Il teatro non si ferma: call per attrici e attori
Prendono il via le audizioni per l'allestimento teatrale di una nuova produzione, tutta calabrese, dal titolo
CALA’ – l’ultimo filo
Prendono il via le audizioni per l'allestimento teatrale di una nuova produzione, tutta calabrese, dal titolo
CALA’ – l’ultimo filo
Un appello importante arriva da decine di artisti e varie personalità fra i più amati e popolari per il 7 aprile, Giornata Mondiale della Salute.
di Rita Scelfo
Amicizia, lealtà, rispetto del prossimo e della natura, amore…tutti valori inestimabili da recuperare e da custodire nel nostro animo. Queste tematiche sono state da sempre affrontate e, in particolar modo, ultimamente Greta Thunberg, si è dibattuta per salvare il nostro pianeta che soffre a causa dell’inquinamento. Quest’anno 2021 ricorre il 45esimo anniversario della pubblicazione della fiaba musicale “Sognando” che tratta, appunto, questi problemi e a grande richiesta è stato rieditato. “Sognando” è stato scritto da Don Backy (autore e interprete della bellissima: L’ Immensità). Un libro di grande levatura che andrebbe proposto nelle scuole primarie, come libro di testo; ha una valenza educativa notevole e tocca argomenti riguardanti nobili sentimenti ma parla anche delle brutture che l’uomo ha creato ferendo il mondo e l’animo umano.
di Anna Maria Stefanini
Franco Battiato viene dalla Magna Grecia e si direbbe che questa appartenenza abbia influenzato in modo determinante il suo stile musicale, che è soprattutto esplorazione e incontro.
La parola “sublime” è oggi sinonimo di raffinato e ricercato ma l’origine etimologica racconta anche altro: sublime viene da “sub limen”, ossia “sotto il limite” ed è questo l’etimo meglio rappresentativo della ricerca musicale di Battiato, impegnata a pedinare la vita nei suoi confini meno esplorati: le religioni e le culture altre.
Francesco “Franco” Battiato nasce il 23 marzo 1945 a Ionia (oggi Riposto), un’entità amministrativa a geometria variabile, prodotta per effetto di varie fusioni e separazioni più volte intervenute fra Giarre e Riposto, due vicine località del catanese. Come tutti i talenti la sua formazione è precoce e a 19 anni, a seguito della morte del padre, si trasferisce a Milano. Negli anni ’60 Milano era una sorta di Greenwich Village (il quartiere degli artisti e intellettuali di Manhattan, a New York); un incubatore di giovani artisti emergenti. Suonando per i locali milanesi cominciò a frequentare Enzo Jannacci, Paolo Poli, Renato Pozzetto, Giorgio Gaber, Lino Toffolo, Bruno Lauzi etc.; e molti gli offrirono amicizia e sostegno. Il suo percorso di formazione comincia con alcune cover incise per etichette minori. In questo periodo determinante fu l’aiuto di Giorgio Gaber, già autore affermato, che lo presentò a vari discografici. Nel 1967 Francesco compare nella trasmissione televisiva “Diamoci del tu”, condotta da Gaber insieme a Caterina Caselli. In quella puntata si esibiva un altro importante artista emergente: Francesco Guccini e, proprio per evitare omonimie, lo convinsero a cambiare Francesco in Franco e quel nome gli è rimasto. Insieme a Gaber scrive due canzoni: “…e allora dai!” e “Gulp Gulp”; una andò a San Remo e l’altra divenne la sigla di “Diamoci del tu”.
Nel 1968 entra nell’importante casa discografica Philips per la quale compone diverse canzoni tra cui “È l’amore”, che diventerà un discreto successo commerciale, con oltre 100 mila copie vendute.
