Colors: Yellow Color

 

di Rita Scelfo

 Aldo Caponi, in arte Don Back, nasce a Santa Croce Sull'Arno, in Toscana, nel 1939.

Nel 1962 entra a far parte del «Clan Celentano», grazie alla sua prima canzone “La Storia di Frankie Balla”, fino alla rottura definitiva, nel 1968.

Partecipa alle prime tre edizioni del Cantagiro (1962 / 1963 / 1964). Nel 1963 il suo primo grande successo, “Amico”.

Nel 1964, con “Cara”, si guadagna il titolo di cantautore. Tra le tante celeberrime canzoni: "L’Immensità", "Poesia", "L’Amore", "Casa Bianca", "Canzone", "Sognando".

È stato attore in 23 film, per registi come: Polidoro, Puccini, Lizzani, Corbucci, Franciosa, Bava, Rossetti, Soldini. Autore di tre colonne sonore per i film: "Barbagia", "Una Cavalla tutta nuda", "Quarta parete". Appassionato di fumetti (in particolare "Corto Maltese"), ne disegna ben tre: "Sognando" (favola fantasy per grandi e piccini, con canzoni); "L’Inferno" (viaggio personale nell’Ade sulle rime di più di 3000 suoi versi in quartine); infine, "Clanyricon" (Storia satirica in strisce, sul Clan Celentano).

Pittore estemporaneo, dipinge quadri con paesaggi di neve, ispirati ai grandi maestri fiamminghi.

Vanta ben due esperienze come attore protagonista in teatro in altrettante commedie musicali ("Teomedio", 1980 e "Marco Polo", 1981), per le quali compone anche le canzoni di scena.

Scrittore irrazionale, pubblica alcuni volumi nel corso degli anni: "Io che miro il tondo" (1967); "Franz il Guercio & Cielo ‘O Connors"; "Soci a Parigi" (1970); "Radiografia a un Pupazzo di Neve" (1974) e la pentalogia, "Memorie di un Juke Box" (1955/2012), di cui è anche editore. Così come la nuova pentalogia ,"Senza capo né coda", con i cinque titoli: "Cose da Pazzi", "Sogno o son desto", "Dejàwoodoo", "Essere o non essere", "Incredibile, ma vero". CIASCUN PRODOTTO è ORDINABILE SU (www.donbacky.it).

Ancora attivo discograficamente e come autore di canzoni. I suoi ultimi due lavori, "Il Mestiere delle Canzoni" (2010) e "Pianeta Donna" (2017).

RICONOSCIMENTI
Sulla sua storia personale e musicale è stata redatta una tesi di laurea di n° 553 pagine: "La Biografia di Don Backy, dalla seconda guerra mondiale al trionfo del pop". (D.ssa Daniela Setta)

Targa Commemorativa per "Casa Bianca", fatta apporre dal sindaco sig. Osvaldo Ciaponi, dove sorgeva l’abitazione, a Santa Croce sull’Arno.

Il teologo, prof. Silletta Gastone Francesco, pubblica un volume analitico dal titolo, "L'Immensità".

Il saggio analizza in dettaglio, da un punto di vista teologico, il testo dell’omonima canzone. Il Pianeta 2020 è stato dedicato a L’Immensità - Don Backy - dall’astrofisica scopritrice Maura Tombelli. Sancito con documento ufficiale della NASA (Ente Spaziale Americano).

La sindaca di Santa Croce sull’Arno, sig.ra Giulia Deidda, intitola a Don Backy - "L’Immensità", la nuova rotonda spartitraffico, che immette al centro del paese. 

 

Ma leggiamo cosa dice Don Backy:

- Hai scritto e interpretato bellissime canzoni. Ci puoi dire come nascono i tuoi capolavori? Iniziamo da "L’Immensità". 

«Ad alcune mie canzoni è stato assegnato questo onorifico titolo di capolavori. Io non so se lo meritano o meno, ma sono felice che in tanti la pensino così. In quanto a “come nascono”, è presto detto. Io non ritengo di essere un compositore/autore di canzoni, nel senso tecnico del termine, questo attiene a coloro che fanno questo “mestiere”. Le mie canzoni non sono frutto di studi, di impegno su un tema generico, da creare di sana pianta, come è d’uopo che sia. Io sono un creativo istintivo e scrivo solo quando una qualche emozione mi crea lo stato d’animo giusto, che magari valga la pena di essere raccontato. Ecco, se accade questo, allora la canzone è già nata, parole e musica conseguente, e, praticamente, non mi resta che trasferirla su un foglio e su un registratore. Trattandosi di una canzone scaturita da una emozione “vera”, non potrà che raggiungere le persone che hanno quel tipo di sensibilità, che la faranno propria, riscontrandocisi». 

