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Tra le problematiche che più fanno parlare di sé negli ultimi anni, con notizie che spesso appaiono sulle prime pagine dei quotidiani e aprono le edizioni dei tg, c’è senza dubbio il fenomeno del bullismo e il suo “gemello”, il cyberbullismo, che trova nella Rete il modo di diffondersi senza possibilità di controllo, colpendo anche i più giovani.

 

di Anna Maria Stefanini

Inglese di nascita, americana di adozione, Elizabeth “Liz” Taylor la vocazione per il cinema la scopre da bambina: nel 1943, a undici anni, è la protagonista femminile del celebre “Torna a casa Lassie!”.
Parlare di vocazione per il cinema è vero ma non è tutta la verità; la verità è che Liz Taylor cambia letteralmente la storia del cinema perché è con lei, con Marilyn Monroe, Greta Garbo, Marlon Brando, James Dean e gli altri che nasce lo “star system” e il cinema diventa il mondo parallelo dei sogni a portata di biglietto. Parafrasando Fabrizio De André: “non credevi che il paradiso fosse lì in platea”.
Se risponde al vero che i miti hanno tutti un’essenza, un nucleo che ne condensa il profilo identitario, come l’invulnerabilità di Achille o il naso di Cyrano, l’essenza di Liz stava nel volto e in quell’incredibile sguardo dagli occhi viola. Lo spettatore non guardava Liz Taylor, veniva risucchiato in quello sguardo e i registi hanno usato ed abusato di quel potente centro di gravità. 


La biografia di Liz Taylor si dipana lungo tre grandi direttrici: il cinema, i mariti e i gioielli.
La filmografia della Taylor è sterminata; questa che segue è soltanto una piccola selezione: “Piccole donne” (1949), “Il padre della sposa” (1950), “Quo vadis” (1951), “Il gigante” (1959), “La gatta sul tetto che scotta” (1958), “Venere in visone” (1960), “Cleopatra” (1963), “Chi ha paura di Virginia Woolf?”, “La bisbetica domata” (1963; con la regia di Franco Zeffirelli), “Identikit” (1974; con la regia di Giuseppe Patroni Griffi), Il giovane Toscanini (1988; ancora con la regia di Franco Zeffirelli) e molti altri.
Una carriera nella quale brillano due premi oscar quale miglior attrice, quattro “golden globe”, due “British Academy Film Award” e tre premi “David di Donatello”.  


Liz Taylor ha avuto anche un’importante filmografia televisiva comprendente almeno quindici produzioni e una certa frequentazione teatrale, recitando in cinque apprezzabili rappresentazioni.
Liz Taylor è probabilmente l’unica VIP ad aver collezionato più matrimoni che mariti: i matrimoni sono otto per sette mariti, avendo sposato e risposato Richard Burton due volte, dal 15 marzo 1964 al 26 giugno 1974 e dal 10 ottobre 1975 al 29 luglio 1976. La sua passione per i matrimoni gode di un aneddoto: quando un giornalista le chiese perché si fosse sposata otto volte rispose: “perché credo nel matrimonio”.
La terza passione dopo il cinema e i mariti sono stati i gioielli, che ha collezionato in grande quantità, tra i quali brillano (nel vero senso della parola) il famoso “Diamante Krupp”, di 33,19 carati e l’ancora più famoso “Diamante Taylor-Burton”, un regalo di Richard Burton, di 69,42 carati. L’intera collezione è celebrata in un uno storico libro: “My Love Affair with Jewelry” (più o meno: “la mia storia d’amore con i gioielli”; 2002).
Ma la vita non sempre fu generosa con Liz Taylor; oltre i divorzi compaiono anche seri problemi di salute: una lunga serie di infortuni alla schiena, un tumore benigno al cervello, un cancro alla pelle, due polmoniti e, nell’ultimo periodo della sua vita, una grave forma di insufficienza cardiaca. Gli ultimi tempi li ha trascorsi su una sedia a rotelle.
Elizabeth Taylor muore il 23 marzo 2011, all’età di 79 anni. 

