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Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale di Genova, è stato minacciato ed insultato sui social, dopo essersi vaccinato contro il Covid-19 ed averne difeso i benefici. L’infettivologo, da sempre un fervente sostenitore del vaccino, nel giorno del Vaccine Day, viene immortalato mentre riceve la prima dose dell’antidoto:
«Mi sento più forte! – queste le sue parole ad inoculazione avvenuta – . E’ iniziata una nuova era, speriamo sia quella del post Covid. È incominciata la nostra controffensiva contro il virus - ha aggiunto - . Il vaccino è un atto d’amore per noi, per le persone che amiamo e per la comunità in cui viviamo».
L’ira dei no-vax , causata dal gesto e dalle parole di Bassetti, non ha tardato a farsi sentire, per poi manifestarsi su facebook con gravi intimidazioni nei suoi confronti. Il medico, per nulla intimorito, ha dichiarato che continuerà la sua attività di informazione senza recedere di un millimetro, e che gli attacchi lo faranno sentire ancora più forte e determinato. Ovviamente, il fatto è stato denunciato alla Digos ed alla Polizia Postale.
Matteo Bassetti, ospite di una trasmissione televisiva, si toglie qualche sassolino dalle scarpe e lancia precise accuse allo Stato: «Bisognerebbe che qui tutti si facessero un esame di coscienza. Il compito di spiegare come funzionano i vaccini, perché sono importanti, non deve ricadere solo sui medici. E’ chiaro che quando si viene lasciati soli si finisce per diventare il bersaglio di tutti”, e - sottolinea - : «Avrei voluto vedere una campagna forte sui vaccini, soprattutto in questi 15 giorni che siamo rimasti a casa, chiusi per le zone rosse. Gli spot dovevano essere continui ed ininterrotti, fatti in maniera scientifica e corretta, in modo tale da spiegare ed insegnare agli italiani come porsi di fronte a questa campagna di massa». Bassetti conclude denunciando – «Purtroppo, questo non l’ho visto e siamo pesantemente in ritardo rispetto agli altri Paesi. Quindi, queste campagne d’odio che colpiscono alcuni di noi, hanno anche una responsabilità di una non guida centrale».
Immediata la solidarietà del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che ha dichiarato: «Forza Matteo, vaccinandoti hai dato il buon esempio insieme alla nostra task force e a tanti operatori della nostra sanità e sono certo che gli insulti non fermeranno il tuo grande lavoro. In questi giorni più che mai mi chiedo se il vaccino contro la stupidità avrebbe effetto su certa gente».

 

 

Oggi vi voglio parlare di come a volte si danno giudizi affrettati sugli altri e sul loro comportamento. Vi parlerò di una commedia vista in televisione molti anni fa. Allora la televisione era in bianco e nero e c’erano solo i 2 canali della RAI, non c’era molta scelta, per cui si guardava quello che c’era. In televisione c’era anche la prosa, varie commedie, anche americane e russe, che si guardavano ugualmente, anche se non c’era azione e colpi di scena, e avevano un andamento molto lento.
C’erano le commedie di Anton Čechov, di Arthur Miller, di Carlo Goldoni.
Ricordo i titoli di alcune commedie: "Vita col padre", "Casa di bambola", "Morte di un commesso viaggiatore", "Il giardino dei ciliegi".
Ricordo una commedia ambientata in periodo natalizio. Si svolgeva in una famiglia media americana. In questa famiglia si aspettava la visita di uno zio molto ricco, e intanto si chiacchierava. Si criticava questo zio, che nonostante fosse molto ricco, come regalo di Natale portava sempre una semplice cassetta di arance. Si chiedevano cosa ne facesse di tutti i suoi soldi.
Arriva lo zio che porta la solita cassetta di arance e si comincia a chiacchierare.
Ad un certo punto lo zio nota un comportamento che gli sembra strano in uno dei bambini della famiglia. Convince i genitori a farlo visitare da un medico e si scopre che il bambino ha una malattia molto grave, e che ha bisogno di cure molto costose.
Lo zio lo fa curare a sue spese. E il bambino guarisce.
Alla fine della commedia lo zio muore. Una parente che si occupa di sistemare le cose dello zio trova un diario di appunti dello zio e scopre come spendeva i suoi soldi e lo rivela agli altri parenti. Si occupava delle cure mediche di bambini poveri ammalati, spendeva i suoi soldi per curare questi bambini. Nel diario c'erano i nomi di tutti i bambini che aveva fatto curare. Legge i nomi dei bambini e le cure che hanno avuto. L'ultimo è quello del bambino della famiglia. Tocca a lei scrivere su quel diario per l’ultima volta la parola “guarito”.