 

 

- Hai cantato di una “Casa bianca”. È davvero esistita?

«Certo che sì. Si trovava al mio paese, Santa Croce sull’Arno (Pi), ed era la casa dei miei nonni paterni. Fu cannoneggiata dall’esercito americano (insieme a tante altre), che, attestatosi “di là d’Arno”, cercava di costringere i tedeschi ad abbandonare le loro postazioni in paese e, sparando alla cieca, quello fu il risultato. Oggi, al suo posto, c’è una piazza, ma l’ex sindaco, Osvaldo Ciaponi, ha fatto affiggere sul frontespizio di un palazzetto antistante, una targa in memoria e in ricordo della mia omonima canzone “Casa bianca”».

- Nel tuo repertorio c'è una canzone che presenta nel titolo un errore grammaticale: “Ho rimasto”. Come mai?

«È una canzone del 1963. Fa parte delle goliardate, che nascevano tra noi appartenenti al Clan. Una di quelle idee strampalate, che ci divertivano molto, dato che eravamo sempre alla ricerca di qualcosa che stupisse il pubblico. Per farla passare, temendo che fosse un azzardo, che non sarebbe stato compreso, decidemmo di scusare questa strampaleria, abbinandola a una scommessa tra me e Adriano, ovvero: chi dei due avesse perso una gara di nuoto, “avrebbe dovuto giocoforza”, pagare quel pegno, incidendo una canzone con un errore di grammatica nel testo. Fu una gara ripresa dalla Rai tv, per lo show intitolato “Adriano clan n°1”. Divenne un successo, il cui titolo è stato varie volte citato in film della commedia italiana e di cui ancora oggi si parla. Indovinate chi la perse?».

- La versione italiana di Stand by me, Pregherò, l’hai scritta tu?

«Non c’è alcun dubbio e ho chiaro nella mente il momento, il luogo e l’atmosfera di tristezza, che mi avvolgeva in quel periodo in cui ero appena arrivato a Milano e vivevo in un albergo chiamato “Des etrangers”. Non dimenticherò mai tutta la storia, che avvolse questa canzone e come fu che, dalla incisione che doveva farne Ricki Gianco, finì per essere incisa da Adriano. Un ricordo indelebile».

- Nel 1971 hai scritto “Sognando”, capolavoro nel capolavoro Musica/Arte, affrontando delle tematiche drammatiche e poco conosciute in quel periodo. Come nasce questo testo?

«Un ricordo direi quasi “ancestrale”. È riemersa da immagini di me bambino, quando andavo all’asilo in un convento di monache, attiguo al quale c’era un manicomio. Ero quindi costretto a guardare quei poveri infelici, dalle facce stravolte, attaccati alle sbarre delle finestre, che tendevano le mani verso di me, chiamandomi e facendomi versi. In seguito avevo nascosto questi ricordi in fondo alla mia memoria, fino a quando nel 1971, dopo un concerto tenuto a Roma in una di queste strutture, un ragazzino “strano”, mi colpi’. Qualcuno mi spiegò essere un ragazzo “autistico”, “che si è chiuso in sé stesso e ha gettato via la chiave, per sempre”. Ecco, di lì a far riemergere in me, le immagini viste da bambino, fu un istante. Il giorno dopo, su un treno, nacque “Sognando”, una specie di seduta dallo psichiatra, una catarsi liberatoria».

- Sognando è anche una fiaba musicale. Che temi affronta?