 

 

 

Oggi vi voglio parlare di nuovo dei danni provocati dalla burocrazia. In questi tempi di pandemia da coronavirus tutti si lamentano della burocrazia e dei danni che i burocrati provocano rallentando o impedendo le procedure. Ma nessuno parla della soluzione: licenziare i burocrati.
Infatti i burocrati sono troppi, si intralciano a vicenda, sono inutili, e, rendendosi conto della loro inutilità, per far veder che lavorano, si inventano continuamente riforme e riformicchie, provocando danni.
I burocrati, per loro natura, non stanno in mezzo alla gente, ma stanno negli uffici, e non conoscono la realtà; più sono in alto e meno capiscono delle cose che dovrebbero gestire. Quindi i peggiori sono i burocrati dei ministeri romani, che sono quelli che fanno più danni, sia perché sono i più lontani dai cittadini, sia perché la loro opera malefica si espande su tutto il territorio nazionale. Peggio dei burocrati romani ci sono solo i burocrati dell’Europa, ancora più lontani dalle realtà locali. Ad esempio quando si tratta della regolamentazione della pesca credono che la pesca riguardi solo il Mare del Nord o l’Oceano Atlantico, dimenticandosi che esiste anche il mare Mediterraneo. Quando si tratta della cura delle foreste credono di avere a che fare solo con le foreste della Norvegia. Ma anche i piccoli burocrati dei comuni si danno da fare, per procurare danni nel loro piccolo ambito comunale. Tempo fa mi capitò di leggere un bando per la fornitura di alimentari per la mensa scolastica di un comune: c’erano elencati solo prodotti di marche che facevano pubblicità in televisione. Una lista che avrebbe fatto inorridire qualunque casalinga.
Ma torniamo ai nostri burocrati “nazionali”. Certamente ricorderete che negli uffici postali c’era un vetro che separava il pubblico dagli impiegati. Poi qualche ignoto burocrate di qualche ministero romano decise di “umanizzare” il rapporto tra i clienti e il personale, di avvicinare il pubblico agli impiegati, e per fare questo fece togliere i vetri.
Adesso, per evitare il contagio da coronavirus hanno dovuto rimettere i vetri in tutta fretta, con conseguente doppia spesa per i cittadini: prima per togliere i vetri, poi per ricomprarli.
Qualcuno potrebbe dire: “Quando hanno tolto i vetri non c’era il coronavirus, e non era nemmeno prevedibile”.
E’ vero.
Però c’erano in circolazione altri virus, come quello dell’influenza stagionale, e gli uffici postali erano comunque affollati da persone anziane che andavano a ritirare la pensione.

Salvatore Cutellè

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Quando un soffio di eternità sfiora la tua vita è solo per offrirti il suo dono più bello: l’Amore.
L’Amore è la quintessenza della nostra vita, il nucleo intorno al quale ruota e si completa il divenire, quel flusso di materia che muove e domina l’universo e le nostre stesse esistenze.
Sì, perché l’amore non è solo l’incontro di due anime come siamo portati a credere ma è qualcosa di più grande che investe e determina ogni nostra azione, l’Amore è“immanente” nella vita dell’uomo e dell’universo, così come è stato da sempre.
Lo stesso Dante, nella sua grande opera afferma: ” L’amore che muove il sole e le altre stelle...” (Paradiso, canto XXXIII, 145).
In questo verso, infatti, è racchiuso il significato dell’intera opera di Dio, l’Amore è il meccanismo del mondo e di tutta la vita.
E ancora: “Amore, ecco la sola cosa che possa occupare e riempire l’Eternità: all’Infinito occorre l’inesauribile” (Victor Hugo) e non per ultimo: “L’amore è la più’ grande scienza del mondo, in cielo ed in terra” (Madre Teresa di Calcutta).
L’Amore quindi è un sentimento universale che muove ogni nostra azione ed assume forme e significati diversi.
Cos’è infatti la nascita di una nuova vita se non un atto d’amore? Ma amore è anche salvare un cucciolo abbandonato, dare un qualcosa ad una mano tesa sul sagrato di una chiesa, l’amore è lenire una sofferenza, l’amore è quella carezza dolce della mamma che ha il potere di asciugare le lacrime del suo bambino. La stessa creazione del mondo per i credenti, è stato solo un atto d’amore di Dio, così come la Crocifissione di Cristo non è stato altro che l’atto sublime dell’amore divino per l’Uomo.
Tutto si richiama all’amore perché questo, come affermato prima, racchiude un’ampia varietà di sentimenti che possono spaziare da una forma universale ed immanente ad una più’ intima ed appassionata tra persone oppure nei confronti di qualcosa di spirituale. Anche per gli antichi Greci, infatti, esistevano quattro forme primarie di amore: quello familiare/parentale, l’amicizia, il desiderio erotico/romantico (eros) e quello più’ strettamente spirituale.
Per quanto riguarda l’amore familiare, tutti sappiamo quale profondo sentimento ci lega ai nostri genitori, ai fratelli, anche se a volte le storie familiari sono complesse, vissute spesso in modo devastante, proprio perché chiuse nella sfera intima.

