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di Giovanni Teresi

Il primo treno di deportati in partenza dalla stazione di Palermo era diretto in Campania.

I conventi di San Bartolomeo e dell'Immacolata concezione, prestati alla causa fascista, erano ormai campi di internamento. Violenti purgatori funzionali all'organizzazione delle rotte verso i campi di sterminio.

Era l'11 luglio 1940. Medici, professori, titolari d'azienda, studenti, in fila indiana e con un'unica pesante catena a tenere bloccati i loro polsi, due anni dopo quel censimento speciale che nella Sicilia degli anni Trenta non fece neanche troppo scalpore. I giornali, di quei "cittadini di origine ebraica", non ne parlavano più. Le loro storie stavano diventando storie maledette in cui a determinare la vita o la morte era la combinazione tra destino, tempismo e coincidenze.

 Su quel treno partito da Palermo c'era Giuseppe Levenstein, un medico di vent'anni a cui posticiparono la partenza per i campi in Austria fino al dicembre del 1944, quando l'avanzata della Campagna d'Italia convinse le forze dell'ordine che era meglio svuotare la prigione di Forlì. Era destino. Morì a colpi di fucile insieme a 350 tra partigiani ed ebrei.

Negli anni del terrore, per azionare la macchina della morte era sufficiente una voce di corridoio. Così è capitato a Otto Rosenberg, antiquario palermitano a bordo di quel treno. La precisione maniacale dei burocrati registra l'uomo ultrasettantenne al famigerato Binario 21 di Milano, destinazione lager, il 30 gennaio del 1944, assieme all'allora tredicenne Liliana Segre.

L'anno precedente l'Italia era stata divisa in due dalla Linea Gustav: a nord la fortezza del regime, a sud gli alleati.

Otto Rosenberg si trovava in Lombardia. Il ministero dell'Interno ne chiedeva conto: "È troppo vecchio, quali sono le prove che sia pericoloso?". "Nessuna prova ma si mormora: quindi è una spia", fu la risposta di Adalberto Mariano, prefetto di Palermo. A condannare Otto alla camera a gas furono, dunque, i mormorii della gente.

La fretta di cancellare le tracce dei prigionieri accelerò le partenze dei convogli per Auschwitz.

 "Gli italiani arrestavano, i tedeschi ammazzavano", racconta il saggista Alessandro Hoffmann, autore per Kalòs de "Gli amici di Moises". Almeno fino agli ultimi mesi della guerra, quando "una schizofrenia collettiva colse gli italiani e iniziarono gli eccidi".

Hoffmann porta lo stesso nome del nonno, anche lui su quel treno, nel luglio del '40. Anche per Hoffmann senior l'ignavia della prefettura fu decisiva: era in Italia prima del 1913, sapeva che una legge dimenticata gli permetteva di restare. Solo le pressioni di monsignor Giovan Battista Montini, il futuro papa Paolo VI, e del ministero convinsero i fascisti a liberarlo. "Ma sarà vigilato", scrisse il prefetto. Il destino volle che poté accogliere la nipote diciassettenne Eva Hoffmann, fatta scappare clandestinamente dai genitori, sorvegliati speciali in una Germania crudele che mandava a morire i bambini. Come il piccolo di casa, Enrico, arrestato mentre era in classe. Le sue tracce si perdononei lager.

Su quel treno c'era anche Angela Sternheim, trent'anni. La sua destinazione fu un campo di lavoro in Umbria, tappa in attesa del trasferimento nel lager. Ma la sua attesa terminò insieme al regime e la fece franca.

 

Hans Sternheim 


Il tempismo salvò anche suo fratello Hans: un anno prima che le leggi razziali del 1938 vietassero i matrimoni misti aveva sposato una cattolica. Subì comunque i rigori delle 187 norme con cui l'Italia tolse dignità alla vita degli ebrei: gli era proibito lavorare, guidare o possedere una radio. Il suo riscatto fu reinventarsi interprete per gli alleati.

 

Adamo e Susanna Baumann 

 Arrestato sul posto di lavoro, Adamo Baumann era un medico: figura indispensabile che mancava nelle infermerie del campo di Ferramonti, in Calabria, quindi restò lì. Lo salvò una scelta compiuta decenni prima. Uscì dal campo nel 1943, all'alba dell'avanzata alleata, e con sé portò a Palermo Susanne, catturata dopo il naufragio del Pentcho insieme ad altri 515 ebrei ungheresi.

