Il dibattito pubblico di quest’ultimo scorcio del 2020 è particolarmente incentrato sul "Natale che sarà", in questo Annus horribilis dominato, come purtroppo sappiamo bene, dalla pandemia da Covid-19 e dalle tante restrizioni che ne sono derivate rispetto al "normale" e abituale modo di vivere le relazioni sociali e familiari.
Questa imprevista quanto spiacevole ed eccezionale situazione, com’è evidente, ci ha portato ad un necessario ripensamento e ad una sostanziale riorganizzazione delle nostre abitudini consolidate, nella vita sociale e familiare, rispetto al modo tradizionale di vivere questa grande festa, tanto attesa per tutto l’anno. Sarà un Natale più "frugale", più "sobrio”, si dice da più parti. Un Natale più semplice, ridotto all’essenzialità. Un’occasione, dicono tanti, per riscoprire il vero senso del Natale, il suo spirito originario, e ritornare ai suoi veri valori.
Allargando gli orizzonti culturali, questa inedita situazione ci dà una nuova e particolare opportunità per riflettere sulla "condizione" attuale del Natale, sul modo in cui esso viene vissuto al tempo d’oggi. Possiamo così provare a tracciare una riflessione più ampia, in termini socio-antropologici, su alcuni elementi che caratterizzano il Natale di oggi, sul modo di considerare e di vivere nel tempo contemporaneo questa grande festa religiosa e popolare.
Il Natale tra sacro e profano. Uno dei luoghi comuni più diffusi, nella nostra contemporaneità, è quello secondo cui il Natale non sarebbe più quello "di un tempo", quello "di una volta". Secondo questo ricorrente stereotipo, il Natale di oggi avrebbe perso il suo originario significato, il suo spirito autentico ed ancestrale, i suoi antichi e tradizionali valori, la sua magica atmosfera di una volta. La causa di questo sostanziale cambiamento, di questa "mutazione genetica", sarebbe, secondo questo stereotipo, il "consumismo". La voluttà smaniosa ed effimera degli acquisti e dei consumi appariscenti ed esagerati, spesso non necessari, tipica del mondo contemporaneo, avrebbe portato l’umanità del mondo Occidentale a perdere il senso autentico del Natale, a dimenticarsi dei sui veri valori, ad oscurare i suoi sentimenti più genuini, annichiliti da uno smodato e sfrenato edonismo. In questo contesto, anche lo spirito autentico del dono, che caratterizza più di ogni altro aspetto la festa del Natale, si sarebbe perso, vanificato dal sopravvento da un rapporto utilitaristico con il mercato. Il risultato di tutto questo sarebbe la perdita dei sentimenti religiosi che dovrebbero caratterizzare questa festa, primo fra tutti quello per cui il Natale celebra il Mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, la nascita di Gesù Bambino, il Cristo.
Come tanti altri stereotipi, anche quello sopra delineato non rappresenta, però, un’interpretazione del fenomeno, quanto piuttosto una parte del fenomeno stesso che si vuole interpretare. Come ci insegna l’antropologia, ma anche la sociologia e la storia, quando è necessario, le società provvedono a inventare le proprie tradizioni e i propri riti, che, per essere veramente tali, non sono mai assegnati una volta per tutte, ma mutano secondo lo spirito dei tempi. Ora, è indiscutibile che il Natale che viviamo oggi rispecchia in modo puntuale lo "spirito" di questo nostro tempo. Un tempo, quello contemporaneo, condizionato e guidato dal consumismo vistoso e sfrenato. Un tempo in cui il Natale ha perso gran parte della sua antica "sacralità religiosa" a favore di una maggiore "sacralità laica".
