di Roberta Mezzabarba
“Ogni posizione ha un nome preciso e nel mio caso è quello di direttore d’orchestra, non di direttrice e così voglio essere chiamata, me ne assumo la responsabilità.”
Dopo il polverone sollevato da questo intervento di Beatrice Venezi al Festival di San Remo le opinioni si sono moltiplicate.
C’è chi sostiene che la lingua italiana ha delle regole, precise e inconfutabili, che insegnano a declinare al maschile o al femminile e non prevedendo il neutro.
Di contro esiste anche il famigerato “maschile inclusivo”: che c’è chi afferma che l’uso del maschile generico rafforzi le strutture patriarcali, e che adottare un linguaggio inclusivo sarebbe il primo passo per porre fine alla discriminazione.
Il tutto in pieno contrasto con i movimenti transgender, che addirittura non più di qualche tempo fa avevano convinto i nostri governanti a cassare le diciture “madre” e “padre” e sostituirle con “genitore 1” e “genitore 2”.
Le parole che indicano le professioni ossia dei "nomina agentis" hanno provocato negli ultimi anni accesi dibattiti.
Molti nomi di professioni sono tradizionalmente maschili per una ragione storica: perché solo gli uomini potevano fare quel lavoro: il minatore, l'avvocato, il notaio, il ministro
Nell'uso comune, poi, il femminile prende spesso una sfumatura diversa dal maschile.
Il segretario è un ruolo importante (Segretario di Stato o di un partito) mentre la segretaria è poco più che un'assistente.
Il maestro è un arista (un direttore d'orchestra o un pittore, ad esempio) mentre la maestra generalmente insegna alla scuola elementare.
Di mio aggiungo solo la menzione di tutto il campionario delle ingiurie che esistono declinate solo al femminile (ma naturalmente, di questo non si può far menzione…)
Credo fermamente, che l’evoluzione sociale non sia legata solo alla rivendicazione di una declinazione al femminile del lemma che definisce lavori svolti fino a pochi anni fa da soli uomini, adesso appannaggio anche del genere femminile.
Il retaggio di una cultura atavica che impediva alle donne di accedere a ruoli lavorativi di comando, riservati agli uomini, andrebbe abbattuto con stima e rispetto, e non a parole, che spesso suonano maniera sghemba: le locuzioni Ministra, Sindaca, Assessora, Avvocata sanno tanto di presa in giro, di velata e sottile recriminazione, tanto quanto le famose “quote rosa” intese come presenza femminile imposta e non per merito riconosciuto.
E voi cosa ne pensate?