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Siddharta, l'opera più rappresentativa del premio nobel Hermann Hesse.
Ma chi è Siddharta? È colui che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita.
Il protagonista dimostra, dopo aver sperimentato, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, dall’assoluta povertà al lusso sfrenato, di essere giunto infine alla meta che si era preposto. Il “cercare” di Hesse è superamento del materiale, di ciò che crediamo indispensabile alla nostra vita ma che in realtà non serve, che non aiuta ad elevare l’anima verso una conoscenza maggiore. In Hesse forte è l'influenza agostiniana.
Sant’Agostino disse che il cercare è già di per sé un trovare e Siddharta è proprio un cercatore.
Protagonista del libro è un ragazzo indiano, Siddharta, che vive nel VI secolo, in un’ India che pullulava di predicatori, profeti, monaci mendicanti, digiunatori, tutti intenti ad affermare l’autenticità del loro credo.
Figlio di un ricco bramino , non si sentiva soddisfatto di sé. Per queste ragioni decise di abbandonare la casa dei genitori e di andare a vivere, insieme a Govinda, suo inseparabile amico, con un gruppo di pensatori che viveva di molto poco, i Samana, meditatori solitari, che dopo essersi spogliati di tutti i loro beni cercano la strada dell’Illuminazione attraverso la meditazione, e il digiuno. Così fa infatti Siddharta. Dopo aver vissuto con loro, lui e Govinda decidono di andare a vedere il Buddha Gotama, alla quale setta Govinda decide di aggregarsi. Siddharta rimane da solo, si sentiva felice e prosegue per la città, dove rimane ammaliato dalla bellezza di una splendida donna, una cortigiana. Decise di apprendere da lei l’amore ed imparò a lavorare, ad arricchirsi e a spendere per amore della dolce Kalama.
Dopo anni e anni passati con la donna, Siddharta capisce il suo errore, che denaro e piacere fisico avevano corrotto il suo spirito, capisce di aver perso la sua felicità interiore, si dispera e scappa lasciando Kamala che avrà poi un figlio da lui e che crescerà da sola.
Egli arrivò al punto da meditare il suicidio, pregno dei sensi di colpa. Ma la vita sembra dargli un’altra possibilità, il destino fece si che Siddharta incontrasse l’ amico Govinda. Un incontro davvero significativo e Siddharta ritrova la forza di ricominciare. Si fermò così sulle sponde del fiume, proprio là dove avrebbe voluto porre termine alla sua vita e visse per molti anni con il barcaiolo Vasudeva , dal quale apprese molto. Qui incontrò anni dopo anche Kamala, insieme al figlio. A seguito del morso di un serpente Kamala morì lasciando il piccolo Siddharta con il padre. Ma il ragazzo era ribelle, e quando decise di andare via a Siddharta non restò altrò che lasciarlo andare. E in quel momento comprese anche la sofferenza che aveva inflitto ai suoi genitori, quando da giovane aveva preso la stessa decisione. E si giunge alla conclusione del libro con il nuovo incontro tra Siddharta e Govinda ormai anziani e sapienti, che si raccontano le loro vite. Govinda chiede all’amico quale sia, dopo tutti quegli anni la sua filosofia :

"Vedi Govinda, questo è uno dei miei pensieri, di
quelli che ho trovato io: la saggezza non è
comunicabile. La saggezza che un dotto tenta di
comunicare ad altri, ha sempre un suono di
pazzia. […] La scienza si può comunicare, ma la
saggezza no. Si può trovarla, si può viverla, si può
farsene portare, si possono fare miracoli con
essa, ma dirla e insegnarla non si può."

L’autore in quest'ultimo passo afferma che la saggezza non si può trasmettere come le conoscenze, ma ognuno deve maturare interiormente fino a raggiungere questo stato mentale.
E vuole altresì dimostrare che il peccato alberga in ogni uomo, anche il più puro, ma ognuno di noi ha varie possibilità per trovare una pace interiore che non sia effimera.
E questo avviene grazie alla miriade di esperienze che arricchiscono ogni essere umano, ai dubbi che ci poniamo e alla sete di conoscenza che abbiamo.