Se il Natale di oggi, pertanto, rappresenta per noi una grande festa, un rito importante, oggi lo si deve anche al fatto che esso è particolarmente condizionato e caratterizzato dalle strategie di marketing del consumismo. Il consumo di massa, infatti, è una realtà della nostra vita sociale, un elemento pervasivo, caratteristico e centrale del mondo Occidentale contemporaneo. Ed è proprio sullo sfondo di questo contesto sociale e culturale che noi costruiamo le nostre identità e le nostre relazioni nella società, i nostri riti sociali. Ora, è indubbio che il Natale di oggi, per come viene generalmente vissuto, rappresenti un grande rito sociale e laico: un rito che relega in secondo piano quello religioso. Una trasformazione dal sacro al profano, a testimonianza del fatto che questa festa è ormai saldamente inscritta nell’immaginario contemporaneo, che ha vistosamente e radicalmente trasformato il suo significato originario.
Il Natale ha molte facce, sacre e profane insieme. È la festa della nascita di Gesù Cristo e insieme l’arrivo di Babbo Natale; una festa religiosa e una celebrazione laica. È il tempo del presepe e dell’albero addobbato; il momento del raccoglimento familiare e della corsa collettiva agli acquisti, al consumo sfrenato.
Il Natale è uno straordinario oggetto di studio antropologico per capire l’Occidente. In nessun altro momento dell’anno si assiste alla mobilitazione sociale del tempo natalizio. Nessun’altra festività genera un marketing altrettanto imponente e al tempo stesso risveglia legami familiari dal sapore ancestrale. Il Natale è un oggetto "antropologico totale" – come lo definisce l’antropologa francese Martyne Perrot, che all’argomento ha dedicato un importante libro, Etnologia del Natale (2001) –, che ci parla, con un linguaggio lieve e colto, della società dei consumi e del nostro inconscio, della solitudine e della famiglia, del divino e del profano.
Il Natale come rito. Il Natale del tempo contemporaneo, dunque, è diventato un grande rito sociale e laico. Un rito che nasce dalla tradizione pagana del solstizio d’inverno, che diventa nei secoli uno dei momenti cruciali del cristianesimo trionfante, per arrivare all’attuale "potlach della postmodernità", sfacciatamente consumistico e segnato più da Babbo Natale che dal presepe o dalle liturgie religiose.
Dalle definizioni più classiche elaborate in ambito socio-antropologico, a partire da quella del sociologo e antropologo francese Émile Durkeim, sappiamo che il rito è una pratica sociale che si qualifica per il suo fondamentale riferimento a una dimensione "sacra", chiaramente e assolutamente contraddistinta da quella "profana", che qualifica, invece, gli aspetti ordinari e quotidiani della vita sociale. I riti religiosi, infatti, hanno la funzione e lo scopo di aprire una sorta di canale comunicativo con il sacro, inteso come dimensione divina e soprannaturale.
A differenza della religione, però, la tradizione sociologica e antropologica interpreta il "sacro" esattamente come la dimensione sociale della realtà: nel rito, infatti, si realizza l’esperienza del gruppo, della collettività o della società, intesi come qualcosa che trascende l’isolamento individuale. Il rito, dunque, sotto questo aspetto, è una situazione che alimenta le relazioni sociali e lo fa anche quando non fa riferimento a una dimensione esplicitamente religiosa. Nelle moderne società secolarizzate, come sappiamo, la società si è via via sempre più allontanata da schemi, usi e costumi tradizionali, nonché da posizioni dogmatiche e aprioristiche, specie in campo religioso. In questo contesto, i riti non hanno assolutamente smesso di esistere, ma piuttosto hanno assunto forme, caratteristiche, espressioni e linguaggi diversi, come per esempio quelli di una "religione civile", della politica, della mondanità, solo per citarne alcuni dei principali. Questi riti sociali, tuttavia, rimangono contraddistinti da alcune caratteristiche peculiari, in quanto: danno luogo a un tempo e a uno spazio "particolari", qualitativamente diversi da quelli "ordinari"; fanno riferimento a una qualche forma di "mitologia"; comportano esperienze di "effervescenza collettiva" (Durkheim), ovvero di particolare intensità emotiva, distinte anch’esse dalla più comune quotidianità; prevedono spesso forme di scambio di beni e di consumi collettivi, che non seguono le regole comuni. Ora, ragionandoci profondamente sopra, e chiamando in causa la nostra stessa esperienza sociale e di attori sociali, possiamo ben dire che il nostro modo di vivere il Natale oggi, nella nostra società contemporanea, rappresenta chiaramente un rito in cui sono presenti tutti gli elementi sopra descritti.