Salvatore Cutellé
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Esistono luoghi che tu puoi chiamare casa pur essendo sprovvisti di solidi muri e tetti che ti riparano dalla pioggia. Esistono famiglie costituite da persone senza alcun vincolo di parentela, famiglie che si riuniscono alle 9, ogni sabato, in un parco per correre o camminare insieme 5 chilometri, i quali possono essere facilissimi o durissimi da affrontare, e questo a seconda dell’ età, delle capacità o semplicemente dalla voglia e dal tempo che si ha a disposizione quel giorno. Questi luoghi e queste famiglie, composte quest’ultime anche dai tanti volontari che con la loro presenza rendono possibili questi eventi, hanno un nome, ed è un nome inglese scritto rigorosamente in minuscolo: parkun.


Ma procediamo con ordine, dalle origini:
Il 2 ottobre 2004 uno sparuto gruppetto di podisti amatori guidati da Paul Sinton-Hewitt si ritrova a Bushy Park, un parco a Sud Ovest di Londra per dare vita al Bushy Park Time Trial, una corsa gratuita cronometrata della lunghezza di 5 km. Entro breve il nome sarebbe mutato in parkrun e questo evento avrebbe preso prepotentemente piede fino a comprendere quasi 2000 parchi in ventidue paesi sparsi nei 5 continenti ed una comunità costituita da milioni di corridori e volontari, pur mantenendo come segni distintivi l’assoluta gratuità e la non competitività.


Il motivo di questo enorme successo risiede nel senso di comunità e solidarietà che questi eventi riescono a creare; il coinvolgimento emotivo è notevole, la corsa forse solo un dettaglio per i più. In queste corse puoi trovare da campioni del calibro di Paula Radcliffe al vecchietto con nipotini al seguito, alla mamma con la carrozzina. Nessuna gara, solo la voglia di esserci e di godere di una sana attività fisica all’aria aperta e di un’ottima compagnia. Condivisione, questa è la vera ed unica parola d’ordine.


Funziona così: alle 8 di ogni sabato mattina e con qualsiasi tempo atmosferico tre o quattro volontari addetti alla preparazione dell’evento perlustrano il percorso alla ricerca delle eventuali criticità e mentre lo fanno adagiano sul suolo dei piccoli coni di colore arancione, questo per delimitare il percorso, e inoltre piantano delle frecce che permetteranno ai corridori/camminatori di non perdersi. Ritornati al punto di partenza il Run Director, il direttore di corsa nominato dal responsabile fisso dell’intero evento, chiamato Event Director, assegnerà gli altri ruoli ai volontari che nel frattempo sono arrivati. Questi ruoli comprendono tra gli altri: il cronometrista, l’addetto allo scanner e quello ai token, i marshals, il camminatore di coda. Alle 8:55 il Run Director, riconoscibile da un gilet bianco, comincia ad illustrare il percorso e ad impartire delle istruzioni di base in un briefing di un paio di minuti e la cui traduzione in inglese (vista la numerosa presenza di parkrunners stranieri) è spesso affidata ad un volontario madrelingua o ad uno che conosce bene l’idioma. Alle 9 in punto, dopo le foto di rito, i corridori/camminatori si avvicinano alla linea di partenza e aspettano il via che verrà dato dallo stesso direttore. Solo alcuni avranno l’ardire di far partire i loro costosissimi cronografi personali, coloro che hanno una sfida in corso con sé stessi, quelli che vogliono migliorare i loro tempi che, l’organizzazione attenta di parkrun custodisce in un prezioso database aggiornato con puntualità dopo ogni evento. Gli altri, anziani, bambini e coloro che hanno soltanto voglia di farsi una passeggiata cominciano pian piano ad affrontare il percorso sia esso fangoso o arido a seconda del tempo e delle stagioni. Dietro di loro con il convenzionale gilet arancione troviamo il camminatore di coda: colui che chiude le fila e che controlla che tutto si svolga senza intoppi. Durante il percorso i partecipanti ricevono l’applauso e l’incitamento dei marshals posizionati nei vari punti strategici del percorso, punti nei quali vi è la remota possibilità di sbagliare strada. All’arrivo, mentre un cronometrista avrà cura i prendere i tempi, un altro volontario consegnerà a chi man mano arriva un token, una specie di gettone con un numero progressivo che indica la posizione ottenuta. Questo “tokens”, unitamente ad un codice a barre che i partecipanti avranno stampato dopo la necessaria registrazione al sito di parkrun, verrà consegnato ad un altro volontario il quale farà convolare a giuste nozze tempi e posizioni. I parkrunners più esperti o coloro che ne hanno sentito la necessità o il desiderio avranno acquistato un braccialetto con il codice a barre di cui sopra impresso. Di solito tra i primi arrivati e gli ultimi passa oltre un’ora, ma nessuno sembra preoccuparsi dell’attesa poiché, nel frattempo, viene organizzato il cosiddetto “terzo tempo”: forse la parte più bella dell’evento. E’ un momento di condivisione e risa, di bicchieri di prosecco che si susseguono per festeggiare qualsiasi tipo di ricorrenza (anche inventata) e fette di torta dall’apporto calorico doppio rispetto alle energie spese. Poi con calma, con molta calma, dopo aver sistemato il percorso, tutto finisce... ma poi che fai un caffè al bar non te lo vai a prendere? Sono solo le 12…


