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di Sergio Melchiorre

21 gennaio 1944.
Un camion di soldati tedeschi si avvicina lentamente ad una masseria che si trova su una collina innevata della contrada «Sant’Agata» di Gessopalena, in provincia di Chieti.
Nella notte gelida, un filo di fumo grigiastro si alza dal comignolo e si disperde nel cielo plumbeo.

L’autista blocca il camion ad un centinaio di metri dalla masseria e spegne i fari.

Un ufficiale degli «alpenjäger» scende dall’automezzo, si avvicina ai soldati, armati fino ai denti, e, senza pronunciare una sola parola, indica loro l’obiettivo militare da espugnare.

Il fischio del vento ed il latrare dei numerosi cani randagi danno all’ambiente circostante un aspetto sinistro.

All’interno della masseria, la stanza è gremita di bambini, anziani e donne che dormono per terra attorno ad un focolare, dove ardono rami secchi e paglia con un crepitio quasi ritmico.

Improvvisamente, la porta si apre ed entrano i soldati urlando a squarciagola. Svegliano le persone assonnate con il calcio del fucile, strappano brutalmente i bambini dalle braccia delle mamme, le costringono ad entrare in cucina e le fanno stendere sul pavimento.

Una bambina teorizzata, accovacciata sulle ginocchia della madre che le accarezza i capelli, osserva, attraverso i vetri appannati della finestra, la neve che scende copiosamente dal cielo tumefatto.

Tre donne, vestite pesantemente e con il fazzoletto annodato dietro la nuca, cominciano a pregare mnemonicamente.

Una giovane donna incinta guarda frastornata le fiamme che si sprigionano dal fuoco.

L’aria è resa ancora più irrespirabile anche dal fumo prodotto dalla pipa di due anziani che continuano imperturbabilmente a fumare.

Una contadina, approfittando della distrazione dei militari, si alza di scatto e nasconde la figlia sotto al tavolo avvolgendola in una tela di iuta. Le altre madri stringono i propri figli al petto e guardano terrorizzate in direzione della porta.

Davanti alla masseria, alcuni militi sono appostati, con i fucili spianati, davanti alla porta, altri due sbirciano attraverso i vetri della finestra, mentre il resto del plotone rimane a debita distanza per coprirli in caso d’attacco a sorpresa.

Nella cucina, le donne sono distese a terra e formano, con i loro scialli e vestiti neri, un’onda scura e burrascosa.

Due anziani guardano stupiti i militari e il più arzillo dei due abbozza un sorriso che gli si smorza sulla bocca priva di denti.

Improvvisamente, entra l’ufficiale degli «alpenjäger» con una sigaretta penzolante sulle labbra.

La contadina alza leggermente la testa, si sistema dietro l’orecchio una ciocca di capelli ribelli che le sfiorano le spalle, poi si rivolge all’ufficiale: «Non vorrete farci del male, noi non abbiamo fatto niente!»

L’ufficiale guarda con disprezzo la donna, che ha osato rivolgergli la parola, e scarica l’intero caricatore del suo mitra in direzione dei due anziani appoggiati al muro.
I due uomini, colpiti a morte, si accasciano silenziosamente sul pavimento, come se stessero partecipando ad un gioco.

Cessa il vocio tipico dei luoghi affollati e scende un silenzio irreale.

L’ufficiale degli «alpenjäger» si guarda attorno con insolenza, poi rivolge lo sguardo sprezzante in direzione delle donne che, nonostante la sparatoria che è costata la vita a due persone, continuano a pregare.

«Come osate pregare il vostro dio in presenza di un ufficiale del Terzo Reich

L’ufficiale afferra la baionetta dalla fondina del suo cinturone, si avvicina alla donna incinta, la guarda negli occhi e con un colpo secco l’affonda nel ventre.
«Questo è per l’attentato che i banditi della Maiella hanno compiuto ieri in contrada Santa Giusta!».

Il maggiore si china sul cadavere della donna gravida, pulisce accuratamente il coltello insanguinato sui suoi lunghi capelli neri, si alza, si sistema la divisa poi esce dalla stanza.

Le altre donne ed i bambini assistono attoniti alla scena, in silenzio; soltanto alcune donne continuano a pregare, sommessamente.

I soldati chiudono la porta d’ingresso con delle funi e, attraverso una piccola finestra che si affaccia sulla Majella, gettono delle bombe a mano che fanno crollare la fattoria.
Le persone precipitano nel vano sottostante.

All’alba, la stanza è immersa nel silenzio più assoluto. Quaranta cadaveri sono allineati sul pavimento, l’uno di fianco all’altro, in modo ordinato, come se i carnefici avessero voluto dare un significato logico all’eccidio.

