di Lucia Lo Bianco
È ormai trascorsa una settimana dalla finale di Wembley che ha consegnato il titolo di campioni d’Europa alla squadra italiana, ma ancora non si arresta uno scontro con il popolo inglese che non ha precedenti storici e che sembra più il riflesso di un conflitto nei confronti di una identità europea che i britannici hanno deciso di scrollarsi di dosso. L’Italia, caricata della grossa responsabilità di rappresentare l’Europa durante la partita ha visto i propri giocatori protagonisti di una battaglia non solo su un campo calcistico, ma anche e soprattutto sul ring dell’incontro Comunità sì o Comunità no.
I due schieramenti ben asserragliati sulle loro posizioni non hanno certo reso facile l’agone dei giovani e valenti calciatori che si sono visti investiti di un ruolo che andava al di là del semplice abito sportivo e trovava nella politica una nuova veste più difficile da indossare. Può lo sport lasciarsi contaminare dalle beghe politiche? La storia ci insegna di quanto le fazioni o le vicende di partito abbiano potuto determinare esiti che di per sé avrebbero dovuto mescolarsi solo con performance, allenamenti o regole di squadra. Sfortunatamente le tensioni di quest’anno e mezzo e il ruolo dei leader a Bruxelles, come pure dei ministri dei diversi paesi, hanno finito con l’inasprire i rapporti oltrepassando il puro e semplice sostegno dei tifosi e il loro nazionalismo costruito ad hoc.
La Brexit, attuata ormai da mesi, ha concesso al Regno Unito un atteggiamento “anti-europeo” sia nelle decisioni da prendere in merito all’emergenza sanitaria che nella gestione dei vaccini. Il Primo Ministro inglese Boris Johnson si è quindi vantato della decisione di uscire fuori dall’Europa per la conseguente accelerazione nella vaccinazione di massa che, pur se basandosi sulla somministrazione di una sola dose, avrebbe permesso comunque agli inglesi di raggiungere la tanto annunciata “immunità di gregge” prima degli altri paesi. Perché, dunque, concedere alla Gran Bretagna di ospitare la maggior parte delle partite presso il proprio stadio di Wembley? La Cancelliera Angela Merkel non poteva non esprimere il proprio disappunto a riguardo, appoggiata dal nostro Mario Draghi e persino dagli scozzesi che hanno visto in Roberto Mancini, Commissario Tecnico della Nazionale, la personificazione dell’eroe nazionale William Wallace.
Ecco allora riemergere l’istinto combattivo della squadra inglese mentre i tifosi risuscitavano l’antico spirito celtico e si preparavano a combattere su altri fronti. Una finale europea si trasformava così nel biblico duello Davide contro Golia perdendo di vista le sue finalità di sana competizione sportiva. Gli inglesi sembrava volessero dimostrare la propria indipendenza dall’Europa mentre gli italiani hanno ricevuto l’appoggio incondizionato di tutti i membri dell’Unione, pur costretti a giocare in un contesto in cui pochi tifosi italiani erano presenti per le restrizioni anti-Covid e lo stadio rimbombava di sostegno inglese pesantemente intorno a loro.
Difficile prevedere come si evolveranno gli eventi nei prossimi mesi. La Gran Bretagna è un grande paese e gli inglesi sono un popolo con un ricco passato storico, politico e culturale. Ci sorprendono le notizie che giungono di ristoranti italiani boicottati o vacanze in Italia disdette. Impossibile credere che un popolo che ha coltivato per secoli ideali di democrazia, tolleranza, pragmatismo e filosofia empirica possa ora interpretare ruoli che non gli appartengono. Preferiamo credere che simili atteggiamenti si riferiscano più ad un gruppo ristretto e che alla fine trionfino le menti illuminate dei più. La terra che ha dato i natali a Shakespeare, Dickens o Virginia Woolf non può allontanarsi da quel puro spirito comunitario europeo che è necessario nella difficile fase storica che stiamo vivendo.
Ci auguriamo allora che una finale di calcio assurga a quei livelli educativi che da soli potrebbero colmare ogni tipo di disagio sociale e che l’Europa vinca, alla fine, per tutti.
Immigrati italiani al Club Italia di Bedford (foto di Antonello Guerrera)
È la città inglese, 100mila abitanti, con la più alta concentrazione di italiani: uno su cinque è originario del nostro Paese. A migliaia arrivarono negli anni '50 per lavorare nelle fabbriche di mattoni o come muratori.