Ma dietro il “quarantacinquaro” ruggiva un altro Battiato: quello della sperimentazione musicale e quando vennero i mitologici ’70 vennero i tempi giusti per quel genere di musica. Dal 45 giri passò al “long playng” (così erano chiamati i vinili a 33 giri di quegli anni) il che, tradotto in termini temporali, significa transitare da 4 minuti 4 a quasi un’ora; una trasformazione non soltanto di durata temporale ma un radicale cambio di strategia espressiva in cui la musica non svolge più la funzione di arrangiamento-accompagnamento per le parole ma aspira ad un proprio profilo sonoro. Il prodotto perfetto per uno sperimentatore.
Accanto alla tradizionale strumentazione rock (chitarre e batteria) Battiato iniziò la sperimentazione delle tastiere e della musica elettronica; un nuovo sistema musicale che permetteva di lavorare sui timbri come nessun altro strumento. È in quel periodo che inizia a frequentare il genere “progressive”, un rock di ricerca e sperimentazione, che non rifiuta la contaminazione con la musica classica, come già da tempo facevano i britannici Genesis, Jetrho Tull, Emerson Lake e Palmer, King Crimson etc. e i celeberrimi Pink floyd, che però praticavano un progressive molto particolare, arricchito da influenze psichedeliche; opzione che implicava anche uno straordinario gioco di luci ed immagini. In Italia: Banco del mutuo soccorso, Premiata forneria Marconi, Le orme e altri.
Gli anni ’70 sono stati anche gli anni dei grandi concerti: nel 1975, nel milanese Parco Lambro, va in scena una sorta di Woodstock italiana: Battiato si esibisce insieme a Francesco Guccini, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Antonello Venditti e Francesco De Gregori.
Chiusa la ribollente stagione degli anni ’70 va in scena il cosiddetto “ritorno nel privato” ed è questa l’occasione per Battiato per sperimentare nuove esperienze espressive e musicali, più intime e spirituali. Si avvicina così al “sufismo”, la dimensione mistica dell’Islam, iscrivendosi persino all’istituto italiano per il Medio e Estremo Oriente e la musica diviene il mezzo espressivo per dare voce a questi nuovi spazi della mente.
«Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare / rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare.»
(Bandiera bianca)
La ricerca di questo nuovo Battiato non riguarda solo la musica e le tematiche ma anche i testi; una ricerca che lo porterà a superare il testo organico e continuo, inseguendo una nuova simbiosi fra suono vocale e suono strumentale. Inizia così a sperimentare veri collage testuali, formati da frasi non necessariamente tenute insieme da un vincolo comunicativo ma associate in ragione di armonie con le linee melodiche; in un modo non molto diverso da come i pittori astratti mettono insieme forme e colori.
Negli anni ‘80-’90 Franco Battiato raggiunge la piena maturità artistica ed espressiva; ma una maturità sempre al lavoro.
Ed eccoci qui ad introdurre un tema prettamente affascinante e misterioso nello stesso tempo. In questo piccolo spazio di intrattenimento voglio parlarvi di quella che è l'Astrologia, dal greco "Aster", stella e "logia", studio.
È una disciplina o meglio la scienza che studia il movimento e la posizione dei pianeti nel cielo, ma precisamente il modo in cui influenza noi stessi ed il mondo che ci circonda.
Le sue origini si perdono nella notte sei tempi. Ha origini, infatti, antichissime.
Il 71° Festival della canzone italiana si è concluso da pochi giorni e già si parla di storia e di rivoluzione. Sicuramente quello condotto da Amadeus e Fiorello (per il secondo anno consecutivo) è stato il primo festival dopo settant’anni senza pubblico e questo lo fa entrare di diritto nella storia del Festival, e forse non solo di Saremo ma anche dell’intera tradizione musicale italiana. Nell’anno che ha visto il mondo impegnato nella lotta alla pandemia di Covid-19, non era semplice organizzare un evento simile in totale sicurezza. Un plauso alla RAI che sembra esserci riuscita alla grande con una macchina organizzativa senza precedenti. Nel protocollo, approvato da tutti gli enti, c’era anche specificato il modo di consegna del mazzo dei fiori regalato alle cantanti. La città di Sanremo poi, per la prima volta non presa d’assalto dal grande pubblico, il quale, senza possibilità di movida e senza possibilità di incontrare i propri beniamini, è stato costretto a restare a casa, ricordiamo che la città era stata dichiarata zona rossa. Nonostante tutte le difficoltà, i due conduttori hanno portato a casa un risultato straordinario, facendo registrare uno share del 53.5% nella serata finale con oltre 10 milioni di telespettatori. Quest’anno oltre al budget ridotto c’era anche l’assenza di super ospiti che avrebbero fatto sicuramente alzare il numero di ascolti. L’amicizia tra il padrone di casa Amadeus e il grande mattatore Fiorello è stato il collante che ha permesso ai due di salvare l’intera edizione del Festival.