«Qui il discorso si fa complesso. La canzone non ebbe vita facile. Nessun discografico volle crederci e farmela incidere: “fa paura”, dicevano. Si dà il caso, che nel 1974, io iniziassi a disegnare una storia musicale a fumetti, sul tema dell’ecologia: la salvezza di un prato, dalle grinfie di speculatori, col quale rappresentare il mondo/universo. Scrissi le undici canzoni, da assegnare ai vari protagonisti. Pensando di aver concluso, mi tornò in mente la, ormai dimenticata, “Sognando fumo” (questo il titolo in origine). Creai allora il presupposto nella storia, per poterci infilare quella canzone, nella quale credevo e che non volevo abbandonare all’oblio. Fu Mina, a darle il titolo definitivo di “sognando”, quando, un paio di anni dopo, con la sua incisione, la rese conosciuta. A quel punto, anche la storia a fumetti, che avrebbe dovuto intitolarsi: “beh... qualche volta faccio a meno dei miracoli...”, prese il titolo di “Sognando”. Oggi, se si va su you tube, a guardare il video dove la canto sullo sgabello, si potranno leggere centinaia di commenti incredibili e allora il mio pensiero va al tempo in cui ho dovuto faticare per anni, per convincere i discografici a farmela incidere, non riuscendoci. Devo quindi dire grazie a Mina, che con la sua lungoveggenza, la scelse, togliendola dall’oblio a cui era destinata».

- Dopo che ti sei distaccato dal Clan, hai continuato a scrivere e cantare superlative canzoni. Ti sei, anche, dedicato ad altre attività? (Cinema, fumetti, libri, ecc..).

«Certo, ho fatto molte esperienze in quasi tutti i settori dell’arte: cinema, teatro, fumetti, pittura, libri e forse qualcos’altro che non ricordo. Sono state tutte sfide a me stesso. Nessuna velleità di intraprendere carriere diverse da quella mia ufficiale. Ho sempre voluto soltanto dimostrarmi, che, con la volontà, si possono raggiungere traguardi ritenuti impossibili. Una volta, molti anni fa, lessi, da qualche parte, una frase che mi colpì e che, da allora, è sempre stata il mio faro, il mio pungolo a non lasciare niente d’intentato: “gli antichi non sapevano che quella cosa fosse impossibile da fare, pertanto... la fecero”. Ecco, queste sono le sfide che ho vinto, in campi a me del tutto sconosciuti, ma che non volevo intraprendere come “carriere” (visto che avevo avuto altre proposte per alcune di queste attività artistiche), se non per puro divertimento. E così, io che non sapevo disegnare, ho realizzato Sognando (e non solo), una “Commedia musicale a fumetti”, filmata dalla raitv2 e andata in onda nel 1978. Io che non sapevo recitare, l’ho fatto in due commedie musicali in Teatro e in ben 23 film. Io che non sapevo di saper scrivere, ho scritto 12 libri. Io che i colori stavano a me, tal quale i massimi sistemi, ho dipinto 50 quadri (personali), sempre e soltanto con l’intento di sfidarmi, divertendomi».

- Ho acquistato il tuo CD "Pianeta Donna", che hai dedicato al gentil sesso in tutta la sua essenza. Come viene descritta la Donna in questo album? 

«Ho voluto dedicare alla donna, questo mio lavoro, ritenendo – per diverse ragioni – che possa essere quello definitivo. Mi è sembrato il giusto omaggio all’altra metà del cielo, che – a mio parere – è, quantomeno, il tre quarti di quello stesso cielo. In questa affermazione, credo di aver sintetizzato il mio pensiero verso la donna, che ritengo superiore in molti aspetti, che compongono le diverse personalità. Penso all’intuito, alla perseveranza, alla capacità di amare, alla forza di volontà, al generare, alla determinazione nel prendere decisioni e tante altre qualità, che l’uomo può bilanciare solo con la forza fisica. E, purtroppo, oggi è dimostrato». 

 

 

- Nel 2016, a Cagliari, l‘Università di Aristan (Facoltà di Scienze della Felicità) ti conferisce la sua prestigiosa Laurea, rilasciata anche a Vittorio Sgarbi, Barbara Alberti, Ornella Vanoni... 

«Fu Filippo Martinez, uomo di cultura e grande disegnatore grafico, a desiderare di assegnarmi questa prestigiosa laurea. Devo dire che per me, che sono arrivato a non completare nemmeno gli studi magistrali, è qualcosa che mi ha ripagato delle tante mancanze, nel campo della cultura in generale. Un attestato, che premia il mio impegno a non dare mai nulla per scontato».

 

 

- Hai scritto due Pentalogie: "Memorie di un juke box", che ripercorre in modo dettagliato la tua variegata carriera artistica, e “Senza capo né coda”, oltre a testi come “Io che miro il tondo”, “Cascasse il tondo”. Ci vuoi accennare qualcosa?