 

 

Rifacendoci al grande libro dei miti e della storia riportiamo un esempio di questo amore attraverso la storia di Antigone, creatura affettuosa e nobile protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Antigone, figlia di Edipo e della madre di questi, Giocasta, nonostante il padre si fosse macchiato dell’orrendo delitto che tutti conosciamo, lo assiste amorevolmente e non lo abbandona mai fino alla sua morte. Il suo amore familiare però non si esaurisce con la morte del padre, la fanciulla, appreso che il fratello Eteocle, morto per mano di un altro fratello giace insepolto per ordine del re e per veto di legge, incurante delle conseguenze che avrà il suo gesto, seppellisce il fratello ed affronta la morte.
E come dimenticare l’amore di Alcesti che si offre di morire al posto del marito, il re Admeto? Un gesto che neanche i genitori di Admeto avevano voluto fare (Alcesti-Euripide). Altro emblematico esempio, dell’amicizia, questa volta, lo troviamo nell’Eneide di Virgilio, che nel Libro IX parla di Eurialo e Niso due giovani guerrieri Troiani.
“… Apprentossi in prima/Eurialo e Niso. Un giovinetto/di singolar bellezza Eurialo era, e Niso di lui fido e casto amico...” (Eneide Libro IX versi 425-428).
Quando Eurialo muore per mano dei nemici, Niso che si era messo in salvo, torna indietro pur sapendo che per lui sarà la fine e vendica la morte dell’amico e quando viene ucciso, morente, si getta sull’amico dandosi pace.
Per quanto riguarda l’amore romantico per eccellenza quello dell’apostrofo rosa che continua a fare strage di cuori e mietere “vittime” ben felici di esserlo, il panorama è molto vasto, anche se questo amore assume tinte diverse. Sempre passeggiando tra storia e letteratura, ricordiamo alcuni aspetti di questo amore.
Tra gli amori impossibili ricordiamo quello di Anna Karenina per Alekssej Vronskij (omonimo romanzo di L. Tolstoj), quello di Catherine e Heathcliff di Cime Tempestose e anche quello, a noi piu’ vicino di Alice e Mattia due ragazzi profondamente segnati da un’infanzia infelice che si sentiranno uniti eppure invincibilmente divisi, come i numeri primi che i matematici chiamano gemelli ma che sono entità chiuse, distanti (La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano).
Tra gli amori teneri, vale la pena ricordare quello di Ettore e Andromaca (Iliade – Omero). L’addio di Ettore ad Andromaca alle porte Scee è una delle più’ belle dichiarazioni d’amore della storia, e non per ultimo, il tenero e appassionato amore del Gobbo ‘Quasimodo’ per la bella zingara ‘Esmeralda’. Quando Esmeralda muore Quasimodo, si lascia morire al suo fianco (Victor Hugo- Notre Dame de Paris). Tra gli amori intensi, passionali, che molti sognano di avere ma che restano tra le pagine dei libri ricordiamo quello di Paolo e Francesca: “Amor ch’a nullo amato amar perdona”… (Dante, Inferno, Canto V, verso 103), Giulietta e Romeo, Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta, Abelardo ed Eloisa…
Vale la pena soffermarsi, solo un attimo, sull’amore assoluto, intenso, distruttivo di Medea per Giasone (Medea – Euripide). Medea, dopo aver aiutato Giasone nella conquista del vello d’oro, ucciso il proprio fratello, tradita la sua gente, segue Giasone a Corinto e lo sposa.
Giasone, però, dopo alcuni anni di convivenza, ripudia la moglie per sposare la figlia del re Creonte che gli avrebbe dato l’opportunità di diventare re. Il dolore di Medea è grande, devastante.
Pur comprendendo di aver sposato non un eroe ma un cinico opportunista, la donna è dilaniata da opposti sentimenti e lacerata tra razionalità e passione. La sua vendetta sarà spietata, crudele, uccide i propri figli solo per procurare a Giasone uno strazio infinito. Un amore distruttivo il suo ma attenzione, purtroppo questi gesti di amore estremo, forse malato, non sono confinati e racchiusi solo nelle pagine dei libri, i recenti fatti di cronaca purtroppo ce lo confermano.
La forma di amore più alta, comunque, resta quella spirituale, universale, quell’amore a tutto tondo che non è solo ascesi, ma è amore infinito per tutte le creature viventi. Un nome fra tanti: Madre Teresa di Calcutta. Questa piccola, grande, fragile ma forte donna ha speso tutta la sua vita al servizio dei poveri, degli oppressi, degli emarginati, dei bambini uccisi e abbandonati con una tenacia ed una grande, incrollabile fede. Ricordiamo, tra le sue tante, celebri frasi:“non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare” e “ la fame d’amore è molto più difficile da rimuovere che la fame di pane”.
L’amore, quindi, come detto all’inizio, è tutto non una parte, l’amore non sarà mai singolare perché l’amore “… non guarda con gli occhi ma con l’anima…” (Shakespeare – Amleto) perché …. “la vita è il fiore per il quale l’amore è il miele” (Victor Hugo). Quando due cuori si uniscono, quando due persone si amano con l’anima, nessuna tempesta oscurerà mai il loro cielo. E questo l’amore, questa unione permetterà al mondo di sopravvivere conservando parte di noi perché noi siamo parte dei nostri genitori, come saremo parte dei nostri figli e dei figli dei nostri figli.

