Colors: Yellow Color

 

di Anna Maria Stefanini

Se ti chiami Giuseppe, a Napoli, nessuno ti chiamerà così, ma Pino, Pinuccio, Peppino, Peppiniello. Così è successo a Pino Daniele che “nasce sabato 19 Marzo 1955 tra le due e le tre del pomeriggio nel cuore della città vecchia, in un sottoscala di via Francesco Saverio Gargiulo, al n.20. E’ una piccola abitazione, c’è una sola stanza con il cucinotto, un letto abbastanza grande ed un piccolo bagno. Una casa povera, dove i suoi genitori Rita De Luca e Gennaro Daniele danno alla luce uno dei figli di Napoli…”. Pino cresce quindi “tra i vicoli, dove la luce entra a fatica ma la vita scorre come in un fiume in piena e dove la sua musica e la sua poesia hanno avuto origine, tra i sentimenti ed il vibrante respiro della città”.
Pino Daniele aveva Napoli nel sangue. Era il primogenito di sei figli di un modesto lavoratore portuale.
Una famiglia numerosa da sfamare per un padre, che non riuscì neppure a comperare l’annuale foto scolastica al figlio. I colori di Napoli, nella sua superba bellezza, si tingono a volte di tinte forti e fosche di miseria, di degrado, ma mai prive di quell’orgoglio partenopeo, della forza di volontà, di coraggio.
Dopo i primi anni trascorsi nel basso dov’era nato, il piccolo Pino Daniele andò ad abitare in Piazza Santa Maria La Nova a casa di due zie acquisite, Lia e Bianca, che gli poterono offrire una casa decorosa.
Frequentò le scuole elementari presso l’istituto Oberdan.
Profondamente appassionato alla musica fin da piccolo, si esibì per la prima volta a dodici anni in una festa di bambini.
Frequentò poi l’Istituto Armando Diaz di Napoli dove si diplomò in ragioneria, e imparò a suonare la chitarra da autodidatta, tanta era la sua passione.
“Napule è mille culure
Napule è mille paure
Napule è a voce de’ criature”. 

I colori di Napoli sono tutti nella musica e nella voce di chi l’ha saputa cantare come nessun altro.
Come disse un altro grande napoletano, Massimo Troisi, Pino Daniele era “un musicista che riesce a tirare fuori napoletanità e sentimento senza cadere nel folklore o nel partenopeo a tutti i costi”.
Pino Daniele esordì in un complesso chiamato New Jet, poi fece parte di Batracomiomachia, insieme a Paolo Raffone, Rosario Jermano, Rino Zurzolo, Enzo Avitabile ed Enzo Ciervo.
A quest’ultimo apparteneva anche lo spazio in Vico Fontanelle alla Sanità dove il gruppo effettuava le prove.
Nel 1976 il giovane chitarrista entrò a far parte come bassista dei Napoli Centrale, ensemble partenopeo importante in cui il musicista venne a contatto con diversi strumentisti fra i quali James Senese.
Ebbe un grande successo con :
Pino Daniele (1979), Nero a metà (1980) e Vai mo’ (1981). In più di quarant’anni di carriera collaborò con numerosi artisti di prestigio tra i quali: Antonello Venditti, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Ralph Towner, Yellowjackets, Mike Mainieri, Claudio Baglioni, Danilo Rea e Mel Collins. Nel corso degli anni ha presenziato e suonato in molti palcoscenici di rilievo come al Festival di Varadero a Cuba e al teatro Olympia di Parigi. Tra le sue varie esibizioni dal vivo, annovera, inoltre, collaborazioni con artisti di fama internazionale come Pat Metheny, Eric Clapton, Chick Corea, Robert Randolph, Bob Berg e Joe Bonamassa.
Pino Daniele, sempre sospeso fra rock, blues, jazz e melodia, ha interpretato brani indimenticabili con una sua tecnica vocale e strumentale unica e originale. Da “Je so’ pazzo” a “Anna Verrà” “Che male c’è”, “Tu dimmi quando quando”, testi che parlano al cuore, cantati da lui emozionano e danno i brividi. E ancora Stella Cometa
“Amore, amore dove sarai?
Quando avrò caldo e avrò freddo
Amore, amore mi salverai
Da questa pioggia e dal vento…”.
Basta ascoltare alcune note di “Dammi una seconda vita” di fronte a una stracolma piazza Plebiscito, per far riaffiorare il dolore per la perdita di Pino Daniele.
Pino Daniele si spense la sera del 4 gennaio 2015 in seguito a un infarto che lo ha colpito nella sua casa vicino a Orbetello, in Toscana. Inutile la corsa all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, dove l’artista è stato dichiarato morto alle 22.45. Solo qualche giorno prima, il 31 dicembre, si era esibito a Courmayeur.
È stato tradito dal cuore lui che, di cuore, nella musica, ne ha messo tanto. 