Queste manifestazioni si sono diffuse in Italia grazie a Giorgio Cambiano, un insegnante palermitano che nel marzo 2014 incontra in un caffè di Windsor Paul Sinton-Hewitt, il vero padre di parkrun I due trovano subito una certa intesa e a Giorgio viene data la possibilità di importare in Italia questa iniziativa: nasce a maggio 2015 Uditore parkrun (dal nome di un parco palermitano dove si terrà il primo evento italiano assoluto), grazie anche al prezioso apporto di Aldo Siragusa, esperto runner ed organizzatore di gare Trail. Da lì il fenomeno ha preso notevolmente piede nella nostra penisola, infatti attualmente gli eventi attivi sono 18 in varie regioni e molti altri sono in attesa del via.


A Roma gli eventi sono due: Caffarella e Pineto, quest’ultimo il primo parkrun inaugurato nella capitale. Il parco del Pineto si trova nella zona nord della capitale ed offre a tutti coloro che lo frequentano una vista mozzafiato sulla cupola della basilica di S. Pietro. I volontari dell’associazione Pineto nel Cuore lo rendono un posto piacevole per una passeggiata, una corsa, quattro chiacchere seduti in una delle numerose panchine da loro amorevolmente dipinte. In questo periodo reso difficile dalla diffusione del virus ovviamente i parkrun sono sospesi in quasi tutto il mondo ed anche il Pineto parkrun è fermo ai blocchi, lasciando un senso di vuoto nei partecipanti abituali e non. Come non rimpiangere i briefings timidi e sbrigativi di Salvatore Vassallo, Event director, che insieme alla moglie Roberta Pastorino costituisce il vero fulcro dell’evento; le avvolgenti e coinvolgenti traduzioni di Jennifer Stripe che, malgrado sia piuttosto giovane, vanta un’ esperienza come parkrunner che risale al 2013 quando cominciò a Walthamstow, zona nord est di Londra, per poi spostarsi a Mile End per dare possibilità al figlioletto Gabriele di prendere parte alle Junior parkrun; le ripetute vittorie di Luigi De Luca, un vero recordman per tempi e presenze, parkrunner italiano dell’anno 2019 per i suoi straordinari risultati e la sua incredibile assiduità. E mancano pure i volti ed i sorrisi dei tanti volontari e partecipanti: Rodrigo, Marco, Fabio, Silvano, Ugo, Andrea, Sabrina, Beatrice, Cristina, Amber, Gilberto, il giovane Riccardo, il fotografo Emanuele Musolino e, naturalmente, tutti gli altri. Il filo però non si è totalmente interrotto: infatti in questo periodo contrassegnato dall’emergenza sanitaria è stata data vita ai (non)parkrun, corse in solitaria sui 5 km fatte durante la settimana con il solo scopo di mantenere accesa almeno la speranza che un giorno ci si possa riabbracciare e correre fianco a fianco. Pineto parkrun detiene il record in Italia per eventi virtuali ed il merito quasi esclusivo va ascritto alla già citata Jenny che non ha mai mollato un centimetro anche quando sarebbe stato molto più facile farlo.
Ah, dimenticavo…. cosa si vince? Nulla. Fatta eccezione per delle maglie che vengono spedite gratuitamente a casa direttamente dall’Inghilterra ai volontari dopo 25 parkrun, ai corridori camminatori dopo 50, 100, 250 e 500 corse e a dei momenti indimenticabili da trascorrere insieme.