 

 

Certo non ci sono amori facili o amori da favola con principi e carrozze (almeno non per tutti) il vero amore spesso è complesso perché non consiste solo nello scegliersi ma soprattutto nell’accettarsi. Non basta sfogliare una margherita per scoprire quanto si è amati, quello è solo il momento dell’innamoramento, delle farfalle nello stomaco, l’amore è scoprirsi giorno dopo giorno, accettare tutto dell’altro per poi correggersi, mediare, in modo che l’uno compensi le mancanze dell’altro. L’amore è tenerezza, dialogo, fedeltà e, quando necessario, sacrificio. Le più belle storie d’amore, infatti, sono quelle che si vivono nel rispetto, nella libertà e soprattutto nella fiducia reciproca, nell’essere pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo o sacrificio che la vita a due comporta.
Non dimentichiamo però che l’amore va anche “coltivato”, nutrito giorno per giorno, va riempito di emozioni, tenerezza e di quel pizzico di follia senza la quale non cresce l’ebbrezza e non si ravviva la passione, sentimenti che rinsaldano e rinnovano l’unione negli anni.
L’amore non è facile, spesso percorre strade tortuose e mette continuamente alla prova chi ama ma quando lo trovi, è la tua ragione di vita, è il cerchio che si chiude, il numero perfetto e, per dirla come Alphonse De Lamartine “Amare per essere amati è umano ma amare per amare è quasi angelico”.
Amiamo dunque, amiamoci perché il mondo ha bisogno d’amore per ritrovare la strada dell’armonia e della pace, la strada che illumina il cammino dell’uomo, quella strada che inizia col “TU ED IO” per diventare poi “NOI” ripetuto all’infinito “UBI TU GAIUS, IBI EGO GAIA”.

 

 

C’è un Parco naturale a qualche chilometro da Biella, la mia città, sorge su una dolce e morbida collinetta a ridosso delle Alpi Biellesi, con una punta arrotondata e tondeggiante che in ogni stagione cambia colore: è il Parco della Burcina. Sono nata e ho trascorso l’infanzia nel piccolo paese di Pollone, ai piedi della collina e ho osservato, ogni giorno con stupore, il magico spettacolo dell’alternarsi delle stagioni nel Parco: in inverno il bianco della neve sugli alberi spogli; a marzo i narcisi che dipingono di giallo i prati, ad aprile le azallee con tutte le tonalità del rosa a maggio e a giugno lo spettacolo della conca dei rododendri, due ettari di terreno fiorito che attirano turisti di tutto il mondo; in estate la grande macchia verde tra i sentieri abitati da bambini che giocano, famiglie attrezzate per il picnic, persone di tutte le età che fanno jogging o che passeggiano, innamorati alla ricerca di un luogo appartato; e, infine, l’autunno con i colori caldi dalle sfumature che vanno dal giallo al rosso a tutte le tonalità del marrone, un vera esplosione di luci e colori che scaldano il cuore.

 


Le origini del Parco della Burcina risalgono alla metà del 1800, quando l’imprenditore biellese Giovanni Piacenza (1811-1883) iniziò ad acquistare vari terreni siti nelle parti inferiori dei versanti rivolti a sud e a ponente della collina, per allestirli con sequoie, cedri dell'Atlante, pini strobus e altro. Il figlio Felice (1843-1938) per quasi 50 anni lavorò giorno dopo giorno per acquisire nuovi terreni, per tracciare strade e sentieri, per piantare alberi e la spettacolare valle dei rododendri. E' abbastanza sorprendente il fatto che l'industriale non si avvalse di architetti nella composizione del paesaggio, ma fu lui stesso l'artefice. Di conseguenza, oltre all'aspetto botanico è di particolare rilievo la composizione paesaggistica: un laghetto romantico a forma di cuore abitato da tartarughe, le aree prative contornate da boschi, la faggeta, il viale dei liriodendrila,la valle dei rododendri, l'area mediterranea, le vista sulle montagne e sulla pianura che spaziano dal Monviso all' Adamello. Il figlio di Felice, Enzo (1892-1968) nel 1950 inaugurò il ponte sul torrente Vandorba, struttura di cemento armato ad una sola campata curva progettata dall’architetto fiorentino Pietro Porcinai e invitò al parco i più famosi botanici europei.