«Ecco, se c’è un’attività, tra le mie tante, che ritengo di poter “quasi” equiparare alla mia ufficiale dell’autore di canzoni, questa è la scrittura. Sono sempre stato appassionato e, fin da ragazzino, avendo collezionato quasi tutti i “gialli Mondadori” di quel periodo, dai quali ho mediato lo stile di scrittura, in special modo da autori come Mckey Spillane, Sam Spade o Peter Cheiney, ho provato a raccontare, scrivendo sui quaderni di scuola. Fu nel 1966, che diedi il via a questa mia passione, in maniera ufficiale e lo feci in un modo piuttosto importante, riuscendo a pubblicare, con Feltrinelli, quel mio primo libro, “io che miro il tondo”. Le soste e le interruzioni nelle pubblicazioni, furono dovute a varie vicissitudini. La passione però, non è mai venuta meno e, quando mi si è data l’occasione, l’ho fatto, anche a costo di essere l’editore di me stesso. In Italia, purtroppo, i grandi editori, pubblicano solo autori di fama, disdegnando linee ritenute “leggere”, senza pensare che i concetti importanti, si possono esprimere anche con leggerezza e divertimento». 

 

 

- Nell’ottobre 2017 è stata inaugurata, a Santa Croce sull’Arno, una rotonda: L’Immensità. Una bella soddisfazione se pensiamo che nessuno dei tuoi colleghi ha avuto questo privilegio. Non pensi che gli stessi abbiano provato un po' di “invidia”?

«Non so cosa abbiano provato i miei “colleghi” e sinceramente m’interessa il giusto, ovvero: niente! Io sono assolutamente felice per questo omaggio, dovuto all’iniziativa della nuova sindaca, Giulia Deidda, che si è molto impegnata, affinché questo riconoscimento, mi fosse attribuito. Per realizzare quest’opera, fu istituito un concorso tra le scuole d’arte di Firenze e Bologna e la mia preferenza cadde su questo progetto, che prevedeva l’uso di materiali di scarto, riciclati. La particolarità che mi colpì, nella scelta, fu che circumnavigando la struttura (è una rotonda spartitraffico), da un lato vi si legge “Don Backy” e dall’altro, con un particolare intreccio delle stesse lettere, vi appare “L’Immensità”. Ed è davvero una cosa unica ed esaltante, grazie alla quale è inficiato anche lo storico detto: “Nemo profeta in patria”». 

 

Prima di concludere, vuoi dire qualcosa ai lettori del nuovo quotidiano “La voce agli italiani?”.

«Non ho molto altro da dire, perché ciascuno di noi sa quali sono le proprie problematiche e a poco valgono la parole di chi non conosce le altrui realtà. Posso solo dire, di non arrendersi mai e di lavorare sempre per dar vita ai propri sogni». 

 

 

- A presto, con altri libri e con un prossimo imminente concerto.

«Lo spero, ma non dipende solo da me...».

 

Ringrazio Don Backy per avere accettato di rispondere alle varie domande e un grazie particolare al Direttore Fiore Sansalone per avermi dato questa opportunità. 

 

di Rita Scelfo

Amicizia, lealtà, rispetto del prossimo e della natura, amore…tutti valori inestimabili da recuperare e da custodire nel nostro animo. Queste tematiche sono state da sempre affrontate e, in particolar modo, ultimamente Greta Thunberg, si è dibattuta per salvare il nostro pianeta che soffre a causa dell’inquinamento. Quest’anno 2021 ricorre il 45esimo anniversario della pubblicazione della fiaba musicale “Sognando” che tratta, appunto, questi problemi e a grande richiesta è stato rieditato. “Sognando” è stato scritto da Don Backy (autore e interprete della bellissima: L’ Immensità). Un libro di grande levatura che andrebbe proposto nelle scuole primarie, come libro di testo; ha una valenza educativa notevole e tocca argomenti riguardanti nobili sentimenti ma parla anche delle brutture che l’uomo ha creato ferendo il mondo e l’animo umano.

 

di Anna Maria Stefanini

Franco Battiato viene dalla Magna Grecia e si direbbe che questa appartenenza abbia influenzato in modo determinante il suo stile musicale, che è soprattutto esplorazione e incontro.

La parola “sublime” è oggi sinonimo di raffinato e ricercato ma l’origine etimologica racconta anche altro: sublime viene da “sub limen”, ossia “sotto il limite” ed è questo l’etimo meglio rappresentativo della ricerca musicale di Battiato, impegnata a pedinare la vita nei suoi confini meno esplorati: le religioni e le culture altre.

