THE CANTERBURY TALES: THE PROLOGUE (Geoffrey Chaucer)
When in April the sweet showers fall
And pierce the drought of March to the root, and all
The veins are bathed in liquor of such power
As brings about the engendering of the flower,
5-When also Zephyrus with his sweet breath
Exhales an air in every grove and heath
Upon the tender shoots, and the young sun
His half-course in the sign of the Ram has run,
And the small fowl are making melody
10-That sleep away the night with the open eye
(So nature pricks them and their earth engages)
Then people long to go on pilgrimages
And palmers long to seek the strangers strands
Of far-off saints, hallowed in sundry lands,
15-And specially, from every shire’s end
Of England, down to Canterbury they wend
To seek the holy blissful martyr, quick
To give his help to them when they were sick.
“Quando aprile con le sue dolci piogge ha penetrato fino alla radice la siccità di marzo, impregnando ogni vena di quell’umore che ha la virtù di dar vita ai fiori, quando anche zeffiro col suo dolce fiato ha rianimato per ogni bosco e per ogni brughiera i teneri germogli, e il nuovo sole ha percorso metà del suo cammino in ariete, e cantano melodiosi gli uccelletti che dormono tutta la notte ad occhi aperti (tanto li punge in cuore la natura), la gente allora è presa dal desiderio di mettersi in pellegrinaggio e d’andare come palmieri per contrade forestiere alla ricerca di lontani santuari variamente noti, e fin dalle più remote parti d’ogni contea d’Inghilterra molti si recano specialmente a Canterbury alla ricerca del santo martire benedetto pronto ad aiutarli quando erano malati…”
Tempo di risvegli e di fioritura, periodo di allegre e briose giornate intiepidite dal sole: la primavera rappresenta da sempre un momento di cambiamento quasi un rito di passaggio nell’arco dell’esistenza umana. Diversi autori della letteratura mondiale hanno esplorato le implicazioni simboliche di questa stagione ma forse i due autori che più ne hanno evidenziato gli aspetti opposti e contrastanti sono stati due poeti cardine della letteratura inglese, Geoffrey Chaucer e Thomas Stearns Eliot.
Rappresentativi di epoche storicamente distanti ma uniti da quel filo conduttore che secondo Eliot permette al poeta di contenere la tradizione poetica del passato, entrambi si accostano alla primavera, che identificano con il mese di aprile, come a una tappa necessaria nell’evoluzione della specie. Colui che a buon diritto è considerato il padre della poesia inglese si sofferma ad analizzare il risveglio timido dei fiori e la dolce pioggerellina rigeneratrice della natura mentre il vento soffiando sui germogli garantisce il ciclico ricambio di vita. Nei versi del medievale Chaucer tutto è apertura alla nuova stagione colma di certezze e carica di un’intensa spiritualità al punto da spingere i pellegrini a recarsi a Canterbury, simbolo di inglese cristianità, per ringraziare il santo e martire Thomas Becket che li aveva protetti da malattia e morte durante l’inverno. Natura e uomini percorreranno insieme il cammino verso la città celeste.
THE WASTE LAND (T.S. Eliot)
April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
A little life with dried tubers.
La terra desolata
Aprile è il mese più crudele, alimenta
lillà dalla terra morta, mescolando
memoria e desiderio, svegliando
radici assopite con pioggia di primavera.
L’inverno ci tenne al caldo, coprendo
la terra con neve immemore, nutrendo
una piccola vita con tuberi secchi.
Funzione purificatrice e rinnovatrice dunque quella della primavera, carica di forti connotazioni positive e in stridente contrasto con un inverno a cui è difficile sopravvivere. Sarà proprio questo il punto di partenza per il modernista T.S.Eliot che prendendo le mosse dall’incipit dei “Racconti di Canterbury” costruisce un contesto di statica desolazione in cui l’inverno assurge al ruolo salvifico della dimenticanza che aprile, ahimé, non può garantire. Ed ecco quindi che il periodo post prima guerra mondiale diventa teatro di immagini di morte e sterilità se confrontate con un mitico passato di immagini vitali in grado di garantire il ciclo misterioso della vita.
Per Eliot aprile sarà il mese più crudele, non più capace di promuovere un flusso di nascita e rinascita, non più fonte ispiratrice della natura e del suo rinnovamento. Al contrario l’inverno aveva donato un caldo manto coperto dalla neve della dimenticanza di un’epoca passata e mitica che non si riproporrà ancora. Dai versi di Eliot emerge il fermo rifiuto della memoria che, mescolandosi al desiderio, è fonte certa di infelicità.
Diverse, quindi, le due invocazioni alla primavera ma solo apparentemente contrastanti. Abita infatti nei versi di due tra le più rappresentative opere della letteratura inglese la comune consapevolezza della necessità di concludere un ciclo naturale con una stagione per aprirsi al nuovo. La primavera rimane una libera forza creativa che risveglia da un torpore d’ineluttabile morte pur in contesti differenti. Alludendo all’inizio de “La Terra Desolata” ai versi iniziali dei “Racconti di Canterbury” Eliot intende ribadire il potere salvifico del mese di aprile pur in una fase storica in cui gli esseri umani, sconvolti da immagini di guerra e di morte, non desiderano aggrapparsi ai “tuberi secchi” e alle “radici” della desolazione che li circonda. Nel “deserto” vividamente descritto da Eliot rimane solo qualche debole speranza di bellezza e di rinascita, possibile solo se continueremo a credere nella primavera.