 


Dal 1934 il parco è diventato di proprietà del Comune di Biella che ha provveduto ad ampliare la superficie fino ai 57 ettari attuali e nel 1980 è stata istituita la Riserva Naturale Speciale del Parco Burcina "Felice Piacenza" .
Il Colle della Burcina è interessante anche per i ritrovamenti archeologici: nel 1959 durante i lavori di scavo per realizzare un piccolo parcheggio sulla cima della collina, venne alla luce una struttura in pietra che fece ipotizzare la presenza di un castelliere gallico risalente al periodo compreso tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a. C. Vennero, inoltre, alla luce diversi reperti archeologici, tra cui asce, spiedi, utensili in ferro ed una bella brocca di bronzo, attualmente esposta al Museo del Territorio di Biella. Dopo questi ritrovamenti, vennero fatte altre indagini, e furono rinvenuti parecchi resti di ceramiche, che hanno permesso di ipotizzare che la sommità della collina fosse stata abitata per diversi secoli da un popolo dedito alla pastorizia, alla caccia ed all'attività agricola, e che le ceramiche erano presumibilmente prodotte in loco. Altra provenienza invece quella di una brocca, con bocca trilobata e becco molto rialzato, etrusca risalente al V-IV secolo avanti Cristo, proveniente da Vulci, prodotto, quindi, di scambio diffuso all'età del ferro.
Ma, per tornare all’attualità, è da sapere che tra gli obiettivi dell’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, vi è la Candidatura di Biella al network Città Creative Unesco, all’interno della quale il Parco creato da Felice Piacenza verrà certamente valorizzato come area naturale che rappresenta da un lato il mecenatismo culturale degli industriali tessili e dall’altro la creatività biellese che oltre ai filati più belli del mondo ha saputo dare alla luce un vero e proprio paradiso di fiori e di piante rare.

 

 

 

 

Indipendente, affettuoso, “eterno bambino” da coccolare. Sacro in alcune civiltà, il nostro amico felino fa le fusa, dorme e dona tanto amore.

Il gatto ha da sempre avuto influenze equivoche sull’animo umano: un animale affettuoso eppure indipendente, capace di infondere amore e compagnia, ma spesso distaccato e opportunista.
La Festa Nazionale del Gatto ricorre il 17 febbraio ed è nata nel 1990. La giornalista gattofila Claudia Angeletti propose infatti un questa data perchè:
Il numero 17, nella nostra tradizione, è sempre stato ritenuto portatore di sventura, come i gatti neri. 

La sinistra fama del 17 è dovuta all’anagramma del numero romano che da XVII si trasforma in “VIXI” ovvero “sono vissuto”, di conseguenza “sono morto”. Non è così per il gatto che, per leggenda, ha 7 vite.
Il 17 diventa dunque “1 vita per 7 volte”.

La sua enigmatica ambivalenza lo ha reso protagonista delle poesie di molti dei più grandi poeti della letteratura mondiale. A noi piace ricordare…

LA GATTA DI UMBERTO SABA
La tua gattina è diventata magra.
Altro male non è il suo che d’amore:
male che alle tue cure la consacra.
Non provi un’accorata tenerezza?
Non la senti vibrare come un cuore
sotto alla tua carezza?
Ai miei occhi è perfetta
come te questa tua selvaggia gatta,
ma come te ragazza
e innamorata, che sempre cercavi,
che senza pace qua e là t’aggiravi,
che tutti dicevano :’È pazza’.
È come te ragazza. 

Nelle diverse città italiane tante associazioni si occupano dei gatti. Molte sono le colonie feline e le “gattare”.

Fra i gatti più famosi della storia ricordiamo White Heather, il gatto della regina Vittoria, un persiano, decisamente in salute, e che tra i tanti micioni di cui la sovrana amava circondarsi fosse il prediletto, trattato al pari di uno dei Reali in quanto a vizi e privilegi.
È d’obbligo poi ricordare Nelson, l’adorato gatto di Winston Churchill.
Passando dalla politica alla letteratura, basta ricordare la frase di Charles Dickens “Quale dono più grande dell’amore di un gatto?” . Anche il celebre scrittore britannico era un grande amante dei gatti. La storia ci racconta di Bob, il gatto di Dickens che, al momento della sua dipartita, si meritò una dedica incisa su un prezioso tagliacarte, con tanto di impronta di zampina usata come decorazione.

