di Massimo Reina
“La verità vi renderà liberi”, disse un tale duemila anni fa. Ma oggi, se lo ripetesse, verrebbe segnalato come complottista da Facebook, silenziato su YouTube e deriso in prima serata da qualche barzellettiere travestito da giornalista.
Perché la verità, oggi, non rende affatto liberi: rende impopolari. Ti fa perdere followers. Ti fa finire nel tritacarne del “fact checking” pilotato, dove ogni cosa che non rientra nei 3 dogmi televisivi viene smontata, etichettata, censurata o peggio: ridicolizzata.
Viviamo nell’era della felicità preconfezionata.
Tre dosi di sicurezza emotiva, due litri di stabilità narrativa, e una spruzzata di “ce lo dice la TV”. Il cittadino medio non cerca la verità, cerca la tranquillità mentale. Vuole sentirsi nel giusto, anche quando è immerso fino al collo nella farsa.
E così, se la realtà non si allinea alla sua zona di comfort, la nega.
La insulta.
La cancella.
Il nuovo sport nazionale?
Dare dell’ignorante a chi sa.
Del venduto a chi ha avuto il coraggio di dire no alle bustarelle.
Dell’esagerato a chi rischia la vita sotto le bombe, mentre racconta bambini fatti a pezzi.
Perché la nuova patente dell’esperto non è più una laurea o un curriculum sul campo.
È il telecomando.
Basta aver visto La7 una volta, due reel su TikTok e qualche commento su Twitter: ed eccoti esperto di virologia, strategia militare, geopolitica e termodinamica applicata.
C’è il ragioniere col diploma serale che dà lezioni di scienza a un Nobel per la medicina.
Il cassiere che spiega la guerra a un reporter sopravvissuto a Gaza.
La parrucchiera che ride del cambiamento climatico perché “ho visto un video dove uno diceva che è tutto inventato”.
Il risultato? Una società dove la competenza è sospetta, l’esperienza è “elitaria”, e l’unico sapere valido è quello che non dà fastidio.
Un paese dove chi porta prove, dati, documenti viene trattato da nemico pubblico, mentre l’ignorante connesso h24 viene accolto come paladino della libertà d’opinione.
Ma attenzione: non è colpa della gente.
È colpa di chi ha creato questa nuova liturgia del nulla, dove l’opinione vale quanto la conoscenza, e la democrazia è diventata il paravento del pensiero unico.
Perché la verità — quella vera — non si compra su Amazon, non la trovi nei meme, e non la distribuiscono nei supermercati del conformismo.
Serve fatica, studio, dubbi. Serve pensare.
E il pensiero critico, oggi, è il vero nemico pubblico.
Perché un popolo che non pensa, ubbidisce meglio.
Un popolo che crede ai talk show, non rompe le scatole con la realtà.
Un popolo che insulta chi sa, non chiede mai chi comanda.
E allora non stupiamoci se ogni verità scomoda viene messa al rogo digitale.
Se ogni voce libera viene silenziata da una valanga di meme, commenti idioti e insulti da tastiera.
Perché la censura non ha più bisogno dei manganelli:
ha il sarcasmo degli ignoranti, la superficialità dei sa-tutto e la complicità silenziosa di chi dovrebbe difendere il pensiero, e invece fa carriera col silenzio.
Veritas vos liberat?
Sì, ma solo se la verità fa comodo.
Altrimenti meglio spegnere il cervello, accendere Otto e Mezzo e urlare “complottista” a chiunque tenti di svegliarti.