Tempo e spazio del Natale. Il Natale, infatti, rappresenta senza ombra di dubbio un tempo ed uno spazio "straordinari", fuori dall’ordinario e dal comune, percepiti da ognuno di noi come "più ricchi", "più intensi", "più significativi" del tempo e dello spazio "ordinari", "consueti", "normali". D’altra parte, aspettiamo il Natale tutto l’anno e contiamo continuamente i giorni che ci separano da questa importante festività, che non a caso demarca il tempo tra un "prima" e un "dopo". Evidenziamo simbolicamente la "vigilia" e ci facciamo trovare ritualmente preparati al suo arrivo. Consideriamo generalmente cosa triste passare il Natale da soli, mentre invece non ci poniamo affatto questo problema rispetto ai giorni comuni. Comunque sia, è sempre presente e palpabile una certa "magia" nel tempo natalizio, a cui contribuisce sicuramente la creazione di uno spazio particolare, dovuto agli addobbi natalizi, col loro suggestivo gioco di luci e colori, e alle piacevoli musiche e carole natalizie. Strade e piazze delle città, inoltre, cambiano visibilmente aspetto, si illuminano e si ravvivano; le case acquistano un aspetto quasi fiabesco con gli scintillanti alberi di Natale, i caratteristici presepi, il vischio e le confezioni dei regali, e poi i tanti dolci tipici del tempo, panettoni e torroni primi fra tutti.
Il Natale e la sua mitologia. Al Natale è sicuramente legata una certa “mitologia”: quella cristiana, in particolare, caratterizzata dai racconti sacri della Natività e le rappresentazioni del presepe. Ma nella cultura occidentale moderna è soprattutto la mitologia profana a farla da padrona, legata alla figura e al mito di Babbo Natale, Santa Claus, con la barba bianca e il caratteristico abito rosso, con la slitta e le renne volanti, con il carico di doni da consegnare a tutti i bambini del mondo.
Il Natale, storicamente, si afferma come cristianizzazione di un rito pagano. La nascita di Cristo, definito dai Vangeli “Luce del Mondo”, si contrappone al ”Dies Natalis Solis Invicti”, ovvero alla celebrazione del solstizio d’inverno, e alla nascita di Mitra: è l’avvento di una divinità salvifica che, abolendo un Tempo negativo e/o di morte, fa subentrare un Tempo di vita e di pace. Come scrive Martyne Perrot, il 25 dicembre era una data qualsiasi per i cristiani dei primi secoli, i quali erano maggiormente interessati alla morte e resurrezione di Gesù Cristo, piuttosto che alla sua nascita. Fissata originariamente al 28 marzo, secondo un computo dell’anno 243 dopo Cristo, la data del 25 dicembre divenne fatidica solo nel 336, alla fine del regno di Costantino. A orientare questa data furono diversi motivi, tra cui il sovrapporsi delle date di altri riti, allora molto diffusi nell’impero romano, come la nascita di Mitra e il solstizio d’inverno. Secondo Mircea Eliade, antropologo e storico delle religioni rumeno, quella del 25 dicembre è una data “sincretica”, in quanto è il “giorno di nascita di tutte le divinità orientali”. L’antropologo Arnold Van Gennep, studioso di folclore e riti di passaggio, ha analizzato con molta attenzione il cosiddetto “ciclo dei dodici giorni”, che va dal Natale all’Epifania e comprende il Capodanno, festa in un certo senso opposta e simmetrica al Natale stesso: se la celebrazione del Natale è per antonomasia la festa dedicata ai bambini e alla famiglia, il Capodanno è invece la festa soprattutto degli adulti.