 

 

In merito al Bando per Grandi Eventi della Regione Calabria, di cui è stata pubblicata la graduatoria provvisoria lo scorso 1 aprile, con sette mesi di ritardo rispetto alla data prevista dallo stesso Avviso, interviene ancora con una lettera al Presidente Spirlì il promoter Ruggero Pegna, amministratore e direttore artistico della Show Net, componente di Assomusica (Associazione Italiana Organizzatori e Produttori di Spettacoli dal Vivo), già nella Consulta Ministeriale per lo Spettacolo dal 2012 al 2016, storica figura del settore in Calabria con il suo Festival Fatti di Musica e la sua programmazione ultratrentennale di altissimo prestigio.

 

di Rita Scelfo

 Aldo Caponi, in arte Don Back, nasce a Santa Croce Sull'Arno, in Toscana, nel 1939.

Nel 1962 entra a far parte del «Clan Celentano», grazie alla sua prima canzone “La Storia di Frankie Balla”, fino alla rottura definitiva, nel 1968.

Partecipa alle prime tre edizioni del Cantagiro (1962 / 1963 / 1964). Nel 1963 il suo primo grande successo, “Amico”.

Nel 1964, con “Cara”, si guadagna il titolo di cantautore. Tra le tante celeberrime canzoni: "L’Immensità", "Poesia", "L’Amore", "Casa Bianca", "Canzone", "Sognando".

È stato attore in 23 film, per registi come: Polidoro, Puccini, Lizzani, Corbucci, Franciosa, Bava, Rossetti, Soldini. Autore di tre colonne sonore per i film: "Barbagia", "Una Cavalla tutta nuda", "Quarta parete". Appassionato di fumetti (in particolare "Corto Maltese"), ne disegna ben tre: "Sognando" (favola fantasy per grandi e piccini, con canzoni); "L’Inferno" (viaggio personale nell’Ade sulle rime di più di 3000 suoi versi in quartine); infine, "Clanyricon" (Storia satirica in strisce, sul Clan Celentano).

Pittore estemporaneo, dipinge quadri con paesaggi di neve, ispirati ai grandi maestri fiamminghi.

Vanta ben due esperienze come attore protagonista in teatro in altrettante commedie musicali ("Teomedio", 1980 e "Marco Polo", 1981), per le quali compone anche le canzoni di scena.

Scrittore irrazionale, pubblica alcuni volumi nel corso degli anni: "Io che miro il tondo" (1967); "Franz il Guercio & Cielo ‘O Connors"; "Soci a Parigi" (1970); "Radiografia a un Pupazzo di Neve" (1974) e la pentalogia, "Memorie di un Juke Box" (1955/2012), di cui è anche editore. Così come la nuova pentalogia ,"Senza capo né coda", con i cinque titoli: "Cose da Pazzi", "Sogno o son desto", "Dejàwoodoo", "Essere o non essere", "Incredibile, ma vero". CIASCUN PRODOTTO è ORDINABILE SU (www.donbacky.it).

Ancora attivo discograficamente e come autore di canzoni. I suoi ultimi due lavori, "Il Mestiere delle Canzoni" (2010) e "Pianeta Donna" (2017).

RICONOSCIMENTI
Sulla sua storia personale e musicale è stata redatta una tesi di laurea di n° 553 pagine: "La Biografia di Don Backy, dalla seconda guerra mondiale al trionfo del pop". (D.ssa Daniela Setta)

Targa Commemorativa per "Casa Bianca", fatta apporre dal sindaco sig. Osvaldo Ciaponi, dove sorgeva l’abitazione, a Santa Croce sull’Arno.

