di Annamaria Emilia Verre
25 Aprile FESTA DELLA LIBERAZIONE. Tale data è stata scelta convenzionalmente come giornata di Festa Nazionale perché quel giorno nel 1945 l’Italia si libera dai fascisti e dall’occupazione nazista.
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è la nostra Costituzione”. Come ci ricorda Calamandrei, uno dei padri costituenti, la nostra Carta Costituzionale è nata dal sacrificio di più di 200 mila partigiani che misero a rischio la loro vita per restituire al nostro Paese la libertà e la dignità distrutta dall’orrore della guerra.
Ancora quest’anno vista la situazione emergenziale dovuta alla pandemia che colpisce non solo l’Italia ma il resto del mondo , non è possibile celebrare tale giornata, ma è nostro dovere ricordare chi contribuì a rendere l’Italia una Repubblica democratica, in cui le libertà sono costituzionalmente garantite. La Resistenza non è solo un importante fatto storico ma costituisce “memoria educante”, in quanto da questo movimento di persone e di idee hanno preso forma quelle istituzioni che garantiscono ancora oggi la convivenza dei cittadini in libertà, anche con la coesistenza di opinioni diverse. La mia attenzione si pone sulle donne di quel tempo, che nel silenzio hanno combattuto alla pari dei loro uomini. Sono le “STAFFETTE PARTIGIANE”, ruolo ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni. Il loro compito era quello di camminare, “biciclettiste che andavano come il vento” come nel 1944 andava Dina Croce, storica staffetta partigiana lombarda. Il pericolo peggiore era quello di cadere nelle mani dei tedeschi o dei fascisti. Nessuna di loro sapeva come avrebbe reagito alle torture, se sarebbe riuscita a resistere. Dice Marisa Ombra “ Il lavoro della staffetta era un lavoro solitario. Ricevuto l’ordine era affar suo eseguirlo […]. Tutto dipendeva dalla prontezza nel capire le situazioni e nel decidere come era meglio fare. Il lavoro delle staffette non era solo prezioso, era davvero il più difficile. Richiedeva prontezza di riflessi, capacità di mimetizzarsi e anche di improvvisare e recitare parti che potessero risultare credibili. Richiedeva sangue freddo e lucidità, stare sempre all’erta”. Esse avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie. Erano sempre in prima linea trasportando cibo, armi, riviste, materiali da propaganda, ma non erano armate per cui non potevano difendersi né difendere. Rischiarono la loro vita, subirono torture e violenze sessuali. Altre donne ebbero il compito di proteggere i partigiani, nascondendoli nelle loro case, preoccupandosi della loro sopravvivenza. Altre parteciparono direttamente alla lotta armata. Queste ultime dovettero affrontare ostacoli anche nelle stesse brigate partigiane. Nel suo libro “Con cuore di donna” ci racconta Carla Capponi, figura centrale della Resistenza romana, vice comandante dei GAP, “I suoi compagni non volevano concederle l’uso della pistola e per questo fu costretta a rubarla in un autobus affollato, ed anche in quel caso i compagni provarono a sottrargliela”. Probabilmente riconoscere alle donne la possibilità di utilizzare le armi significava riconoscere “una uguaglianza di genere”. Quello delle donne impegnate nella Resistenza dopo l’8 Settembre del 1943 fu un “maternage di massa” concetto con il quale la storica Anna Bravo alludeva alla “disponibilità femminile nei confronti di un destinatario ben determinato il giovane maschio vulnerabile che si rivolge, in quanto tale, alla donna come ad una figura forte e protettrice, vale a dire a una madre”. Le madri della montagna continuarono a lavorare, cucinare, tagliare, cucire, preparare viveri per i partigiani, avvisavano dei rastrellamenti consentendo ai loro uomini di mettersi in salvo, e in molti casi, versavano lacrime per i figli veduti cadere sotto i loro occhi.
Nonostante questo, solo poche di loro furono decorate con medaglie d’oro o d’argento al valore militare. Al momento della liberazione le donne vennero escluse dalle sfilate partigiane nelle città liberate. Per decenni a livello storiografico e istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato mai adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato a un ruolo secondario. Dopo la fine della guerra ci fu un silenzio generale sulla Resistenza femminile, probabilmente perché si cercò di normalizzare il ruolo delle donne che proprio durante la guerra avevano sperimentato una emancipazione di fatto dai ruoli tradizionali. “Ma insomma, se sapessero solo cos’hann fatto le donne …!!!” A vibrare è la voce di una partigiana piemontese. Donne che poi furono dimenticate, schiacciate dietro le quinte della Storia da una narrazione della Resistenza tutta al maschile, rimandate a casa dopo la Liberazione al ruolo di madri, di mogli, di figlie. Donne vissute in un tempo di fuoco e di disperazione che avevano nomi precisi: fascismo, guerra, dittatura, occupazione. In quanto donne, in quel tempo, il loro compito era quello di restare a casa, erano chiamate “Gli Angeli del focolare”. Ma come disse Tina Anselmi “ Per cambiare il mondo bisogna esserci” . Esse decisero di combattere e di ribellarsi . Non fu facile, ma riuscirono a vincere: sconfissero il fascismo, alcune vennero elette alla Costituente, le famose 21 Madri della Costituzione, tra cui Teresa Mattei, Nilde Jotti, Lina Merlini, Teresa Noce, Tina Anselmi, conquistarono la Repubblica. In quegli anni si capirono molte cose. Anzitutto gli uomini capirono che le Donne lottavano, sparavano, avevano paura e coraggio, esattamente come loro. Le Donne capirono due concetti fondamentali: il primo “la libertà è come l’aria non se ne può fare a meno”, il secondo “la libertà non è un regalo, ma è una conquista che va difesa giorno per giorno”. Da allora le Donne hanno sempre combattuto, per cambiare le leggi e la mentalità dei giudici. Non accadde tutto in un giorno, fu un processo lento e sofferente, che gradualmente portò a ottenere il diritto di voto (1946), abolire lo jus corrigendi (1956), l’ istituzione del divorzio (1970), l’abolizione del delitto d’onore e la scomparsa del matrimonio riparatore (1981), la violenza sessuale diventa reato contro la persona (1996), stalking (2009). Purtroppo sono tanti, ancora, i diritti non riconosciuti e non applicati uno per tutti la parità salariale. Ancora oggi accadono atti di violenza , stupri, omicidi … e quante volte toccherà sentire “se l’è cercata!!!”. Ecco perché è importante “ESSERCI” per continuare a cambiare le persone, le loro mentalità e come disse Carla Nespoli “ Gridiamo forte alle donne e agli uomini di fare attenzione perché se dovessimo tornare indietro, noi con i nostri diritti fondamentali, tornerebbe indietro tutta la Democrazia italiana perché nel ‘900 tutto il cammino delle Donne è stato il cammino della Democrazia”. Ecco perché occorre non dimenticare e continuare a battersi per i diritti di tutti. Ecco perché , nonostante tutto quelle Donne di ieri sono ancora qui ad allungare il “testimone della Memoria” alle Donne di oggi a ricordarci “Siate partigiane ogni giorno per essere libere sempre”.