La scomparsa della ragazza di Novellara, una drammatica storia che si ripete
di Ornella Gatti
SAMAN ABBAS è una ragazza pakistana di 18 anni, scomparsa da circa un mese da Novellara (RE), il paese in cui viveva con la famiglia.
Dalle indagini emergono inquietanti fatti che conducono gli inquirenti a considerare Saman una vittima, l’ennesima vittima. Una donna che ha rifiutato il matrimonio combinato imposto dalle regole di vita pakistane, condannata a morte dalla sua stessa famiglia.
SAMAN è una ragazza che vuole integrarsi nella nostra società, godere della nostra libertà, liberarsi dal velo, truccarsi il viso, scegliere chi amare. È la sharia, storicamente la legge religiosa che fa parte della tradizione islamica a prescrivere, nell’interpretazione integralista, queste violenze. Una legge nota per la sua severità, che dà agli uomini il diritto, l’autorità di picchiare le donne. Nell’immaginario islamico, la donna è paragonata ad un animale; una donna che disobbedisce va punita e percossa, e se non retrocede dalle sue intenzioni, deve essere uccisa. Questo è il genere di violenza che sono costrette a subire le donne in Medio Oriente e che l’immigrazione ha importato anche nell’Ovest, anche a casa nostra. Donne che in quanto donne sono considerate inferiori e che sono trattate come tali senza mezzi termini.
SAMAN scomparsa come SAMIRA EL ATTAR nel 2019, 43 anni, viveva in un paese del padovano, mai più trovata, il marito Mohamed Barbri è sotto processo.
Di Saman si cerca il corpo, perché nulla lascia presagire un esito diverso dai precedenti casi che non dobbiamo dimenticare.
SANA CHEEMA, la giovane italo-pakistana venticinquenne che viveva a Brescia, uccisa dal padre e dai fratelli per essersi opposta al matrimonio combinato; di Brescia anche HINA SALEEM, pakistana ventenne, uccisa dal padre e dai cognati, per essersi troppo occidentalizzata; di Pordenone SANAA DAFANI, diciottenne marocchina uccisa dal padre per la sua scelta di convivenza con un italiano; KAUR BALWINDER, ventisettenne indiana, incinta di tre mesi, uccisa dal marito perché perfettamente integrata, il cui corpo è stato ritrovato nel Po.
Ci sono tante altre donne costrette con la forza a sottoporsi, senza via di scampo, a violenze e soprusi, e per alcune di loro, purtroppo, si è arrivati troppo tardi.
In Italia la politica è intervenuta con la legge 69/2019, introducendo il reato penale di costrizione o induzione al matrimonio. Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimoni è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o d’inferiorità di un soggetto, abusi delle relazioni familiari, lavorative, domestiche o di affidamento, per indurlo a contrarre matrimonio. La pena è aumentata se si tratta di minori. Norme che si applicano anche quando il fatto è commesso all’estero a danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in italia. Questa norma, la 558 bis del codice penale, (Codice Rosso) ricomprende tutte le condotte volte alla costrizione, alla violenza e alla minaccia intesa anche come abuso psicologico verso la vittima. Inoltre ha una dimensione ultranazionale punendo anche il fatto commesso all’estero. La tutela è presente anche nella Convenzione del Consiglio d’Europa che nell’art.37, indica le norme di prevenzione e di lotta alle forme di violenza domestica, considerate come violazione dei diritti umani. Sono norme che hanno permesso di salvare Farah Taveer, innamorata di un ragazzo italiano, rimasta incinta. Riportata in Pakistan le è stato provocato l’aborto. La Farnesina è riuscita a liberarla riportandola in Italia. Salvata e tornata in Italia anche Amani El Nasif, ventottenne siriana, aiutata a fuggire dalla Siria.
Non è sufficiente la sola tutela penalistica. Il monitoraggio è il mezzo adeguato per la prevenzione. Sarebbe utile intervenire sulla sensibilizzazione e la formazione. Ciò permetterebbe di intercettare subito situazioni a rischio e costruire una rete di protezione che coinvolga servizi sociali, scuola, centri antiviolenza e/o case-rifugio, forze dell’ordine e magistratura.
SAMAN non è che l’ultima vittima di una lunga scia di sangue. Un sangue versato non solo da ragazze e donne straniere, perché nel nostro Paese il femminicidio è un fenomeno devastante e in continua crescita. Da gennaio 2021, sono 29 le donne uccise in Italia in ambito familiare. In questi casi la sharia non c’entra, ma un’aberrazione che dura da duemila anni.