I Måneskin durante la premiazione (foto dal web)
Ma veniamo alla rivoluzione, già, perché è di rivoluzione che si parla, ovunque. La vittoria dei Måneskin (scritto con la å con il cerchietto sopra che in danese significa chiaro di luna ma che, dichiarazione di pochi giorni fa della bassista del gruppo Victoria De Angelis, non è stato scelto per il suo significato ma perché suonava bene) è una vera e propria rivoluzione, perché già il fatto che un gruppo riuscisse a vincere il festival risulta essere un evento raro. Ci riuscirono gli Homo Sapiens nel 1977, i Matia Bazar nel 1978 e 2002 e i Pooh nel 1990 cinque volte su settanta, non tanti, ma quello che fa da spartiacque con il passato è che i Måneskin hanno portato a Sanremo un brano rock e non la solita canzonetta orecchiabile, musicalmente corretta, ma leggera. No, loro non sono così, loro sono esplosione, sono lavoro duro, sono grinta e altro ancora. Dal secondo posto ottenuto nel 2017 a X-Factor ne hanno fatto di strada, hanno stabilito primati e ottenuto successi strepitosi, come il singolo Torna a casa che oltre ad arrivare in vetta alla classifica dei singoli più venduti fu certificato quintuplo disco d’oro nel 2018. Zitti e buoni il brano presentato al 71° Festival di Sanremo viene inizialmente concepito come una ballata poi rielaborato in chiave rock. Il testo rappresenta una critica agli adulti che non valorizzano i giovani. La carica del frontman Damiano David (voce) unita agli altri membri della band, Victoria De Angelis (basso) Thomas Raggi (chitarra) Ethan Torchio (batteria) con i meravigliosi outfit indossati durante tutte le serate di esibizione hanno sancito il trionfo avuto nella serata finale. Ora a maggio saranno loro a rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest 2021.
«Croce […] dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti, dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante»
Diciotto febbraio 1940: Fabrizio De André e il mondo intraprendono un viaggio durato 59 anni, quando ciascuno riprenderà la propria esistenza. Ma per entrambi l’esistenza non sarà più quella di prima.
A Fabrizio; “Faber” per gli amici, dal nomignolo che gli dette l’amico Paolo Villaggio per la sua predilezione per i pastelli di marca Faber-Castell, il mondo regala Genova, la città-mondo centro di antiche rotte mediterranee e principale hub di collegamento fra sud e nord Europa; anche l’antichissimo Homo sapiens emigrato dall’Africa è passato di lì.
Fabrizio ha ricambiato il mondo con un numero mai esattamente censito di poesie in musica che raccontano il mondo meglio di un trattato di sociologia. Ladri, puttane, assassini, innamorati, re straccioni e pescatori eroici; questi i disincantati personaggi che hanno incantato generazioni di cercatori del bandolo della matassa del mondo e non sono pochi coloro che vedono nei personaggi che popolano le storie musicali di De André gli stessi che compaiono nei vangeli.
Da De André abbiamo anche imparato che il dialetto genovese stretto è più incomprensibile del gaelico.