Il teologo, prof. Silletta Gastone Francesco, pubblica un volume analitico dal titolo, "L'Immensità".

Il saggio analizza in dettaglio, da un punto di vista teologico, il testo dell’omonima canzone. Il Pianeta 2020 è stato dedicato a L’Immensità - Don Backy - dall’astrofisica scopritrice Maura Tombelli. Sancito con documento ufficiale della NASA (Ente Spaziale Americano).

La sindaca di Santa Croce sull’Arno, sig.ra Giulia Deidda, intitola a Don Backy - "L’Immensità", la nuova rotonda spartitraffico, che immette al centro del paese. 

 

Ma leggiamo cosa dice Don Backy:

- Hai scritto e interpretato bellissime canzoni. Ci puoi dire come nascono i tuoi capolavori? Iniziamo da "L’Immensità". 

«Ad alcune mie canzoni è stato assegnato questo onorifico titolo di capolavori. Io non so se lo meritano o meno, ma sono felice che in tanti la pensino così. In quanto a “come nascono”, è presto detto. Io non ritengo di essere un compositore/autore di canzoni, nel senso tecnico del termine, questo attiene a coloro che fanno questo “mestiere”. Le mie canzoni non sono frutto di studi, di impegno su un tema generico, da creare di sana pianta, come è d’uopo che sia. Io sono un creativo istintivo e scrivo solo quando una qualche emozione mi crea lo stato d’animo giusto, che magari valga la pena di essere raccontato. Ecco, se accade questo, allora la canzone è già nata, parole e musica conseguente, e, praticamente, non mi resta che trasferirla su un foglio e su un registratore. Trattandosi di una canzone scaturita da una emozione “vera”, non potrà che raggiungere le persone che hanno quel tipo di sensibilità, che la faranno propria, riscontrandocisi». 

 

 

- Hai cantato di una “Casa bianca”. È davvero esistita?

«Certo che sì. Si trovava al mio paese, Santa Croce sull’Arno (Pi), ed era la casa dei miei nonni paterni. Fu cannoneggiata dall’esercito americano (insieme a tante altre), che, attestatosi “di là d’Arno”, cercava di costringere i tedeschi ad abbandonare le loro postazioni in paese e, sparando alla cieca, quello fu il risultato. Oggi, al suo posto, c’è una piazza, ma l’ex sindaco, Osvaldo Ciaponi, ha fatto affiggere sul frontespizio di un palazzetto antistante, una targa in memoria e in ricordo della mia omonima canzone “Casa bianca”».

- Nel tuo repertorio c'è una canzone che presenta nel titolo un errore grammaticale: “Ho rimasto”. Come mai?

«È una canzone del 1963. Fa parte delle goliardate, che nascevano tra noi appartenenti al Clan. Una di quelle idee strampalate, che ci divertivano molto, dato che eravamo sempre alla ricerca di qualcosa che stupisse il pubblico. Per farla passare, temendo che fosse un azzardo, che non sarebbe stato compreso, decidemmo di scusare questa strampaleria, abbinandola a una scommessa tra me e Adriano, ovvero: chi dei due avesse perso una gara di nuoto, “avrebbe dovuto giocoforza”, pagare quel pegno, incidendo una canzone con un errore di grammatica nel testo. Fu una gara ripresa dalla Rai tv, per lo show intitolato “Adriano clan n°1”. Divenne un successo, il cui titolo è stato varie volte citato in film della commedia italiana e di cui ancora oggi si parla. Indovinate chi la perse?».

- La versione italiana di Stand by me, Pregherò, l’hai scritta tu?

«Non c’è alcun dubbio e ho chiaro nella mente il momento, il luogo e l’atmosfera di tristezza, che mi avvolgeva in quel periodo in cui ero appena arrivato a Milano e vivevo in un albergo chiamato “Des etrangers”. Non dimenticherò mai tutta la storia, che avvolse questa canzone e come fu che, dalla incisione che doveva farne Ricki Gianco, finì per essere incisa da Adriano. Un ricordo indelebile».

- Nel 1971 hai scritto “Sognando”, capolavoro nel capolavoro Musica/Arte, affrontando delle tematiche drammatiche e poco conosciute in quel periodo. Come nasce questo testo?

