×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 103

Pin It

 

"La tradizione è una guida e non un carceriere".
(W. Somerset Maugham)

"Essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male"
E. De Filippo

Credo si debba scindere il significato letterale di tradizione con superstizione o ignoranza.
Nella tradizione risiede la storia, i valori ed i costumi di un popolo.
La superstizione è un rito ridondante che segue presupposti fittizi e soprannaturali, atteggiamenti irrazionali che hanno poco a che vedere con la cultura storica e tangibile di una collettività .
L’ignoranza credo sia circoscritta al grado di apprendimento o di capienza informativa e di conoscenza che un essere può acquisire. Ma questo è relativo all’individuo e non al suo costume.
Ho riscontrato, per esperienza personale, una chiusura intellettuale, stagnante, circoscritta non al costume ma al luogo. Un punto di partenza mai iniziato.
E a volte la parola tradizione veniva usata, come concetto educativo obsoleto. Un’educazione primordiale, da rispettare a scapito del buon senso e della libertà intellettuale.
Ergo non guide ma carcerieri.
Per paradosso ho riscontrato più evoluzione conoscitiva e pragmatica nelle persone più mature di età. Quelle persone che hanno tatuato nella loro pelle e scritto nella loro vita la storia.
Le incontro spesso tra i vicoli pregni di ciclamini o di mantiglie nei loro balconi.
Sono saggi, sono dei bambini saturi di esperienza, sono i nostri nonni.
Rappresentano l’ identità di un paese in provincia di Catanzaro. Costituiscono un bagaglio di esperienze, di valori in cui essi credono.
Sono dei bellissimi bauli da aprire e non da soffitte o sottotetti.
Andiamo ad aprirne uno..
Una lampada ad olio, un centrino, un vestito bianco in pizzo e, una strana bambola.
Sembra più che una bambola, un fantoccio vestito di nero, un calzino riempito di paglia e la gamba di un vecchio pantalone per l’abito.
Segue foto

 

 


Un pupazzo di stoffa: ‘a monacheda (la monachella).
Il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio della quaresima, tempo di penitenza e di conversione.
In Calabria gli avi appendevano ai balconi una rudimentale bambolina di stoffa vestita di nero ("monacheda"), raffigurante la Quaresima ("Corajsima"), moglie di Carnevale, rimasta vedova la notte di martedì grasso.
Entriamo nello specifico:
Corajsima era la moglie (in alcune versioni la sorella) di Re Carnevale il quale, grasso com'era, moriva il terzo giorno per aver mangiato troppo durante i festeggiamenti, lasciando sola e nella povertà la magra moglie, la quale veniva appesa ai balconi per tutto il periodo di Quaresima, per aspettare la Pasqua.
Carnevale deriva appunto dal latino carnem levare, “privarsi della carne”,
"levare la carne", Corajisima, che significa invece Quaresima, era un fantoccio che veniva appeso ai balconi per ricordare il digiuno dalla carne da attuare il mercoledì delle ceneri fino a Pasqua. A quell’epoca non esistevano i calendari, le 7 piume conficcate in una patata (o un'arancia) ai piedi della bambola servivano a tenere il conto delle 7 settimane della Quaresima , se ne sfilava una ogni domenica (alcuni la sfilavano il sabato) fino al giorno di Pasqua, giorno in cui finiva il digiuno e i cosiddetti fioretti. Nella mano reggeva fuso e conocchia, attrezzi usati negli antichi telai, per simboleggiare il "tessere" dei 40 giorni.
Segue Foto

 

 


Una remota tradizione, un fantoccio nato negli anni di totale povertà, veniva creato con materiali di riciclo, si usava un calzino bianco per creare il capo; i rimanenti ritagli di stoffa, con cui le donne cucivano i loro capi, li utilizzavano per rivestire la bambola.

 

 

 

 


Incuteva timore la corajisima?
In effetti devo ammettere che un po’ di batticuore nel vedere il risultato finale mi è sopraggiunto ma ogni tradizione nasconde in sé un proprio dogma.

 

 

 

Pin It


Notizie