 

 

Mi sono chiesta varie volte chi è Dio.
Esiste?
È materia?
È soffio?
Nel corso della mia vita queste risposte mi sono state date attraverso la sofferenza e percependo le risposte osservando un ordine perfettamente funzionale, un ordine naturale misterioso ma tacito.
A tal proposito cito Albert Einstein:
“Io non sono ateo e non penso di potermi chiamare panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino piccolo che entra in una vasta biblioteca riempita di libri scritti in molte lingue diverse. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Egli non conosce come. Il bambino sospetta che debba esserci un ordine misterioso nella sistemazione di quei libri, ma non conosce quale sia. Questo mi sembra essere il comportamento dell'essere umano più intelligente nei confronti di Dio. Noi vediamo un universo meravigliosamente ordinato che rispetta leggi precise, che possiamo però comprendere solo in modo oscuro. I nostri limitati pensieri non possono afferrare la forza misteriosa che muove le costellazioni.”

E' mio uso pormi quotidianamente quesiti, ahimè sono schiava del dubbio, non cerco la verità, cerco la commozione, la riflessione, l’espulsione di una lacrima, perché in essi trovo le risposte, perché in essi vi è passione.
E cosa c’è di più tangibile e veritiero di un’emozione?
L’intangibile diviene materia.
La verità pone una meta, un accordo univoco con la realtà.
Un eccelso ordinamento del tutto.
Io guardo gli orizzonti...
Come spesso dico:
Ho imparato a guardare l'orizzonte e ciò che mi ha insegnato è l'immensurabile.
L’immensurabile che non si può misurare.
Un sentimento non può avere parametri ma contiene in sé il mistero della passione.

Un giorno chiesi a mia madre, avevo circa 5 anni, aspettando l’inizio della messa a Torino, davanti a me c’era Cristo in croce, chiesi perché Gesù non fosse scappato prima.
Qualche anno dopo, mio figlio Franco Emanuele, mi fece la medesima domanda ma più articolata...
“Perché i carabinieri hanno messo in croce Gesù? Lui parla l’inglese.”
Gli risposi:
Hai ragione Franco, Gesù parla al cuore di tutti.
Come il Sacro Lino della Sindone porta con sé la resurrezione del sacrificio, del coraggio, della speranza.
Un messaggio che penetri al cuore di tutti, attraverso il silenzio eloquente delle immagini.
A tal proposito Roberto Vitale, un componente della delegazione per il Sud Italia del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone di Torino, delegazione ottimamente guidata dal Dott. Walter Memmolo, nonché un mio caro amico, ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune mie domande inerente al mistero della Sacra Sindone.
Collegandomi al quesito di mio figlio, “ Gesù parla l’inglese, perché è stato messo in croce”?
I bambini, spesso e volentieri colgono l’anima di una risposta attraverso le loro domande.
La parola ‘inglese” in questo caso, nel cuore di un bambino, simboleggia il linguaggio universale, farsi comprendere da tutti.

Cosa puoi dirci in merito?
La Sindone, al di là della questione molto dibattuta sulle sue origini, trasmette al credente, ma anche al semplice osservatore, il senso della sofferenza di un uomo che richiama immediatamente la sofferenza, le sofferenze di tutti noi. Un concetto questo che andrebbe tenuto in debito conto da tutti coloro che si occupano dell'argomento. Ok le ricerche scientifiche, le ricerche storiche, ma in quel telo vi è una immagine che "sa" parlare un linguaggio universale. Che tutti possiamo comprendere. E un'immagine per essere compresa pienamente, deve essere vista. L'uomo che ha lasciato in maniera non del tutto scientificamente spiegata i suoi lineamenti in quel santo lenzuolo, mi pone di fronte a delle scelte, in molti casi decisive per la stessa esistenza. Studiare la Sindone in realtà, evidenzia, in molti casi, cercare di testimoniare il Cristo, a prescindere, ripeto, dalle origini del telo, quindi dal concetto spesso ambiguo di autenticità.

La storia antica della Sindone?
A livello strettamente documentale, non vi sono testimonianze "dirette", che prima del XIV secolo parlano di una Sindone avente le stesse caratteristiche di quella conservata a Torino. Tutto questo però, non preclude l'esistenza dell'oggetto nel primo millennio. A tale scopo vanno sviluppate alcune piste di ricerca, certamente suggestive, ma che al momento non presentano i caratteri della definitivita'. Certamente, una delle ipotesi più caldeggiate ha a che fare con la concordanza tra la nostra Sindone e il Mandylion di Edessa, noto storicamente a partire dal VI secolo. Si tratta di un panno dove era visibile l'immagine di un volto, che fu definito "Acheropita", non fatto da mani umane e miracoloso. Il Mandylion arriverà a Costantinopoli, oggi Istanbul, nell'Agosto del 944. La concordanza con la Sindone, nasce dal l'intuizione di due studiosi, Maurus Green e Ian Wilson, I quali, analizzando documenti antichi che descrivono il reperto, lo definiscono "tetradiplo", piegato due volte in quattro. Da qui l'ipotesi che in realtà il Mandylion non avesse le dimensioni note a chi poteva osservarlo, ma che le piegatura fossero celate dalla cornice che impediva di vedere come evidentemente, secondo i fautori di questa ipotesi, si trattasse di un tessuto dalle dimensioni decisamente superiori. Un lungo lenzuolo funerario. Ipotesi in un certo senso avallato da un orazione che affermava che oltre il viso erano visibili anche tracce di sangue provenienti dal costato. Per alcuni studiosi, la concordanza mandylion/Sindone, sarebbe la prova dell'esistenza di "questa" Sindone, prima della sua apparizione in terra di Francia, nella metà del XIV secolo.Una voce delicata