Francesco “Franco” Battiato nasce il 23 marzo 1945 a Ionia (oggi Riposto), un’entità amministrativa a geometria variabile, prodotta per effetto di varie fusioni e separazioni più volte intervenute fra Giarre e Riposto, due vicine località del catanese. Come tutti i talenti la sua formazione è precoce e a 19 anni, a seguito della morte del padre, si trasferisce a Milano. Negli anni ’60 Milano era una sorta di Greenwich Village (il quartiere degli artisti e intellettuali di Manhattan, a New York); un incubatore di giovani artisti emergenti. Suonando per i locali milanesi cominciò a frequentare Enzo Jannacci, Paolo Poli, Renato Pozzetto, Giorgio Gaber, Lino Toffolo, Bruno Lauzi etc.; e molti gli offrirono amicizia e sostegno. Il suo percorso di formazione comincia con alcune cover incise per etichette minori. In questo periodo determinante fu l’aiuto di Giorgio Gaber, già autore affermato, che lo presentò a vari discografici. Nel 1967 Francesco compare nella trasmissione televisiva “Diamoci del tu”, condotta da Gaber insieme a Caterina Caselli. In quella puntata si esibiva un altro importante artista emergente: Francesco Guccini e, proprio per evitare omonimie, lo convinsero a cambiare Francesco in Franco e quel nome gli è rimasto. Insieme a Gaber scrive due canzoni: “…e allora dai!” e “Gulp Gulp”; una andò a San Remo e l’altra divenne la sigla di “Diamoci del tu”. 

Nel 1968 entra nell’importante casa discografica Philips per la quale compone diverse canzoni tra cui “È l’amore”, che diventerà un discreto successo commerciale, con oltre 100 mila copie vendute.

Ma dietro il “quarantacinquaro” ruggiva un altro Battiato: quello della sperimentazione musicale e quando vennero i mitologici ’70 vennero i tempi giusti per quel genere di musica. Dal 45 giri passò al “long playng” (così erano chiamati i vinili a 33 giri di quegli anni) il che, tradotto in termini temporali, significa transitare da 4 minuti 4 a quasi un’ora; una trasformazione non soltanto di durata temporale ma un radicale cambio di strategia espressiva in cui la musica non svolge più la funzione di arrangiamento-accompagnamento per le parole ma aspira ad un proprio profilo sonoro. Il prodotto perfetto per uno sperimentatore.

Accanto alla tradizionale strumentazione rock (chitarre e batteria) Battiato iniziò la sperimentazione delle tastiere e della musica elettronica; un nuovo sistema musicale che permetteva di lavorare sui timbri come nessun altro strumento. È in quel periodo che inizia a frequentare il genere “progressive”, un rock di ricerca e sperimentazione, che non rifiuta la contaminazione con la musica classica, come già da tempo facevano i britannici Genesis, Jetrho Tull, Emerson Lake e Palmer, King Crimson etc. e i celeberrimi Pink floyd, che però praticavano un progressive molto particolare, arricchito da influenze psichedeliche; opzione che implicava anche uno straordinario gioco di luci ed immagini. In Italia: Banco del mutuo soccorso, Premiata forneria Marconi, Le orme e altri.

Gli anni ’70 sono stati anche gli anni dei grandi concerti: nel 1975, nel milanese Parco Lambro, va in scena una sorta di Woodstock italiana: Battiato si esibisce insieme a Francesco Guccini, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Antonello Venditti e Francesco De Gregori.

Chiusa la ribollente stagione degli anni ’70 va in scena il cosiddetto “ritorno nel privato” ed è questa l’occasione per Battiato per sperimentare nuove esperienze espressive e musicali, più intime e spirituali. Si avvicina così al “sufismo”, la dimensione mistica dell’Islam, iscrivendosi persino all’istituto italiano per il Medio e Estremo Oriente e la musica diviene il mezzo espressivo per dare voce a questi nuovi spazi della mente. 

«Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare / rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare.»

(Bandiera bianca)

La ricerca di questo nuovo Battiato non riguarda solo la musica e le tematiche ma anche i testi; una ricerca che lo porterà a superare il testo organico e continuo, inseguendo una nuova simbiosi fra suono vocale e suono strumentale. Inizia così a sperimentare veri collage testuali, formati da frasi non necessariamente tenute insieme da un vincolo comunicativo ma associate in ragione di armonie con le linee melodiche; in un modo non molto diverso da come i pittori astratti mettono insieme forme e colori.

