La poesia, anche quella in musica, ha una potente capacità di descrivere la realtà in modo sintetico e preciso. A volte capita che, inconsapevolmente, l'autore anticipi il futuro o, meglio, che crei un ambiente narrativo talmente forte che, pur non riferendosi al nostro presente, lo racconti in modo sorprendente a chi prova a leggervi il mondo che sta vivendo.
È quello che perlomeno capita a me da un anno a questa parte quando riascolto Space Oddity di David Bowie. Era il 1969 quando l'artista londinese scriveva questo capolavoro che ha attraversato i decenni rappresentando un esempio di architettura musicale capace di raggiungere, attraverso le orecchie, il cuore di tutte le generazioni che l'hanno suonata sul giradischi, sul CD, sul lettore digitale, tramite Spotify o semplicemente ascoltata per caso in radio o in televisione. Di sicuro Bowie non avrebbe mai potuto immaginare, però, quanto il testo - di per sé oggettivamente strutturato secondo canoni innovativi per gli anni in cui è uscito - avrebbe rappresentato la nostra attuale situazione mondiale; a partire dal titolo: Stranezza Spaziale. Da un anno mettiamo uno strano spazio tra noi e gli altri, uno spazio necessario, uno spazio da scoprire perché molti di noi non erano abituati a convivere e a cercare i frutti della propria solitudine. In questo senso siamo tutti, oggi e da un anno, come il Maggiore Tom, il protagonista del brano del Duca Bianco. Ogni mattina, indossiamo il nostro casco, la mascherina, per affrontare un mondo diverso, sconosciuto come lo spazio da esplorare in una missione verso la Luna, ma anche come quello che circonda ciascuno di noi quando siamo in fila distanziati al supermercato, quando ci spostiamo per andare al lavoro, quando vediamo noi stessi e gli altri, contemporaneamente pericolo e soggetto da difendere - o almeno così dovrebbe essere. Come il Maggiore Tom siamo sempre in contatto con le nostre "basi Terra": siano i media dai quali speriamo di ricevere notizie confortanti oltre alle norme di comportamento che si adattano mano a mano che le ignote dinamiche di quella microscopica ma letale minaccia chiamata Covid-19, vengono scoperte e codificate, siano i telefoni, le riunioni Zoom, le chiamate WhatsApp attraverso le quali manteniamo il contatto con i nostri affetti dai quali per protezione o restrizioni non possiamo recarci fisicamente. Ogni giorno tutti noi, ci sentiamo soli nell'universo della quotidianità e, contemporaneamente al centro dell'attenzione: guardano - e guardiamo - come gli altri indossano la mascherina, quando starnutiscono se lo fanno nella piega del braccio, se le distanze sono rispettate, ci domandiamo se le superfici sono disinfettate, se i vaccini funzioneranno. Siamo al centro dell'attenzione e, allo stesso tempo, proprio come il Maggiore Tom ci sentiamo seduti su una lattina: la sua navicella spaziale, frutto di tanta scienza diventa qualcosa di fragile, così come per noi oggi, gli studi di migliaia e migliaia di scienziati di tutto il mondo ci appaiono dubbiosi, abituati come siamo a ricevere risultati e non a osservare i processi di creazione degli stessi. Come il Maggiore Tom, dalla nostra solitudine guardiamo il mondo e lo vediamo blu, proprio come lui, nei due sensi dell'accenzione inglese: più limpido e pulito, e contemporaneamente più triste, angosciato. E come in Space Oddity, oltre 2.650.000 Maggiori Tom sono scomparsi nel modo, senza colpa, fino ad oggi, lasciando detto a un operatore sanitario, a una telefonata, a un messaggio "Dite a mia moglie che l'amo tanto, lo sa" (e a "moglie"potete sostituire qualsiasi affetto, ovviamente)
Ma David Bowie, dopo questa canzone, ne ha scritte tante altre, tantissime. E mi piace sperare che quei Maggiori Tom che riusciranno ad avere cura, attenzione, protezione, che faranno la propria parte, che porteranno a compimento la propria missione stellare e torneranno a casa - ogni giorno e quando la pandemia sarà finita - potranno cantare in strada, abbracciati: Let's Dance!