di Adelaide Baldi
Carnevale è uno dei riti tra i più antichi del folklore dei popoli e rappresenta un momento di allegria e spensieratezza.
Nel Cilento fino a qualche decennio fa era una festa arcaica, non paragonabile alle sfilate di maschere e carri cittadini. Oggi, purtroppo, il carnevale cilentano ha perso quella autenticità popolare che lo contraddistingueva dagli altri.
In ogni paese si metteva in scena una chiassosa teatralità che coinvolgeva tutti gli abitanti. Il tema tipico del carnevale cilentano era Il corteo degli Sposi, che ancora si svolge a Trentinara. A Lustra e nei paesi limitrofi, invece, veniva rappresentata La canzone di Zèza, che si distingue dalle altre zone del Salernitano e di tutta la Campania, in quanto segue uno schema di recitazione in contrasto e si ricollega al tipico canto alla cilentana. I personaggi principali sono quattro: Pulcinella, la moglie Zèca, la figlia Mirèmma e Zì Don Nicola, pretendente di quest’ultima. Zèca, intrigante e ruffiana, fa in modo, contro la volontà del marito Pulcinella, che la figlia Mirèmma riesca a strappare una promessa di matrimonio da Zì Don Nicola, anziano e ricco maestro di paese.
Nei villaggi del corso dell’Alto Alento si metteva in scena la Rappresentazione dei Mesi. Particolari erano le scene dei Chiavùni a Stio e le Bona sera di Sito e Gorga. Durante la sfilata i protagonisti improvvisavano versetti satirici indirizzati a quanti durante l’anno erano stati oggetto di chiacchiere del paese. In fondo in questo tipo di festa è lecito dire cose che in in tempo normale suonerebbero come offesa. In ogni paese la maschera del Turco annunciava con la tofa l’inizio della sfilata. La festa durava l’intero pomeriggio del Martedì Grasso, spingendosi poi fino a notte inoltrata.
Carnulavaro e Quarajésema sono da sempre i principale personaggi del carnevale cilentano. Il primo veste i panni di uno straccione essendo il simbolo dell’inverno, la seconda, invece, rappresenta l’arrivo della primavera, ma veste di nero in quanto impersona la vedova di Carnevale. Ed è per questo che la Quaresima nella cultura popolare viene personificata e, come maschera, fa parte del corteo carnevalesco. Resiste ancora in alcuni paesi l’usanza di fare la Quarajésema, cioè di costruire una bambola di stoffa dalle sembianze di vecchia ed appenderla ad una finestra, subito dopo che si è sciolto il corteo di Carnevale. Ha le stesse caratteristiche della maschera e in più le viene attaccata sul posteriore un’arancia, sulla quale infilzate sette penne di gallina, queste vengono poi tolte una per ogni venerdì e bruciate.Infine il Venerdì Santo bruciata la Quarajésema con l’ultima penna e l’arancia.
Ecco come Quaresima è cantata in queste strofe, nella quale emergono i caratteri che la fantasia popolare attribuisce alla maschera:
Ja girànno pe into l’òrta.
Se jettào pe nu muro
E se ruppètte l’uósso ru culo
Quarajésema cuossi-stòrta
Ja arrubbànno menèstra a l’òrta
La ‘nguntrào Carnulevàro
E ‘a pigliào cu nu palo
Quarajésema cuossi-stòrta
A lu spitàle se ne jètte
E ncapo re quaranta juórni
Accussì dda’ fernètte.
Nel Cilento, come in tutta Italia, oggi è il giorno della lasagne, delle chiacchiere,… ma le vere protagoniste della tavola carnevalesca cilentana sono le polpette di San Biagio, preparate con uova, patate, pane e cacioricotta. Domani, giorno di Quaresima, si consumano solo legumi e verdure.
(Tratto da Il Folkore - A. La Greca)