E’ davvero Gesù l’Uomo della Sindone?
È una domanda, questa, alla quale è impossibile rispondere. Quello che è certo è che in quel lenzuolo è stato avvolto un cadavere (l'immagine visibile sul lenzuolo non è riferibile a pittura o ad altri mezzi utilizzati "artigianalmente"), che ha subito lesioni compatibili con quanto narrato nei Vangeli a proposito di Gesù. Risulta comunque estremamente complicato identificare colui che ha lasciato i suoi tenui lineamenti sul Sacro lino e credo proprio non si raggiungerà mai una certezza in merito. Stimolo in più per continuare da un lato a studiarla, dall'altro a meditare su questa straordinaria testimonianza.

Cosa hanno rivelato le più recenti ricerche condotte sulla Sindone?
La moderna ricerca scientifica sulla Sindone inizia dopo la rivelazione fotografica, che nel 1898 rese nota una delle particolari caratteristiche possedute dall'immagine dell' Uomo della Sindone, immagine che diventa chiara, estremamente leggibile, nella lastra negativa (si può dire, utilizzando un linguaggio semplificato, che ad occhio nudo osserviamo una immagine con le stesse caratteristiche di una negativa fotografica.) Tale scoperta diede l'avvio ad una serie pressoché ininterrotta di ricerche che inizialmente si preoccuparono di leggere a livello medico legale, le lesioni visibili, che confermavano in qualche maniera la secolare tradizione che identifica la Sindone come appartenente al corredo funerario di Gesù e, cosa non trascurabile, non contraddice le narrazioni evangeliche. Altra ricerca fondamentale almeno per quanto riguarda i primi decenni del secolo scorso, fu quella che cercava di comprendere quale fosse il meccanismo che aveva provocato la formazione delle impronte. In questo campo le ipotesi fatte sono diverse, alcune delle quali, sia favorevoli, che contrarie all'autenticita' hanno portato a risultati certamente suggestivi, ma fino a questo momento lontani dalle caratteristiche fisico chimiche possedute dall'immagine originale. Dopo il II conflitto mondiale tali studi si intensificarono, anche se bisognerà attendere il 1978 per una vera campagna di studi diretti sulla Sindone ad opera di una quarantina di ricercatori consorziatisi nello STURP (Shroud of Turin Research Project - Progetto di ricerca sulla Sindone di Torino) che fornirà l'impalcatura delle moderne conoscenza sul lino funerario, cercando di spiegarne l'immagine, una specie di ossidazione disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del lino, senza apporti esterni, appurando la presenza di sangue. Da rilevare come negli anni precedenti fece molto clamore a livello mediatico la ricerca palinologica, attraverso lo studio dei pollini "catturati" dalle fibre di tessuto e prelevati dal criminologo svizzero Max Frei, I quali attraverso il microscopio identifico' una cinquantina di tipi di polline, che possono fornire, al di là delle critiche sulla metodologia usata, un indizio sulla provenienza orientale del tessuto sindonico. Fondamentali anche le ricerche informatiche che hanno permesso di scoprire come l'immagine sindonica possiede informazioni tridimensionali. Nel 1988, la Sindone fu sottoposta all'esame con il metodo del carbonio 14, largamente utilizzato per determinare l'età di reperti antichi. Le misurazioni eseguite da tre laboratori, Oxford, Zurigo e Tucson stabilirono per la Sindone al 95% di possibilità un'età compresa tra il 1260 ed il 1390 d. C. Tali risultati sono stati recentemente messi in discussione da una importante ricerca che avrebbe rilevato importanti incongruenze nelle operazioni effettuate, tanto che la questione non è certamente chiusa.

 

Scienza e fede?
L'immagine presente sulla Sindone fornisce un altissimo interesse scientifico, basta pensare, come già accennato in precedenza, a tutto quanto fatto dai vari ricercatori, allo scopo di comprenderne il meccanismo di formazione. Allo stesso tempo esiste una secolare tradizione che identifica la Sindone con il lenzuolo che ha avvolto Gesù nelle ore passate nel sepolcro. In breve, anche in considerazione del fatto che questi due argomenti tendono a scontrarsi (tuttavia un dialogo è possibile) si può comunque dire che gli studi scientifici sulla Sindone hanno essenzialmente lo scopo di capire qualcosa in più sulle sue origini. La fede presuppone un approccio del tutto diverso, che ne mette in evidenza lo stretto legame con le Scritture, attraverso un messaggio intrinseco sempre attuale. San Giovanni Paolo II la considera "Specchio del Vangelo", quindi ideale supporto per un fecondo cammino di fede.

