di Gabriella Paci
Fabio Viale è un artista che nasce nel 1975 a Cuneo e che studia all’Accademia delle Belle Arti di Torino dove dice di aver scoperto la sua vocazione scolpendo un blocco di marmo da cui era partita una scheggia: ovvero la scintilla di questa passione nata, appunto, quando era un adolescente.
La sua carriera di scultore risale al 2009 ,anno in cui allestisce la sua prima mostra e che passa in città quali San Pietroburgo, Mosca, New York, Monaco, Torino, Venezia, (58°biennale) Le Havre, Firenze, Pietrasanta e ultima ad Arezzo, nel 2022, dove durerà fino al 30 settembre.
Proprio la mostra con opere appositamente realizzate per la biennale di Venezia dal titolo High tide ovvero “Acqua alta” ha rischiato di veder danneggiate le sue sculture, a causa dell’acqua alta entrata negli ambienti dell’esposizione, anche se poi sono state trasportate sane e salve a Firenze.
Il titolo dato alla mostra di Venezia allude ai dannosi cambiamenti climatici che rischiano di stravolgere la geografia e gli ecosistemi di zone bellissime e uniche come, appunto, Venezia stessa e, ironia della sorte, si è verificato proprio durante la sua mostra un pericoloso innalzamento delle acque.
A Firenze ha esposto le opere precisamente in Via della scala e in via Benedetta, sedi di Palazzo Poggiali. In quest’ultima sede Viali ha rovesciato 18 tonnellate di pietrisco e frammenti di sculture di marmo nella quasi totalità dei 15 metri della galleria, occupandone quasi tutta l’altezza. Azione questa chiamata root’la realizzata alle Cave di Gioia Colonnata a febbraio scorso.
A Pietrasanta, la patria del marmo Truly, Davvero o Veramente le sculture occupano gli spazi cittadini quali piazza Duomo e chiostro della chiesa di Sant’Agostino: opera appositamente realizzate e manufatti più datati a indicare un “percorso storico” della sua arte. Anche qui si tratta spesso di sculture classiche come il David o la Venere di Milo le cui parti corporee sono in parte ricoperte da tatuaggi e di oggetti comuni, per decodificare la banalità del quotidiano e d indicarne una nuova dimensione suggestiva.
L’operazione Root’la di Firenze è stata ripetuta nella chiesa sconsacrata di sant’Ignazio dove è stata allestita una parte della mostra ad Arezzo che conta 40 opere dislocate tra la fortezza medicea, Sant’Ignazio, la galleria comunale d’arte moderna e contemporanea oltre alle piazze antistanti la chiesa di San Francesco, il Duomo, san Domenico. L’arte, dunque, esce dalle sale ed invade la città. Ad Arezzo la sua esposizione si chiama “Aurum” e le opere contengono 1 grammo d’oro a simboleggiare la luce ma anche la tradizione della lavorazione dell’oro che ha caratterizzato l’economia aretina.
Un’arte che colpisce stupisce perché la riproduzione di opere della classicità come la Venere di Milo, il Lacoonte, o di Canova, come Amore e Psiche, vengono reinventate dai tatuaggi che le rivestono in parte e il colore nero ne altera la visione di alcune porzioni. Non basta: si tratta spesso di tatuaggi della mafia russa e, dunque, se il tatuaggio è già di per sé un atto di rottura, di dissacrazione della tradizione, farlo con simboli della mafia russa diventa un atto di piena dissacrazione. Viale alterna figure tipiche della tradizione tra cui anche busti e parti del corpo come mani che indicano, a pugni (segno del comando) a oggetti comuni come pneumatici, sacchi di carta, guantoni da pugile, barchette di carta o..pali come quelli fatti per la biennale che rende con una vero somiglianza al materiale d’origine che sorprende davvero e che ci spinge.. a toccare gli oggetti per sincerarci del materiale di cui sono fatti.
Addirittura in alcune opere si imita perfettamente il polistirolo, accentuando in modo diverso, la rottura dell’uso di un materiale classico e della contemporaneità.
Colpiscono anche “Le grazie” gruppo scultoreo di 3 donne marocchine con il loro abito tradizionale che ne copre perfino il volto come fossero fantasmi che, ferme alla fermata di un autobus, indicano la varietà del mondo o, forse, il viaggio che tutti compiamo verso una destinazione che,a prescindere dalla diversità, ci accomuna.