Fabrizio De André è una contraddizione umana: di famiglia borghese benestante (il padre Giuseppe è stato amministratore delegato di Eridania e fondatore della Fiera del mare) preferì scrivere; a lungo considerato il più irregolare dei cantautori italiani, le sue canzoni sono tra le più ricorrenti nei libri di scuola ed è proprio a scuola che milioni di ragazzi lo hanno conosciuto ed amato.
Non soltanto: anarchico reo confesso (“attenzionato” persino dai servizi segreti) ha sempre dichiarato di vedere in Gesù Cristo la più grande figura di rivoluzionario; colui che regalò amore e parole sante ed ebbe in cambio sputi, chiodi e spine. Una passione con risvolti famigliari: il figlio (avuto dalla prima moglie Enrica “Puny” Rignon), a sua volta musicista e continuatore del padre, ha avuto in dote gli impegnativi nome e cognome Cristiano De André.
Anche il suo ciclo cantautorale è stato un imprevisto accidentale: da sempre resistente a presentarsi in pubblico, frequentatore dei ristrettissimi club di pubblico colto e praticante della difficile simbiosi fra canzone esistenzialista francese e di critica socio-culturale, fu ad un certo punto dirottato verso il normale pubblico a consumo perché, per qualche particolare ragione, la sua celeberrima e struggente “La canzone di Marinella” (1964) incantò Mina, che la volle incidere, curvando la storia esistenziale di Faber in direzione dell’imprevisto e indesiderato ruolo di icona cantautorale.
Ma, diversamente dalle aspettative, questo nuovo percorso coinvolse molto Fabrizio, anche grazie all’amicizia con molti appassionati musicisti, poeti, parolieri e impresari. A quel periodo risalgono le prime incisioni e l’amicizia con i New Trolls, la Premiata Forneria Marconi (che allora si chiamava “I quelli”, probabilmente un calco dei britannici “The who”), l’arrangiatore Gian Piero Reverberi e il polistrumentista Mauro Pagani. “Tutti morimmo a stento” e “La buona novella” (ispirato ai vangeli apocrifi) sono i lavori di quell’intenso periodo; lavori che, per taglio stilistico, espressivo e testuale, sono definiti “concept album”. Fra critiche e successi, la difficile via fra opera colta e pubblico di massa era stata aperta; la stessa via, negli stessi anni, praticata da Bob Dylan e Leonard Cohen nel Nord America.
Album successivi, amati dal pubblico sono stati “Non al denaro, non all’amore né al cielo” (1971) e “Storia di un impiegato” (1973). Il primo è liberamente ispirato all’opera poetica “Antologia di Spoon river” di Edgar Lee Masters, con musiche composte da Nicola Piovani e la (diciamo) supervisione di Fernanda Pivano, studiosa di letteratura americana, della quale si racconta che ricorse al sotterfugio di registrare in segreto le discussioni con Fabrizio (sempre contrario a rilasciare interviste) per ricavarne una testimonianza a futura memoria.
Il percorso di vita di Fabrizio De André è stato segnato da due altri importanti eventi: l’incontro (1972) con Dori Ghezzi, la sua compagna e testimone di vita, sposata nel 1989 (nell’estate del 2018 Dori Ghezzi è intervenuta ad una manifestazione di poesia organizzata dal comune di Vitorchiano) e il sequestro del 27 agosto del 1979 da parte della cosiddetta “anonima sequestri sarda” , culminato con la liberazione del 22 dicembre successivo dopo il pagamento di un riscatto di circa mezzo miliardo di lire, versato dal padre Giuseppe.
In un concerto tenuto a Roccella Ionica nell’agosto del 1998, Fabrizio avverte forti dolori al torace ed alla schiena ed è costretto a interrompere l’esibizione; pochi giorni dopo gli viene diagnosticato un tumore polmonare; muore all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano l’11 gennaio 1999, interrompendo la parte biologica della sua partecipazione sulla Terra.
Ma la sua storia e le sue opere accompagneranno per sempre questo mondo (e forse anche l’altro).