Negli anni ‘80-’90 Franco Battiato raggiunge la piena maturità artistica ed espressiva; ma una maturità sempre al lavoro. 

 

Ed eccoci qui ad introdurre un tema prettamente affascinante e misterioso nello stesso tempo. In questo piccolo spazio di intrattenimento voglio parlarvi di quella che è l'Astrologia, dal greco "Aster", stella e "logia", studio.
È una disciplina o meglio la scienza che studia il movimento e la posizione dei pianeti nel cielo, ma precisamente il modo in cui influenza noi stessi ed il mondo che ci circonda.
Le sue origini si perdono nella notte sei tempi. Ha origini, infatti, antichissime.

 

Il 71° Festival della canzone italiana si è concluso da pochi giorni e già si parla di storia e di rivoluzione. Sicuramente quello condotto da Amadeus e Fiorello (per il secondo anno consecutivo) è stato il primo festival dopo settant’anni senza pubblico e questo lo fa entrare di diritto nella storia del Festival, e forse non solo di Saremo ma anche dell’intera tradizione musicale italiana. Nell’anno che ha visto il mondo impegnato nella lotta alla pandemia di Covid-19, non era semplice organizzare un evento simile in totale sicurezza. Un plauso alla RAI che sembra esserci riuscita alla grande con una macchina organizzativa senza precedenti. Nel protocollo, approvato da tutti gli enti, c’era anche specificato il modo di consegna del mazzo dei fiori regalato alle cantanti. La città di Sanremo poi, per la prima volta non presa d’assalto dal grande pubblico, il quale, senza possibilità di movida e senza possibilità di incontrare i propri beniamini, è stato costretto a restare a casa, ricordiamo che la città era stata dichiarata zona rossa. Nonostante tutte le difficoltà, i due conduttori hanno portato a casa un risultato straordinario, facendo registrare uno share del 53.5% nella serata finale con oltre 10 milioni di telespettatori. Quest’anno oltre al budget ridotto c’era anche l’assenza di super ospiti che avrebbero fatto sicuramente alzare il numero di ascolti. L’amicizia tra il padrone di casa Amadeus e il grande mattatore Fiorello è stato il collante che ha permesso ai due di salvare l’intera edizione del Festival.

I Måneskin durante la premiazione (foto dal web)

Ma veniamo alla rivoluzione, già, perché è di rivoluzione che si parla, ovunque. La vittoria dei Måneskin (scritto con la å con il cerchietto sopra che in danese significa chiaro di luna ma che, dichiarazione di pochi giorni fa della bassista del gruppo Victoria De Angelis, non è stato scelto per il suo significato ma perché suonava bene) è una vera e propria rivoluzione, perché già il fatto che un gruppo riuscisse a vincere il festival risulta essere un evento raro. Ci riuscirono gli Homo Sapiens nel 1977, i Matia Bazar nel 1978 e 2002 e i Pooh nel 1990 cinque volte su settanta, non tanti, ma quello che fa da spartiacque con il passato è che i Måneskin hanno portato a Sanremo un brano rock e non la solita canzonetta orecchiabile, musicalmente corretta, ma leggera. No, loro non sono così, loro sono esplosione, sono lavoro duro, sono grinta e altro ancora. Dal secondo posto ottenuto nel 2017 a X-Factor ne hanno fatto di strada, hanno stabilito primati e ottenuto successi strepitosi, come il singolo Torna a casa che oltre ad arrivare in vetta alla classifica dei singoli più venduti fu certificato quintuplo disco d’oro nel 2018. Zitti e buoni il brano presentato al 71° Festival di Sanremo viene inizialmente concepito come una ballata poi rielaborato in chiave rock. Il testo rappresenta una critica agli adulti che non valorizzano i giovani. La carica del frontman Damiano David (voce) unita agli altri membri della band, Victoria De Angelis (basso) Thomas Raggi (chitarra) Ethan Torchio (batteria) con i meravigliosi outfit indossati durante tutte le serate di esibizione hanno sancito il trionfo avuto nella serata finale. Ora a maggio saranno loro a rappresentare l’Italia all’Eurovision Song Contest 2021.