«Un ricordo direi quasi “ancestrale”. È riemersa da immagini di me bambino, quando andavo all’asilo in un convento di monache, attiguo al quale c’era un manicomio. Ero quindi costretto a guardare quei poveri infelici, dalle facce stravolte, attaccati alle sbarre delle finestre, che tendevano le mani verso di me, chiamandomi e facendomi versi. In seguito avevo nascosto questi ricordi in fondo alla mia memoria, fino a quando nel 1971, dopo un concerto tenuto a Roma in una di queste strutture, un ragazzino “strano”, mi colpi’. Qualcuno mi spiegò essere un ragazzo “autistico”, “che si è chiuso in sé stesso e ha gettato via la chiave, per sempre”. Ecco, di lì a far riemergere in me, le immagini viste da bambino, fu un istante. Il giorno dopo, su un treno, nacque “Sognando”, una specie di seduta dallo psichiatra, una catarsi liberatoria».

- Sognando è anche una fiaba musicale. Che temi affronta?

«Qui il discorso si fa complesso. La canzone non ebbe vita facile. Nessun discografico volle crederci e farmela incidere: “fa paura”, dicevano. Si dà il caso, che nel 1974, io iniziassi a disegnare una storia musicale a fumetti, sul tema dell’ecologia: la salvezza di un prato, dalle grinfie di speculatori, col quale rappresentare il mondo/universo. Scrissi le undici canzoni, da assegnare ai vari protagonisti. Pensando di aver concluso, mi tornò in mente la, ormai dimenticata, “Sognando fumo” (questo il titolo in origine). Creai allora il presupposto nella storia, per poterci infilare quella canzone, nella quale credevo e che non volevo abbandonare all’oblio. Fu Mina, a darle il titolo definitivo di “sognando”, quando, un paio di anni dopo, con la sua incisione, la rese conosciuta. A quel punto, anche la storia a fumetti, che avrebbe dovuto intitolarsi: “beh... qualche volta faccio a meno dei miracoli...”, prese il titolo di “Sognando”. Oggi, se si va su you tube, a guardare il video dove la canto sullo sgabello, si potranno leggere centinaia di commenti incredibili e allora il mio pensiero va al tempo in cui ho dovuto faticare per anni, per convincere i discografici a farmela incidere, non riuscendoci. Devo quindi dire grazie a Mina, che con la sua lungoveggenza, la scelse, togliendola dall’oblio a cui era destinata».

- Dopo che ti sei distaccato dal Clan, hai continuato a scrivere e cantare superlative canzoni. Ti sei, anche, dedicato ad altre attività? (Cinema, fumetti, libri, ecc..).

«Certo, ho fatto molte esperienze in quasi tutti i settori dell’arte: cinema, teatro, fumetti, pittura, libri e forse qualcos’altro che non ricordo. Sono state tutte sfide a me stesso. Nessuna velleità di intraprendere carriere diverse da quella mia ufficiale. Ho sempre voluto soltanto dimostrarmi, che, con la volontà, si possono raggiungere traguardi ritenuti impossibili. Una volta, molti anni fa, lessi, da qualche parte, una frase che mi colpì e che, da allora, è sempre stata il mio faro, il mio pungolo a non lasciare niente d’intentato: “gli antichi non sapevano che quella cosa fosse impossibile da fare, pertanto... la fecero”. Ecco, queste sono le sfide che ho vinto, in campi a me del tutto sconosciuti, ma che non volevo intraprendere come “carriere” (visto che avevo avuto altre proposte per alcune di queste attività artistiche), se non per puro divertimento. E così, io che non sapevo disegnare, ho realizzato Sognando (e non solo), una “Commedia musicale a fumetti”, filmata dalla raitv2 e andata in onda nel 1978. Io che non sapevo recitare, l’ho fatto in due commedie musicali in Teatro e in ben 23 film. Io che non sapevo di saper scrivere, ho scritto 12 libri. Io che i colori stavano a me, tal quale i massimi sistemi, ho dipinto 50 quadri (personali), sempre e soltanto con l’intento di sfidarmi, divertendomi».

- Ho acquistato il tuo CD "Pianeta Donna", che hai dedicato al gentil sesso in tutta la sua essenza. Come viene descritta la Donna in questo album? 

