di Anna Maria Stefanini
Franco Battiato viene dalla Magna Grecia e si direbbe che questa appartenenza abbia influenzato in modo determinante il suo stile musicale, che è soprattutto esplorazione e incontro.
La parola “sublime” è oggi sinonimo di raffinato e ricercato ma l’origine etimologica racconta anche altro: sublime viene da “sub limen”, ossia “sotto il limite” ed è questo l’etimo meglio rappresentativo della ricerca musicale di Battiato, impegnata a pedinare la vita nei suoi confini meno esplorati: le religioni e le culture altre.
Francesco “Franco” Battiato nasce il 23 marzo 1945 a Ionia (oggi Riposto), un’entità amministrativa a geometria variabile, prodotta per effetto di varie fusioni e separazioni più volte intervenute fra Giarre e Riposto, due vicine località del catanese. Come tutti i talenti la sua formazione è precoce e a 19 anni, a seguito della morte del padre, si trasferisce a Milano. Negli anni ’60 Milano era una sorta di Greenwich Village (il quartiere degli artisti e intellettuali di Manhattan, a New York); un incubatore di giovani artisti emergenti. Suonando per i locali milanesi cominciò a frequentare Enzo Jannacci, Paolo Poli, Renato Pozzetto, Giorgio Gaber, Lino Toffolo, Bruno Lauzi etc.; e molti gli offrirono amicizia e sostegno. Il suo percorso di formazione comincia con alcune cover incise per etichette minori. In questo periodo determinante fu l’aiuto di Giorgio Gaber, già autore affermato, che lo presentò a vari discografici. Nel 1967 Francesco compare nella trasmissione televisiva “Diamoci del tu”, condotta da Gaber insieme a Caterina Caselli. In quella puntata si esibiva un altro importante artista emergente: Francesco Guccini e, proprio per evitare omonimie, lo convinsero a cambiare Francesco in Franco e quel nome gli è rimasto. Insieme a Gaber scrive due canzoni: “…e allora dai!” e “Gulp Gulp”; una andò a San Remo e l’altra divenne la sigla di “Diamoci del tu”.
Nel 1968 entra nell’importante casa discografica Philips per la quale compone diverse canzoni tra cui “È l’amore”, che diventerà un discreto successo commerciale, con oltre 100 mila copie vendute.
Ma dietro il “quarantacinquaro” ruggiva un altro Battiato: quello della sperimentazione musicale e quando vennero i mitologici ’70 vennero i tempi giusti per quel genere di musica. Dal 45 giri passò al “long playng” (così erano chiamati i vinili a 33 giri di quegli anni) il che, tradotto in termini temporali, significa transitare da 4 minuti 4 a quasi un’ora; una trasformazione non soltanto di durata temporale ma un radicale cambio di strategia espressiva in cui la musica non svolge più la funzione di arrangiamento-accompagnamento per le parole ma aspira ad un proprio profilo sonoro. Il prodotto perfetto per uno sperimentatore.
Accanto alla tradizionale strumentazione rock (chitarre e batteria) Battiato iniziò la sperimentazione delle tastiere e della musica elettronica; un nuovo sistema musicale che permetteva di lavorare sui timbri come nessun altro strumento. È in quel periodo che inizia a frequentare il genere “progressive”, un rock di ricerca e sperimentazione, che non rifiuta la contaminazione con la musica classica, come già da tempo facevano i britannici Genesis, Jetrho Tull, Emerson Lake e Palmer, King Crimson etc. e i celeberrimi Pink floyd, che però praticavano un progressive molto particolare, arricchito da influenze psichedeliche; opzione che implicava anche uno straordinario gioco di luci ed immagini. In Italia: Banco del mutuo soccorso, Premiata forneria Marconi, Le orme e altri.
Gli anni ’70 sono stati anche gli anni dei grandi concerti: nel 1975, nel milanese Parco Lambro, va in scena una sorta di Woodstock italiana: Battiato si esibisce insieme a Francesco Guccini, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Antonello Venditti e Francesco De Gregori.
Chiusa la ribollente stagione degli anni ’70 va in scena il cosiddetto “ritorno nel privato” ed è questa l’occasione per Battiato per sperimentare nuove esperienze espressive e musicali, più intime e spirituali. Si avvicina così al “sufismo”, la dimensione mistica dell’Islam, iscrivendosi persino all’istituto italiano per il Medio e Estremo Oriente e la musica diviene il mezzo espressivo per dare voce a questi nuovi spazi della mente.
«Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare / rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare.»
(Bandiera bianca)
La ricerca di questo nuovo Battiato non riguarda solo la musica e le tematiche ma anche i testi; una ricerca che lo porterà a superare il testo organico e continuo, inseguendo una nuova simbiosi fra suono vocale e suono strumentale. Inizia così a sperimentare veri collage testuali, formati da frasi non necessariamente tenute insieme da un vincolo comunicativo ma associate in ragione di armonie con le linee melodiche; in un modo non molto diverso da come i pittori astratti mettono insieme forme e colori.
Negli anni ‘80-’90 Franco Battiato raggiunge la piena maturità artistica ed espressiva; ma una maturità sempre al lavoro.