Cosa ti ha spinto ad intraprendere questo tuo percorso?
Tutto è iniziato nel 1978, quando per la prima volta ho visto in TV il Volto dell' Uomo della Sindone. Ne rimasi letteralmente sconvolto. Nel mio essere sedicenne quell'immagine mi fede comprendere tutte le storture della storia, le sofferenze inflitte da uomini ad altri uomini, le inquietudini di chi è in cammino e non trova risposte alle proprie domande. Subito dopo, istintivamente, il pensiero è andato immediatamente al Cristo, al suo patire che è il nostro patire, al suo conforto oltre le ingiustizie che è il nostro conforto. Ho deciso allora di saperne di più, ma tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il supporto costante del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone. Ho toccato con mano una realtà più grande di me, cercando, attraverso il mio unico strumento a disposizione, quello della divulgazione, di offrire un modesto contributo alla conoscenza.

Quali dubbi o certezze, nella tua persona sono emersi dopo i primi approcci con il mistero delle immagini impresse sul lino?
In tutti questi anni, l'unica costante è stata quella di potere riuscire a trasmettere tutto quello che nel tempo ho appreso. Sotto questo aspetto non ho mai avuto il minimo dubbio. Essere inoltre stato un allievo di uno dei più grandi studiosi Siciliani, il Dott. Sebastiano Rodante, mi ha permesso di essere partecipe alla sua vita di ricercatore. I suoi dubbi, pochi per la verità, attanagliavano anche me. Ai dubbi, alle ipotesi di carattere scientifico, si contrappongono certezze più intime che interpellato il mio rapporto di credente con Gesù, il mio essere cristiano. La testimonianza sindonica in questo senso è una certezza che mi chiama a mettere in pratica, anche se ahimè è difficile, ciò che Gesù mi ha insegnato.

Perché "Sacra" Sindone?
"Sindone" è un termine desueto, esso sta ad indicare, in base alle sue origini greche un "telo". Quando oggi si parla di Sindone non si intende un telo qualsiasi, ma quello conservato a Torino dal 1578. L'aggettivo "Sacra" è in relazione a Gesù, al fatto che l'immagine visibile sul telo è immediato richiamo a lui. Da qui la sua Sacralità.
"Sindone" è un termine desueto, esso sta ad indicare, in base alle sue origini greche un "telo". Quando oggi si parla di Sindone non si intende un telo qualsiasi, ma quello conservato a Torino dal 1578. L'aggettivo "Sacra" è in relazione a Gesù, al fatto che l'immagine visibile sul telo è immediato richiamo a lui. Da qui la sua Sacralità.

L’Esperienza più intima che ti ha segnato.
Nulla è più emozionante, intimo e struggente di quando si ha la possibilità di sostare davanti alla Sindone. Impossibile descrivere quello che si prova. Ho vissuto questa emozione più volte, ma quanto mi è stato offerto nel 2018, credo non era lontanamente immaginabile. Ho avuto infatti l'enorme privilegio di trovarmi davanti alla Sindone per diverse ore, in alcuni momenti da solo. Almeno per quanto mi riguarda, quel giorno si sono confrontati il mio essere studioso, quindi il ricercare conferme "visive" in particolari aree del sacro lino, ed il mio essere credente. Posso assicurare che la commozione fu enorme e con essa la voglia di piegare le ginocchia ed iniziare a pregare.

La Sindone può cambiare il mondo?
La Sindone non cambierà il mondo, ma può essere di aiuto ad un nostro cambiamento in meglio. È un libro aperto e tutti siamo chiamati a leggerlo con umiltà ed attenzione. Un contributo notevole è senza dubbio stato dato dalla sincera devozione di tutti i fedeli che nel corso dei secoli si sono accostati ad essa, "leggendo" attraverso l'immagine, i patimenti di Nostro Signore. Con l'arrivo delle ricerche scientifiche, tale devozione non è diminuita, si sono aggiunti altri interrogativi, tali da renderla "provocazione all'intelligenza" che spinge ogni uomo di buona volontà a confrontarsi con essa. La Sindone non è dogma di fede, ma possiede tanti e tali spunti di carattere pastorale, che possono portare ad una conversione autentica, fatto che rende così preziosa tale straordinaria testimonianza. Si tratta davvero dell'amore più grande.