Il corpo della più giovane vittima denuncia eloquentemente la violenza sessuale subita, prima di essere brutalmente uccisa a colpi di pistola.
I suoi seni prosperosi, ormai senza vita, riaffiorano attraverso la camicetta strappata. La lunga gonna scura che indossa, alzata fino al basso ventre, lascia trasparire, senza malizia, due gambe ben tornite.

Una madre copre il proprio figlio con il suo corpo e il suo scialle nero, nell’estremo tentativo di salvargli la vita.

Davanti alla masseria, sotto alla neve che cade abbondantemente, quattro soldati tedeschi giocano festosamente, attorno ad un falò acceso, lanciandosi palle di neve.
Vicino al camion, parcheggiato in mezzo alla neve, un militare punta minacciosamente la sua mitragliatrice MG42 in direzione della masseria.

La luna ammicca attraverso un alone di bruma tra gli alberi ricoperti di neve.

Un sottufficiale si avvicina ai cadaveri allineati sul pavimento, con un tizzone ardente nelle mani che passa, con sorprendente freddezza e determinazione, sul collo delle vittime per accertarsi che [esse] siano realmente senza vita.

Arrivato al corpo di una bambina, apparentemente senza vita, il soldato tedesco solleva la tela di iuta, dove la madre l’ha nascosta per proteggerla, e le passa il tizzone ardente sulla nuca.

I muscoli del collo della bambina s’irrigidiscono spasmodicamente per il dolore, ma dalla sua bocca serrata, come una chiusura lampo, non esce nessun lamento.

Un altro soldato entra precipitosamente nella «stanza della morte» e si mette sugli attenti, davanti al sottufficiale che continua imperturbabilmente ad eseguire la macabra operazione.

«Mi scusi, Rotten-Führer, ma dobbiamo tornare alla base al più presto! Gli uomini della Wigforce stanno sfondando le nostre linee di difesa ed hanno oltrepassato la Terra di nessuno».

Il sottufficiale storce la bocca per il nervosismo, si alza, butta il tizzone ardente sui cadaveri e lo guarda dritto negli occhi.

«Cosparga di benzina i cadaveri, poi appicchi il fuoco usando il lanciafiamme!»

Il soldato tedesco esce, si avvicina al camion parcheggiato in mezzo alla neve, gesticola con l’autista del mezzo che gli tende un lanciafiamme attraverso il vetro dello sportello abbassato.

Il maggiore scruta scrupolosamente l’orizzonte con un potente binocolo.

La neve fa crepitare le fiamme che si alzano dal falò.

Il camion militare si allontana dalla masseria in fiamme e scompare dietro alle colline innevate.

In sottofondo si sente il fischio del vento che continua a scuotere i rami degli alberi ricoperti di neve.

Dalla catasta dei cadaveri, ammucchiati in mezzo alle macerie ed ai detriti, si alza singhiozzando una ragazza sporca di cenere.

Si guarda attorno con sgomento, cerca di pulirsi la faccia con il dorso della mano, poi si avvicina lentamente al corpo irriconoscibile della madre.

È ammutita per la paura, dalla sua bocca non escono che suoni inarticolati ed incomprensibili.

Cerca disperatamente di richiamare l’attenzione di qualcuno.

Dalle macerie esce il fratellino ricoperto di polvere e cenere che si è miracolosamente salvato nascondendosi sotto un tavolo.

I due adolescenti, accertatosi che non ci siano altri superstiti, escono precipitosamente dalla stanza e si dirigono singhiozzando mano nella mano in direzione del paese.

In lontananza la Majella innevata ha assistito attonita all’ignobile massacro nazista che è costato la vita a 42 innocenti.

 

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Info Autore
Sergio Melchiorre
Author: Sergio Melchiorre
Biografia:
Sergio Melchiorre (poeta, sceneggiatore cinematografico, scrittore di racconti brevi e paroliere), ha scritto cinque sceneggiature cinematografiche. Ha pubblicato tre raccolte di poesie e «Uno di noi», «Rosso purpureo» e «Occhi autunnali». 2015, «Il cacciatore di mosche» vince il 1° posto al Premio Internazionale di Letteratura «Per troppa vita che ho nel sangue – Antonia pozzi», Arese, 2017. 15 ottobre 2017, la lirica «Non cercarmi» ottiene il 1° posto al XXVIII Premio Nazionale «Città di Pinerolo 2017». Il 18 luglio 2019, gli viene conferito dal Comune di Vernole il Premio alla Carriera. Il 06 ottobre 2019, il suo libro «Occhi autunnali» ottiene il 1° posto al Premio Letterario «Città di Pinerolo».
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