Liborio Baldanza si faceva chiamare "Libero". A lui è stata dedicata una pietra d'inciampo all'ingresso dei Cantieri navali di Palermo, dove iniziò il suo vissuto di sindacalista e fervente antifascista. Lo arrestarono perché era alla testa dello sciopero di fabbriche e trasporti che bloccò il nord Italia per otto giorni. Quando la sera del 13 marzo 1944 bussarono alla porta rimase impassibile. "Avevo otto anni - ricorda il figlio, Dimitri - Un uomo in divisa mi disse che papà sarebbe tornato a casa presto". Ma la sorte era segnata. Fu fucilato quando cadde durante la marcia della morte verso Mauthausen-Guzen. Era il 3 aprile del 1945. "I compagni di viaggio ricordano che fino all'ultimo i suoi pensieri erano rivolti alla lotta per la democrazia", dice la famiglia.

 

Liborio Baldanza 

 Se fosse arrivato a destinazione avrebbe incontrato Carmelo Salanitro, professore catanese denunciato dal suo stesso preside il 14 novembre 1940.

Salanitro lasciava volantini pacifisti in giro per Catania. Finì in carcere per "propaganda antinazionale, offese al duce e a Hitler" fino alla caduta del regime. Il prefetto dell'Aquila, dove scontava la pena, lo consegnò comunque alle autorità naziste che, nello scenario finale di smarrimento, lo spostarono da Dachau a Mauthausen più volte.

La sera del 24 aprile 1945 fu spinto in una camera a gas. L'indomani sarebbe finito tutto.

 

Bibliografia: Repubblica, “La giornata della Memoria” -  Eugenia Nicolosi

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Nella foto di copertina Eva Hoffmann 

 

 

di Paolo Russo

«L’esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana esprime grande preoccupazione per l’uso di farmaci finalizzato a produrre un arresto dello sviluppo puberale in ragazzi di entrambi i sessi a cui è stata diagnosticata una “disforia di genere”, cioè il non riconoscersi nel proprio sesso biologico. Vanno seriamente considerate le controindicazioni a questo trattamento:
- La diagnosi di “disforia di genere” in età prepuberale è basata sulle affermazioni dei soggetti interessati e non può essere oggetto di un’attenta valutazione finché lo sviluppo dell’identità sessuale è ancora in corso.
- Solo una parte minoritaria dei ragazzi che dichiarano di non identificarsi con il loro sesso conferma questa posizione nell’adolescenza, dopo la pubertà.
- Sospendere o prevenire lo sviluppo psicosessuale di un soggetto, in attesa della maturazione di una sua definizione identitaria stabile, è in contraddizione con il fatto che questo sviluppo è un fattore centrale del processo della definizione.
- Anche nei casi in cui la dichiarata “disforia di genere” in età prepuberale si confermi in adolescenza, l’arresto dello sviluppo non può sfociare in un corpo diverso, sotto il profilo sessuale, da quello originario. Lo sviluppo sessuale del proprio corpo anche quando contraddice un opposto orientamento interno consente un appagamento erotico che un corpo “bloccato” o manipolato non offre.
La sperimentazione in atto elude un’attenta valutazione scientifica accompagnata da un’approfondita riflessione sullo sviluppo psichico e suscita forti perplessità. È importante avviare sulla questione dei ragazzi con problematiche di genere una rigorosa discussione scientifica a cui la Società Psicoanalitica Italiana darà il suo contributo volentieri».

Così il Presidente della Società Italiana di Psicoanalisi (SPI) Sarantis Thanopulos esprime il suo disappunto per la volontà di voler bloccare chimicamente la pubertà nei bambini e negli adolescenti con disforia di genere.

E' un testo importante indirizzato direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni che diffuso successivamente, a mezzo stampa, è diventato la posizione ufficiale della più importante associazione di Psicoanalisi Italiana.

Alla lettera degli psicoanalisti ovviamente è seguita un'altra lettera firmata da ben sette società scientifiche, dagli endocrinologi ai pediatri, sempre indirizzata dalla Presidenza del Consiglio.

