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di Silvano Cappelletti


Sibilla Aleramo (pseudonimo di Rina Faccio) nasce ad Alessandria il 14 agosto del 1876. Trascorre l’infanzia a Milano fino all’età di 12 anni, per poi trasferirsi con la sua famiglia a Civitanova Marche. 

L’adolescenza della giovane Rina fu tutt’altro che felice: il matrimonio dei genitori fu un fallimento e la madre psichicamente instabile, tentò il suicidio e poco dopo fu internata in una casa di cura a Macerata. Rina reagì con un atteggiamento anticonformista. Giovanissima fu stuprata, poi costretta ad un matrimonio riparatore con l’uomo che le aveva usato violenza, di cui era rimasta incinta: gravidanza che non portò a termine per un aborto spontaneo.

Prigioniera di un matrimonio non voluto e di un marito manesco, cercò rifugio nella scrittura. Iniziò a collaborare con una rivista femminista “Vita Moderna”, nonostante il suo titolo di studio fosse solo la licenza elementare. Trasferitasi a Milano nel 1899 le fu offerta la direzione della rivista “Italia femminile”. Nel 1901 si separò dal marito e cominciò una nuova vita. Si legò dapprima al poeta Damiani; ebbe poi una relazione con lo scrittore Giovanni Cena, direttore della rivista letteraria “Nuova Antologia”. Nel 1906 diede alle stampe il suo primo libro “Una donna”, fortemente autobiografico; con quest’opera la scrittrice assunse il nome di Sibilla Aleramo.

In seguito, durante la prima guerra mondiale, conobbe il poeta Dino Campana. I due erano molto diversi: lei estremamente mondana e frequentatrice di salotti, lui schivo e appartato. Per Campana, poi, la relazione era essenzialmente di tipo fisico, il rapporto quindi fu estremamente tormentato, tanto che i due giunsero spesso anche a battersi. La storia del loro rapporto, diventò nel 2002 il soggetto di un film “Un viaggio chiamato amore”, diretto da Michele Placido, con Laura Morante e Stefano Accorsi. Nel 1919 pubblicò “Il passaggio” e nel 1921 la sua prima raccolta di poesie “Momenti”. Nello stesso periodo, a Napoli scrive “Endimione”, dedicato a D’annunzio. Poi, l’opera ispirata alla vicenda amorosa con il giovane atleta Tullio Bozza, che viene rappresentata a Parigi, dove riscosse un notevole successo. Sibilla Aleramo non si adeguò mai a ruoli o immagini femminili tradizionali.

Al termine della seconda guerra mondiale si iscrisse al P.C.I, impegnandosi intensamente in campo politico e sociale e collaborò con “L’unità”. Morì a Roma nel 1960, dopo una lunga malattia.

Gaudio l’amarti
illimitato gaudio
credere al riso dei tuoi occhi,
e vertigine ancora
la certezza d’esser da te cantata,
oh più tardi, negli anni non i miei,
or che tremar la vita sento
sul ciglio estremo.

da: Sibilla Aleramo, “Tutte le poesie”, Mondadori 2004 Milano.

 

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