di Guendalina Middei
Al peggio non c’è mai fine? Non so se avete seguito la vicenda della banana di Cattelan, «l’opera» venduta per 6,2 milioni di dollari a un collezionista privato.
Ecco, ma solo io mi domando: ma esattamente cosa è stato venduto? C'è gente che muore di fame, letteralmente, e si spendono milioni per una banana e un pezzo di scotch: ecco l’essenza della società di oggi. Eppure c’è chi ha usato la parola «genio», «provocazione», chi parla di «critica alla società», chi addirittura come Sgarbi ha visto nell’opera di Cattelan una «strada nuova e rivoluzionaria» al nostro modo di intendere e di concepire l’arte. E allora mi domando: ma sono tutti impazziti? Far passare l’idea che una banana appiccicata al muro sia arte, quella che dovrebbe «scuotere dall’anima la polvere», perché è come una freccia che tocca il cuore, a me pare una forzatura bella e buona.
Ecco, una delle fiabe più antiche al mondo racconta di un re superficiale e vanitoso, ossessionato dal suo aspetto esteriore. Un giorno gli si presentano due furfanti, garantendo di essere in grado di produrre una stoffa preziosissima e meravigliosa, con il pregio di essere invisibile agli ignoranti. Colpito nella vanità, il re si fa confezionare questi abiti nuovi. Tutti i dignitari di corte, per paura di essere tacciati di ignoranza, si sperticano in lodi esagerate riguardo ai vestiti inesistenti. Finché un giorno un bambino gridò, svegliando tutti dal torpore: «Il re è nudo!»
Perché vedete il punto è proprio questo: il re è nudo! Abbiamo perso il senso e la misura delle cose. Tutti parlano, ma nessuno ha realmente qualcosa da dire. Nella società delle apparenze tutti vogliono mettersi in mostra, senza avere nulla da mostrare! Viviamo la cultura del contenitore che se ne frega del contenuto. Caro Professor Sgarbi, se la banana di Cattelan è arte; allora l'arte è un luogo comune. Una provocazione fine a se stessa. E non serve più a niente e a nessuno. Ecco lasciatemelo dire, su una cosa però Cattelan ha ragione: siamo alla frutta. Letteralmente.