Da leggere, meditare e rileggere.


Chi è Hermane Hesse?
Nato a Calw nel 1877, morto a Montagnola nel 1962.
Scrittore, poeta e pittore tedesco, vincitore nel 1946 del Premio Nobel per la Letteratura.
Ha all’attivo oltre trenta romanzi e una vasta produzione di racconti, oltre ad una quindicina di raccolte di poesie.
Tra le sue opere più importanti “Narciso e Boccadoro”, “Il lupo della steppa”, “Demian”, “Il gioco delle perle di vetro”. I suoi romanzi, così come le sue poesie, sono intrise della filosofia indù e buddhista.

 

Giusto Calvi (nella foto) nasce a Bassignana, piccolo comune della provincia di Alessandria il 20 maggio del 1865 da una famiglia di agricoltori benestanti. Oltre che autore dei volumi di poesie “Ore d’ozio”e “I senza patria”, pubblicati rispettivamente nel 1892 e nel 1899 dalla tipografia “Giovanni Farina”, è fondatore e/o cooperatore di diversi giornali, sia in Italia che all’estero. Calvi è stato definito tra i letterati più di rilievo, vissuti tra l’ottocento e il novecento. Sin dall’ adolescenza si rivela sensibile ai problemi sociali e alla differenza di condizione tra i poveri e i ricchi, temi per i quali si occuperà e lotterà fino alla fine dei suoi giorni. Per questo motivo si iscrive prima al partito repubblicano, per poi passare all’internazionale socialista.
Frequenta l’università a Roma, laureandosi in lettere, filosofia e storia. Nel 1887 rientrato nella sua provincia assume l’insegnamento presso il Ginnasio di Valenza, città dove trascorrerà diversi anni della sua breve esistenza.
Nel 1889 fonda sempre a Valenza con l’amico avvocato Alfredo Compiano il giornale locale “Avanti” di ispirazione socialista, dove attacca con foga le classi borghesi della città, ma i suoi articoli non sono graditi, per cui gli viene vietata la pubblicazione del giornale e tolta la cattedra d’insegnamento.
Nel 1894 si trasferisce negli Stati Uniti, vi resterà fino al 1898; in questi anni dirige diversi giornali, da “Il Vesuvio” a Filadelfia, al “Colombo” a New York, e “La sentinella” a Richmond. Nel frattempo sposa Anna Springer dalla quale ha una figlia che chiama “Libertà”.
Rientrato in Italia per un breve periodo a Milano sarà ospite delle patrie galere per motivi politici.
In seguito sempre a Milano, diventa redattore della “Vita internazionale”, organo che si occupa di pace e giustizia.
Dopo questa parentesi milanese rientra a Valenza dove fonda il giornale “La scure”, organo dell’associazione proletaria valenzana.
Nel 1904 viene eletto deputato per il partito socialista italiano, carica che ricoprirà fino al 1906, quando viene colpito da una grave infezione alla gola, continuerà comunque a dirigere il giornale fino alla sua morte il 17 giugno del 1908.
Nel 1909 esce postumo il volume “Versi” edito dalla casa editrice “Renzo Streglio”.
Sulla lapide commemorativa affissa nella sua casa di Valenza, è scritto: “In questa casa con fede antica Giusto Calvi Poeta Cittadino Tribuno bandì primo in Valenza la nuova religione della giustizia sociale”.

Concludo con una breve poesia tratta dalla sua raccolta poetica:

 

MUORE L’ANNO

De la scarne nocche batte san Silvestro
sovra i bronzi cristiani l’ultime ore,
ne la bruma, e par lamento,
passa il suono e l’anno muore.

Ne la fiamma dei tuoi baci, sperdi, io Lilia,
sperdi questo triste suon di funerale,
e la morte a noi dell’anno
rida come uno sponsale.

A la vita ed a la morte! Scorran Lilia,
or degli avi le vendemmie ne’ bicchieri:
lieve ai morti sia la terra
lieve ai vivi i lor pensieri!