La figura di Babbo Natale. Come è ormai noto, quella di Babbo Natale è una figura abbastanza recente, plasmata nella società borghese americana dell’Ottocento, almeno nella sua iconografia attuale, che risale a un disegno del 1863 dell’illustratore statunitense Thomas Nast e soprattutto a uno spot pubblicitario della Coca Cola degli anni Trenta del Novecento (anche se il nome di Santa Claus deriva dalla figura di San Nicola). Babbo Natale, in effetti, è divenuto un fenomeno di massa in Europa solo dopo la seconda guerra mondiale. Inizialmente la Chiesa ha osteggiato la figura di Babbo Natale e ne ha contrastato la sua affermazione, poiché vedeva in essa una forma di paganizzazione consumistica che rischiava di stravolgere lo spirito autentico e la valenza religiosa della sacra festa. L’antropologo francese Claude Lévi-Strauss, teorico dello strutturalismo, ha dedicato il suo famoso saggio Le Père Noël supplicié (Babbo Natale suppliziato, 1994) proprio a un fatto di cronaca messo in scena dal clero di Digione la notte di Natale del 1951, in cui Babbo Natale venne simbolicamente impiccato alle grate della cattedrale e poi bruciato sulla pubblica piazza. Analizzando questo fatto di cronaca e ragionando sull’invenzione di Babbo Natale, Lévi-Strauss giunse alla conclusione che il Natale è una festa essenzialmente moderna, nonostante i suoi tanti aspetti arcaicizzanti. Una caratteristica particolare di questa moderna mitologia è rappresentata dal fatto che essa, a differenza di quella religiosa, non viene affatto creduta vera da tutti. Gli adulti, infatti, la elaborano sorridendo (ben sapendo che Babbo Natale non esiste nella realtà) e la fanno però credere ai bambini: è notorio, d’altra parte, che il credere in Babbo Natale è uno dei tratti fondamentali dell’essere bambini.
Il Natale come rito si incentra, secondo Lévi-Strauss, intorno al tema dei bambini, quali mediatori fra generazioni ed elementi di passaggio tra vita e morte, tra mondo terreno e aldilà. Il senso ultimo di questo rito sarebbe, secondo lo studioso francese, quello di venire a patti con l’idea della morte e il passaggio delle generazioni. Cosicché, scrive Lévi-Strauss nel già citato testo, “i regali natalizi rimangono un sacrificio autentico alla dolcezza di vivere, la quale consiste innanzitutto nel non morire”, essi sono una “preghiera tutta piena di scongiuri che ogni anno, e sempre più, noi indirizziamo ai bambini – incarnazione tradizionale dei morti – perché acconsentano, credendo in Babbo Natale, ad aiutarci a credere nella vita”. La questione che si pone l’antropologo non è perché la festa piaccia tanto ai bambini, quanto piuttosto perché gli adulti siano stati spinti a inventarla. Vestito di rosso scarlatto nella tradizione, Babbo Natale è un re, che appartiene alla famiglia delle divinità. È la divinità di una classe di età della nostra società, quella dei bambini, rigorosamente distinta dagli adulti. La sua funzione principale è quella di avere a che fare con riti di passaggio e d’iniziazione. Nelle società umane i riti e i miti d’iniziazione hanno una funzione pratica in quanto “aiutano gli adulti a mantenere i piccoli nell’ordine e nell’obbedienza”. Per tutto l’anno si parla dell’arrivo di Babbo Natale, che porterà i doni se i bambini faranno i bravi. Nel contempo serve a limitare a un breve periodo il momento in cui i piccoli possono esigere i doni. Per Lévi-Strauss, le credenze connesse a Babbo Natale dipendono da una “sociologia iniziatica” e mettono in evidenza una contrapposizione tra adulti e bambini, che a sua volta nasconde una contrapposizione ancora più radicale, quella tra vivi e morti. Facendo ricorso ai rituali degli indiani Pueblo e ai Saturnali romani, da cui la festa