La Società italiana di Endocrinologia (Sie), la Società italiana di Endocrinologia e Diabetologia pediatrica (Siedp) - insieme alla Società italiana Genere, Identità e Salute (Sigis), la Società italiana di Pediatria (Sip) la Società italiana di Andrologia e Medicina della sessualità (Siams), e l’Osservatorio nazionale sull’identità di genere (Onig), sono le sette società scientifiche che si sono schierate contro le dichiarazione della Società Psicoanalitica Italiana.

Secondo queste associazioni il supporto medico con i bloccanti ipotalamici in adolescenti con incongruenza di genere è importante. “E’ bene ricordare come il trattamento con bloccanti ipotalamici – si legge nel testo della lettera – non è un trattamento in fase di sperimentazione, bensì approvato dalla Determina AIFA (n. 21756/2019), ha avuto parere favore da Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) in data 13 luglio 2018, è sostenuto da raccomandazioni scientifiche internazionali sottoscritte anche a livello nazionale ed è ampiamente utilizzato nella pratica clinica a livello internazionale. Inoltre, tale intervento medico è riservato a casi attentamente selezionati, a seguito di una valutazione multidisciplinare e individualizzata come descritto nella determina AIFA”. La Dottoressa Ristori, scrive l'AdnKronos, puntualizza che "il razionale dell’uso dei bloccanti si basa sulla possibilità di guadagnare tempo proprio per riflettere in modo più consapevole, reversibile e scevro dalle difficoltà legate all’avanzare della maturazione sessuale. La popolazione di adolescenti transgender è, infatti, descritta come psicologicamente più vulnerabile (con più alto tassi di depressione, ansia e rischio suicidario), anche per la preoccupazione o la sofferenza legata al contatto con un corpo che sviluppa in una direzione diversa dalla propria identità di genere. È importante sottolineare come gli studi di follow up a oggi dimostrano che il trattamento con i bloccanti ipotalamici è in grado di ridurre in modo significativo i problemi comportamentali ed emotivi e il rischio suicidario, nonché di migliorare il funzionamento psicologico generale negli adolescenti trattati".

In Europa già da tempo si utilizzano farmaci bloccanti della pubertà, non senza molte polemiche: in Svezia e in Finlandia le autorità sanitarie hanno rivisto radicalmente il loro approccio alle transizioni di genere dei minori, mettendo sotto accusa questa pratica, in Gran Bretagna è stata appena chiusa la più grande clinica autorizzata a trattare la disforia di genere nei ragazzi, la Gids-Tavistock,  dopo che un caso giudiziario e un’autorevole inchiesta indipendente avevano rilevato gravi criticità nell’approccio con i bloccanti. In Olanda  si può interrompere la pubertà fisiologica intorno ai 12 anni (protocollo olandese) con la somministrazione di ormoni di transizione fino ai 16 anni ed eventualmente si può passare alla chirurgia demolitiva-ricostruttiva dopo i 18 anni.

Di recente però il Professor Stephen B. Levine, del Department of Psychiatry della Case Western Reserve University, a Cleveland (Usa), ha letteralmente demolito il metodo con cui sono state condotte le ricerche fondanti il protocollo olandese definendolo estraneo  ai criteri della evidence-based medicine, adottati ai nostri giorni.

In Calabria la  Legge regionale 31 maggio 2019, n. 13 (Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi diretti, indiretti e di reversibilità e adeguamento al d.l. n. 174/2012) nell'art. 4 recita "Gli importi degli assegni vitalizi, per come rideterminati, sono rivalutati annualmente, a partire dall’anno successivo all’applicazione della rideterminazione, sulla base dell’indice ISTAT di variazione dei prezzi al consumo (FOI), come pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana".

Vivere nei pressi di una discarica aumenta del 34% le probabilità di contrarre un tumore. Questo quanto certificato da uno studio pubblicato dall'autorevole "International Journal of Epidemiology" che è la rivista medica ufficiale dell'associazione internazionale degli epidemiologi. 
 
Rivista pubblicata dalla Oxford University Press. Basta vivere entro i cinque chilometri da una discarica e il rischio di aumentare la percentuale di ammalarsi è concreto e reale. E non basta, Aumenta del 5% anche il rischio di contrarre malattie respiratorie soprattutto per i bambini.
 