 

 

 

Carlo Angelo Orpheo Colombo Porro, vive e lavora tra la Brianza e Milano considerando fuggiaschi periodi felici di riposo nella grandeur della provenza francese, Nice. Vanta nobiltà di toga e di spada. Laureato nelle materie giuridiche legislativo-amministrative, simpatizza per le scienze umanistiche. Proveniente da una formazione laico-religiosa è impegnato nella vita socio culturale e filantropica del territorio comense con un particolare impegno verso i disagi giovanili dove promuove attività di conforto. Avviato dal nonno materno al piacere per l’antiquariato e all’arte in genere, ha maturato negli anni una accentuata predisposizione al gusto del bello. Estimatore delle radici storiche del territorio e famigliari, conserva e studia usanze e credenze. Produttore, autore, regista, attore filodrammatico per più di dieci anni in un gruppo di teatro amatoriale. Allena una discreta attività sportiva: sci, equitazione e vela senza particolare agonismo.
E’ decorato giovanissimo dal Presidente della Repubblica con Croce di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Ha ricevuto dal Ministero dell’Interno -Dipartimento di Protezione Civile- il primo grado di Benemerenza. Insignito fanciullo dalla Croce Rossa Italiana nazionale con titolo “Perpetuo” e inquadrato successivamente nel Corpo Militare della stessa come ufficiale del ruolo commissari. Riceve pubblico riconoscimento con Attestato di Merito per sensibilità e collaborazione da parte di UNICEF Como per l’attività rivolta ai fanciulli. E’ membro di alcuni sodalizi di associazioni combattentistiche e d’arma. Presiede l’ente provinciale di Como dell’Associazione Nazionale Carabinieri. Con altri tre soci fondatori è padre ispiratore del progetto “Studenti con le stellette… para pro vitae.” Chiamato in incarico da Regione Lombardia quale professionista componente nel Comitato Tecnico Scientifico Contro le Mafie. E' relatore di una tesi in Diritto Ecclesiastico sull'attività castrense dei Cappellani Militari. Abilitato quale referente per Ente convenzionato con Tribunale di Como e Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna, per persone imputate e messe alla prova con lavori socialmente utili.

 

 

Nel calendario celtico degli alberi, Beth, la betulla apriva l'anno dei tredici mesi della luna.
I Celti infatti si basavano sull'anno lunare e per questo avevano tredici mesi. Beth, la betulla aveva il tempo tra il 24 Dicembre e il 21 Gennaio.
La betulla è un albero di luce, poiché essa indicava il sole che risaliva nel cielo.
Essi collegavano la personalità umana all'albero sacro del periodo in cui avveniva la nascita, per cui chi nasceva tra il 24 Dicembre e il 21 Gennaio era " il realizzatore".
Sulle montagne del Veneto, anticamente, per dichiarare l’amore alle ragazze si usava portare dei rami di betulla sbocciati ed in boccio davanti alle porte delle loro case....ed iniziava Primavera nella stagione e nel cuore.
Dalle gemme viscose della betulla le api raccolgono un liquido gommoso per fare la propoli, una specie di resina che loro arricchiscono di enzimi e antibiotici che usano per rivestire internamente le loro case.
Noi la usiamo in soluzione alcolica per disinfettare ferite, perché possano cicatrizzare meglio e per molti altri scopi.
La betulla è un’albero che arriva a superare anche un’altezza di venti metri, ha una sottile meravigliosa corteccia bianco - argentata, colore particolare dovuto alla “ betulina” una sostanza di cui è impregnata la sua scorza.
Nel Nord euroasiatico la betulla è molto amata, la ritengono un albero divino.
Gli sciamani, o guaritori, la considerano nelle loro divinazioni addirittura la scala che conduce al cielo.
Io amo molto la betulla perché è il mio albero, sono nata in questo arco di tempo, e dipingo betulle in molte tecniche diverse: olio, acquarello, matite acquarellabili e gessetti, pastelli grassi ecc. fino alla tecnica con l’ago, cioè l’arte del ricamo con disegno a mano libera sulla tela.
A tutti un cammino di luce e di gioia in questo nuovo anno.
Ed auguri a chi è nato nel tempo della betulla.

 

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