di Monica Vendrame
Oggi, 5 marzo, l’Italia perde una delle sue voci più amate, una di quelle che hanno accompagnato intere generazioni attraverso le emozioni dello sport. Bruno Pizzul, storico telecronista sportivo, si è spento all’età di 86 anni, lasciando un vuoto immenso nel cuore di chi lo ha ascoltato, amato e rispettato. La sua voce, calda e rassicurante, è stata la colonna sonora di momenti indimenticabili, soprattutto durante le Notti Magiche di Italia ’90, quando la Nazionale di Azeglio Vicini ci regalò sogni, lacrime e un terzo posto che ancora oggi fa battere il cuore.
Pizzul non era solo un giornalista sportivo. Era un narratore, un poeta del calcio, capace di trasformare una semplice partita in un’epopea. La sua passione per il pallone era autentica, radicata in anni di esperienza sul campo. Prima di diventare una voce iconica, infatti, Pizzul aveva calpestato i campi da gioco come calciatore professionista, un mediano apprezzato che vestì le maglie di Catania, Udinese e altre squadre. Un infortunio al ginocchio pose fine alla sua carriera da giocatore, ma non alla sua storia con il calcio. Anzi, fu proprio allora che iniziò il suo viaggio più straordinario: quello di raccontare lo sport che amava.
La sua carriera in Rai iniziò nel 1969, dopo aver vinto un concorso per radio-telecronisti. Da lì, la scalata verso l’Olimpo del giornalismo sportivo fu inarrestabile. La sua prima telecronaca, Juventus-Bologna nel 1970, fu un inizio quasi comico: arrivò in ritardo e iniziò a commentare dal 16º minuto, ma la sua professionalità e il suo carisma gli permisero di rimediare senza intoppi. Da quel momento, Pizzul divenne la voce delle grandi occasioni: finali di Coppa dei Campioni, Europei, Mondiali. Ogni suo racconto era un viaggio, un’immersione totale nelle emozioni del calcio.
Ma tra le tante telecronache che lo hanno reso celebre, ce n’è una che lui stesso avrebbe voluto non dover mai fare: la finale di Coppa dei Campioni del 1985, la notte della strage dell’Heysel. Quella sera, Pizzul si trovò a dover raccontare non solo una partita, ma una tragedia. Anni dopo, avrebbe confessato quanto fosse stato difficile, non tanto dal punto di vista professionale, ma umano. “Ho dovuto raccontare delle cose che non sono accettabili”, disse. Eppure, anche in quel momento di dolore, la sua voce rimase un punto di riferimento, un faro nella tempesta.
Oltre al calcio, Pizzul aveva un lato artistico e creativo che pochi conoscono. Collaborò con il duo forlivese ‘Punto e Virgola’ nell’album L’uomo dei tuoi sogni, dove prestò la sua voce per una radiocronaca immaginaria: una partita tra poeti e letterati italiani contro il resto del mondo. Un progetto bizzarro, ma che ben rappresentava la sua capacità di guardare al calcio con occhi diversi, di vederlo non solo come un gioco, ma come un’arte.
Bruno Pizzul era un uomo poliedrico: laureato in giurisprudenza, insegnante di materie letterarie, calciatore, giornalista. Ma soprattutto, era un uomo che amava profondamente ciò che faceva. La sua passione per il calcio era contagiosa, e la sua voce ha saputo trasmettere emozioni che vanno ben oltre il semplice sport. Ha fatto sognare, piangere, esultare. Ha unito l’Italia davanti alla televisione, trasformando ogni partita in un’esperienza collettiva.
Oggi, mentre lo salutiamo, non possiamo che ringraziarlo. Grazie, Bruno, per averci regalato momenti indimenticabili. Per averci fatto sentire, almeno per novanta minuti, che il calcio non era solo un gioco, ma una storia da vivere insieme. La tua voce resterà per sempre nei nostri cuori, come un ricordo dolce e malinconico di un’epoca che non tornerà più.
Ciao, Bruno. E grazie per tutto.