Ma quante  discariche vi sono sul territorio calabrese?.
 
 
Impianto di smaltimento rifiuti sequestrato dagli inquirenti per smaltimento illecito di rifiuti pericolosi
 
 
Quante discariche abusive, quante discariche occultate nei terreni?. Quante discariche sono il frutto di interramenti abusivi ad opera della 'ndrangheta che fra i suoi tanti affari gestisce anche quello dei rifiuti tossici che consente guadagni da non sottovalutare?.
 
Tante sono state, negli anni, le inchieste che hanno dimostrato l'interesse delle cosche nel settore dell'illecito smaltimento dei rifiuti, legato soprattutto al controllo del ciclo di produzione del cemento, settore dove storicamente la 'ndrangheta esercita un controllo capillare.
 
Basti solo accennare che il pentito di camorra, Carmine Schiavone, che svelò il modello di funzionamento delle discariche che a Casal di Principe ( Caserta) alimentarono la "terra dei Fuochi" con centinaia di morti per tumore, affermò che "la vera terra dei Fuochi è la Calabria".
 
Pochi giorni dopo aver fatto tale affermazioni durante una famosa intervista nell'ambito di una seguita trasmissione Rai lo stesso Schiavone dichiarò la sua disponibilità di essere ascoltato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria.
 
Ma non fu possibile. Carmine Schiavone poco tempo dopo aver rilasciato l'intervista che fece molto scalpore, seppur in buona salute, venne folgorato da un infarto.
 

Chi era Carmine Schiavone

Carmine Schiavone aveva iniziato a collaborare con la giustizia nel 1993.

Le sue deposizioni furono determinanti per il maxiblitz che portò a 136 arresti di affiliati al clan, operazione da cui derivò il processo ''Spartacus''.

Anche qui le dichiarazioni di Schiavone furono al centro delle accuse. Al termine del processo furono condannati il cugino Francesco Schiavone detto Sandokan, Michele Zagaria e Francesco Bidognetti, ritenuti la cupola del clan.

Con loro furono condannate altre 30 persone. Il suo nome tornò alla ribalta nel 2008, quando voci raccolte dalle forze dell'ordine lo davano come possibile organizzatore di un attentato contro Roberto Saviano. Ma sulla circostanza non emersero riscontri concreti.

Negli ultimi anni aveva concesso numerose interviste ai media sul traffico illecito di rifiuti nella Terra dei Fuochi.

Lasciò la sua vita terrena il 22 febbraio 2015 a 71 anni per infarto nella casa fornita dalla DDA a Viterbo dove viveva da collaboratore di giustizia.

La Procura di Napoli indagò sulla sua morte inaspettata ma non emersero riscontri importanti anche se in molti sono convinti che non sia stata del tutto accidentale.

 
 
Una delle tante discariche abusive disseminate sul territorio
 
 
 
 
 
Il boss pentito della Camorra, Carmine Schiavone
 
 
 
Rimane il fatto che il traffico di rifiuti tossici in Calabria risale sin dai lontani anni '70, quando lo stesso traffico non era neanche un reato non essendovi allora alcuna legislazione di natura ambientale in merito.
 
In mezzo secolo di traffici è facile presumere che disseminati ovunque tantissime siano le discariche occulte che inquinano l'ambiente della Calabria.
 
Qualcuno sostiene che stranamente il tasso tumorale calabrese sia identico a quello registrato in aree del nord Italia ad alto tasso di industrializzazione, ma si tratta solo di supposizioni considerato che in Calabria non essendo granché efficienti i registri tumorali di popolazione a cura delle Asp non è dato sapere con certezza quale sia il numero reale dei tumori che interessano la popolazione calabrese anno per anno.
 
Anche in questo la Calabria non riesce a dare risposte certe.
 
Anche questo è la Calabria.
 
Gianfranco Bonofiglio

Oggi Cristina Mazzotti avrebbe avuto 65 anni se quel maledetto giorno, il 30 giugno 1975, non fosse stata sequestrata e poi barbaramente uccisa il 31 luglio, esattamente il giorno prima che i suoi genitori pagassero il riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire (oggi circa 5 milioni di euro).

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