di Natale deriverebbe, l’antropologo francese mostra come dietro a questa festa apparentemente innocua ci siano le figure di bimbi morti, le larvae, che nella tradizione nordica San Nicola, personificazione antica di Babbo Natale, resuscita e colma di regali. Nel Babbo Natale moderno, pertanto, si fondono in maniera sincretica molti personaggi, da Abbé de Liesse, vescovo bambino francese, allo stesso San Nicola. La Chiesa ha cercato di acquisire tutte queste tradizioni di provenienza precristiana con l’istituzione del Santo Natale il 25 dicembre, per sostituire le commemorazioni pagane, ma ha dovuto abdicare davanti al trionfo di Babbo Natale. La credenza che a portare i regali, i giocattoli, sia un personaggio che proviene da un mondo “altro”, una sorta di “aldilà” nordico, ci riporta ai significati della relazione tra vivi e morti, che soggiacciono nei simboli espliciti e impliciti del Natale. Gli adulti desiderano che i bambini credano all’esistenza di Babbo Natale, perché così facendo li aiutano a credere nella vita.
Il Natale come tempo straordinario. Il tempo di Natale, il vivere l’atmosfera natalizia, produce sicuramente sensazioni ed emozioni particolarmente piacevoli e straordinari, come ognuno di noi ha potuto sperimentare nel corso della sua vita. Soprattutto nei bambini, trascinati come sono in un’atmosfera “magica”, caratterizzata da gioia e meraviglia e dall’attesa per la “venuta” di una persona misteriosa che porta tanti doni. Ma anche per gli adulti il Natale rappresenta un’esperienza straordinaria, in particolar modo nella pratica dello scambio dei doni, tra familiari, parenti ed amici, in modi che non hanno uguali in tutto il resto dell’anno. Come nella teoria classica del dono, elaborata dall’antropologo e sociologo francese Marcel Mauss, i regali natalizi portano sempre con sé una parte, sia pur piccola, dello ”spirito” di chi li dona e rimangono sempre un modo importante per alimentare relazioni sociali interpersonali, oltreché familiari.
Un altro aspetto dell’esperienza straordinaria del Natale è rappresentato dai consumi “smodati” e collettivi. Sappiamo tutti che quello di Natale è il periodo dell’anno in cui si spende di più e in cui ci si concedono spese e ”lussi” che non si vedono in altri periodi. Questi beni sono generalmente destinati a un consumo non individuale, ma collettivo. Il cenone della vigilia di Natale ne è l’esempio più rappresentativo. Non si bada a spese né a sprechi, si consumano cibi particolari e ricercati e, soprattutto, si mangiano insieme, in compagnia. Cenone e pranzo natalizio sono generalmente momenti conviviali di ritrovo per famiglie allargate, per nuclei di parentela o per gruppi di amici che si vedono poco nel resto dell’anno. Tutto questo si inserisce e avviene, perfettamente e coerentemente, nella logica del rituale della particolare e straordinaria occasione del Natale, che mette al bando, per quel momento, ogni idea di risparmio e di sobrietà.
In conclusione, dunque, possiamo dire che il Natale ha tutte le caratteristiche di un rito contemporaneo, in buona parte profano: il rito, o il complesso mitico-rituale, forse più rilevante e più attivamente praticato nella nostra attuale società. Il Natale è un grande rito, sociale e collettivo, in virtù non delle sue origini, complesse e sincretiche, ma delle sue specifiche caratteristiche che presenta qui ed ora (Martyne Perrot). Caratteristiche che non possiamo comprendere appieno se non mettendo il Natale in relazione col sistema culturale e morale, oltre che economico, che è incardinato nel sistema del consumismo, e quindi su un sistema di consumi di massa sfrenati e smodati, i quali condizionano e dominano fortemente la società contemporanea.
Michele Petullà