che spesso viene obliata, in cui lui stesso si immedesima attraverso il potere empatico del colore, tramite il quale riesce a raccontare sfumature e richiami di profondo dolore e gioia compassionevole. Il suo linguaggio pittorico mostra numerose affinità con i padri della Pop Art, che lo conduce molto spesso a miscelarsi con giochi di parole ed uno stile umoristico che trovano un egregio approdo con altre discipline artistiche, in particolare la musica e la poesia. Ha partecipato a residenze d'artista in Italia, a Cosenza con il progetto BoCS Art e a molti festival in giro per la penisola, e in Portogallo. Nel 2017 pubblica il suo primo libro a quattro mani con la poetessa Lucia Longo promosso da Eretica Edizioni.
 
Mostra un interesse accurato per la comunicazione massificata e la civiltà dell’immagine insito nei progetti Facce da Facebook , The Truman Show- La vita segreta di due pesciolini napoletani e nella sezione speciale della Biennale di Arte Contemporanea di Salerno denominata Artisti in Quarantena. Negli ultimi anni l’artista si sta ponendo in una fase di sperimentazione attraverso le installazioni e la scultura in modo da attribuire all’anima il non senso ritrovato tramite dialogici silenzi. I supporti delle sue opere variano da quelli più tradizionali come tela e tavola a quelli più informali come giornali, carta da pacchi, locandine, poster e materiali recuperati dalla strada. Negli ultimi tempi Antonio Conte utilizza l’arte come veicolo di denuncia, dove la materia stessa sembra superare la sua solita funzione estetica e divenire parola che accorpa infiniti emblemi, al fine di giungere ad una consapevolezza ricercata, come se i colori accorpati insieme fossero una danza dogmatica di autenticità mai ottenuta prima. Aderirà al festival della pittura estemporanea previsto a Teramo il 21 e il 22 Agosto diretto dal Presidente Enzo delle Monache e organizzato dalla pittrice Roberta Di Maurizio.
 
Se ogni colore nascesse
dentro una parola
potrebbero innescarsi legami mai nati
più vicini della lontananza che esteticamente li separa.
Luoghi viscerali
sul lastrico della vita
spumeggiano
come un intreccio di mani
e sinfonie pronunciate lungo universali frequenze. 
 
Fotografia di Laura Augusti e Salvatore Sciarrone
 
 
 

 
di Arianna Di Presa
 
Barbara Bonanni vive e lavora a Roma. La sua Arte si espande lungo versanti differenti dove l'anima si pone come la protagonista costante di ogni singolo cromatismo. Bonanni è un'artista di valenza internazionale che trasporta il fruitore all'interno dell'evoluzione spirituale, sinergica e libera che si accorpa qualitativamente all'interno di una mirata ricerca pervasiva e intrinseca nel potenziamento del colore quasi da creare un sussulto riflessivo che rimbomba al centro delle viscere. L'indiscussa emotività è il linguaggio che primeggia sulle tele delle Bonanni, come se fosse una porta all'apice dell'universo, derivante da una sovrapposizione esistenziale; tutto ciò conduce la pittrice ad addentrarsi con una massima versatilità verso l'esplorazione del Sé, a volte pericolosa, altre volte un motivo di identificazione al fine di comprendere con lungimiranza il mistero della vita, mentre si affronta l'essenziale che ne riserva. La musicalità delle opere di Barbara Bonanni è fortemente rappresentativa tale da cogliere con un'intuitiva perfezione il caos cosmico dentro all'inafferrabile millesimo di tempo che sembra inesorabile all'umana comprensione.
 
Il caos
è un tumulto ineluttabile
per sfiorare il tempo
che permane oltre l'incomprensione del destino.
 
 

 

Prefazione di Francesco Marchianò (Editor Freelance)

L’immediato paragone con la pittura che suscita la lettura di questa raccolta di poesie di Stefania Melani potrà apparire in un primo momento scontato e forse anche banale, almeno se si considera il fatto che l’autrice, oltre a dedicarsi alla scrittura, è una pittrice. Eppure, il modo nel quale si muovono i versi di queste poesie, la loro stilistica, il loro contenuto, hanno un elevato potere visionario tipico delle forme estetiche più schiettamente visuali. Per questo, la lettura di queste poesie proietta immediatamente nella mente del lettore immagini molto evocative.

Stefania Melani è certamente una poetessa delle passioni intese che appaiono come un elemento distintivo e inestricabile dell’uomo. Esse, però, non restano mai a un livello istintivo e primordiale ma sono elaborate da ogni epoca e la più antica di queste passioni, ovvero l’amore, è quella su cui camminano i versi dell’autrice e che fanno muovere la scrittura quasi come un pendolo tra desiderio e appagamento. Questi due estremi non sono per forza contrapposti e spesso possono toccarsi e unirsi come appare in alcune poesie.

I componimenti di Stefania Melani sono caratterizzati da un’intensità davvero notevole, da formule ermetiche davvero raffinate e dalla presenza di immagini mentali ancor prima che reali. Si propone qualche esempio solo per avere un’immediata dimostrazione di quanto affermato:

Attraverso i vetri,
come nei ricordi d’infanzia,
guardo l’aria che lacrima ancora…

Cadono tutte le catene
dall’orgasmo dell’anima.

Non fu facile
annegare i giorni
in sogni strappati
al ristagno di stelle.

Come si vede da questi esempi (ma nella lettura se ne riscontrano molti altri) sì è davanti a un potenziale suggestivo molto alto che invita a uno sforzo di attenzione sensazionale, nel senso letterale del termine ossia cercando di sentire, provare sul proprio corpo, le emozioni trasmesse da questi versi.

Ciò che molto spesso innesca l’ispirazione dell’autrice è la natura, soprattutto quella estiva o autunnale, con la potenza della luce, il calore che può stordire, la ricchezza cromatica, i contrasti e le sfumature. Tutto ciò può diventare l’emblema di stati d’animo e di sensazioni interiori. Specialmente il richiamo alla forte luce estiva assume un significato intenso nel quale si ha un “con-fondersi” tra emozioni opposte; persistono in alcune poesie delle tematiche care a Eugenio Montale peraltro omaggiato con una citazione: «nella sonnolenza del meriggio».

E poi c’è l’autunno. La scelta di questa stagione è emblematica di un senso più prolungato della fine, quasi fosse una sorta di agonia. Sarebbe stato più facile contrapporre l’inverno ma se nell’estate si nota questa esplosione potente di luce e calore, che quasi fa evaporare la vita,nell’autunno si vede la lentezza della fine e quasi se ne assapora il gusto. Anche grazie a ciò, gli aspetti emotivi dell’opera risultano più toccanti.

"Alle radici dei sogni" è una raccolta che vale davvero la pena di leggere e alla cui lettura bisogna approcciarsi con la dovuta attenzione provando a chiudere gli occhi dopo ogni poesia cercando non solo di capire ma anche di immaginare e sentire. 

 

Franco Brambilla è un vulcano, una macchina creativa che da decenni attraversa il mondo teatrale italiano (e non solo) producendo azioni, spesso sperimentali e di ricerca, che aprono la strada a nuovi ragionamenti, donano impulsi di approfondimento, coinvolgono gli attori e lo spettatore in dinamiche di confronto con linguaggi, pensieri, stili, filosofie che hanno come filo conduttore il "fuori dal comune".