di Guendalina Middei
Sapevate qual è la poesia d’amore più bella di tutte? «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale, e ora che non ci sei, è il vuoto ad ogni gradino.» E no, non è soltanto una poesia d’amore, ma è molto, molto di più! Ha una storia straordinaria dietro, vi parla di un amore che sopravvive a tutto: al tempo, alla vecchiaia e perfino alla morte.
Eugenio Montale scrisse questa poesia dopo la morte della moglie, Drusilla Tanzi. Si erano incontrati per la prima volta a vent’anni. Lei è una donna sposata, lui un poeta squattrinato. «La tua casa non è dove sei nato. Casa è dove cessano tutti i tuoi tentativi di fuga.» E così fu per loro. Con il loro amore sfidano tutto e tutti, la morale, le convenzioni dell’epoca, il regime che vieta il divorzio, ma loro se ne fregano.
Eppure non potrebbero essere più diversi. Lei è una donna pratica, lui un poeta. Lei tiene i piedi ben saldi a terra, lui si slancia verso il cielo. Rincorre il sole e poi ne resta abbagliato, perché tanta luce lo acceca. Lei invece quasi cieca lo era per davvero. Una malattia agli occhi le aveva fatto perdere la vista. «Mosca» la chiamavano tutti, perché non vedeva quasi nulla. E lui faceva una cosa semplicissima, in apparenza almeno, la teneva sottobraccio per aiutarla a scendere le scale. Perché amare significa prendersi cura. Significa esserci, non nelle grandi cose ma in quelle piccole. Il poeta delle «piccole cose» lo chiamavano. Perché sapeva che le piccole cose sono più eloquenti di mille parole.
«Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio, non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue». Lei si affida a lui per «vedere» fuori, lui si affida a lei per vedere «dentro». E il senso della vita, il senso dell’amore è tutto qui: nel porgere il braccio a chi ti sta accanto; nell’essere compagni e non solo amanti, amici e non solo innamorati, nell’essere non più un «tu» e un «io» ma «noi». E il «noi» resiste a tutto. Resiste al Tempo. Alla nebbia. Resiste alla vita e perfino alla morte.
Ecco il testo completo:
"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue".
Perché leggere Montale?
Perché ti parla del «sole che abbaglia», e della «triste meraviglia», della fragilità e della forza, e di di chi in un mondo caotico, violento, volgare e crudele non ci si riconosce e non ci si riconoscerà mai. Ti parla di quel sentimento di nostalgia che ti assale quando ti guardi indietro e del desiderio di vivere il tempo, di assaporarlo appieno, di far sì che che non «scorra» ma trascorra.
Perché ti parla delle piccole cose, ti parla di quelle cose che solo apparentemente sono piccole ma che racchiudono tutto: un bacio, un sorriso, un abbraccio, il fruscio delle foglie, il rumore delle gocce di pioggia, il primo canto degli uccelli all’alba. Perché il senso della vita è tutto qui: nelle cose semplici, quelle che normalmente passano inosservate, e che spesso sottovalutiamo e sottostimiamo. Ma sono queste le cose per cui vale la pena vivere.
* Se vi piace ciò che scrivo, è uscito «Innamorarsi di Anna Karenina il sabato sera» che ho scritto per farvi innamorare della letteratura cosi come me ne sono innamorata io...