«Ho voluto dedicare alla donna, questo mio lavoro, ritenendo – per diverse ragioni – che possa essere quello definitivo. Mi è sembrato il giusto omaggio all’altra metà del cielo, che – a mio parere – è, quantomeno, il tre quarti di quello stesso cielo. In questa affermazione, credo di aver sintetizzato il mio pensiero verso la donna, che ritengo superiore in molti aspetti, che compongono le diverse personalità. Penso all’intuito, alla perseveranza, alla capacità di amare, alla forza di volontà, al generare, alla determinazione nel prendere decisioni e tante altre qualità, che l’uomo può bilanciare solo con la forza fisica. E, purtroppo, oggi è dimostrato». 

 

 

- Nel 2016, a Cagliari, l‘Università di Aristan (Facoltà di Scienze della Felicità) ti conferisce la sua prestigiosa Laurea, rilasciata anche a Vittorio Sgarbi, Barbara Alberti, Ornella Vanoni... 

«Fu Filippo Martinez, uomo di cultura e grande disegnatore grafico, a desiderare di assegnarmi questa prestigiosa laurea. Devo dire che per me, che sono arrivato a non completare nemmeno gli studi magistrali, è qualcosa che mi ha ripagato delle tante mancanze, nel campo della cultura in generale. Un attestato, che premia il mio impegno a non dare mai nulla per scontato».

 

 

- Hai scritto due Pentalogie: "Memorie di un juke box", che ripercorre in modo dettagliato la tua variegata carriera artistica, e “Senza capo né coda”, oltre a testi come “Io che miro il tondo”, “Cascasse il tondo”. Ci vuoi accennare qualcosa?

«Ecco, se c’è un’attività, tra le mie tante, che ritengo di poter “quasi” equiparare alla mia ufficiale dell’autore di canzoni, questa è la scrittura. Sono sempre stato appassionato e, fin da ragazzino, avendo collezionato quasi tutti i “gialli Mondadori” di quel periodo, dai quali ho mediato lo stile di scrittura, in special modo da autori come Mckey Spillane, Sam Spade o Peter Cheiney, ho provato a raccontare, scrivendo sui quaderni di scuola. Fu nel 1966, che diedi il via a questa mia passione, in maniera ufficiale e lo feci in un modo piuttosto importante, riuscendo a pubblicare, con Feltrinelli, quel mio primo libro, “io che miro il tondo”. Le soste e le interruzioni nelle pubblicazioni, furono dovute a varie vicissitudini. La passione però, non è mai venuta meno e, quando mi si è data l’occasione, l’ho fatto, anche a costo di essere l’editore di me stesso. In Italia, purtroppo, i grandi editori, pubblicano solo autori di fama, disdegnando linee ritenute “leggere”, senza pensare che i concetti importanti, si possono esprimere anche con leggerezza e divertimento». 

 

 

- Nell’ottobre 2017 è stata inaugurata, a Santa Croce sull’Arno, una rotonda: L’Immensità. Una bella soddisfazione se pensiamo che nessuno dei tuoi colleghi ha avuto questo privilegio. Non pensi che gli stessi abbiano provato un po' di “invidia”?

«Non so cosa abbiano provato i miei “colleghi” e sinceramente m’interessa il giusto, ovvero: niente! Io sono assolutamente felice per questo omaggio, dovuto all’iniziativa della nuova sindaca, Giulia Deidda, che si è molto impegnata, affinché questo riconoscimento, mi fosse attribuito. Per realizzare quest’opera, fu istituito un concorso tra le scuole d’arte di Firenze e Bologna e la mia preferenza cadde su questo progetto, che prevedeva l’uso di materiali di scarto, riciclati. La particolarità che mi colpì, nella scelta, fu che circumnavigando la struttura (è una rotonda spartitraffico), da un lato vi si legge “Don Backy” e dall’altro, con un particolare intreccio delle stesse lettere, vi appare “L’Immensità”. Ed è davvero una cosa unica ed esaltante, grazie alla quale è inficiato anche lo storico detto: “Nemo profeta in patria”». 

 

Prima di concludere, vuoi dire qualcosa ai lettori del nuovo quotidiano “La voce agli italiani?”.

«Non ho molto altro da dire, perché ciascuno di noi sa quali sono le proprie problematiche e a poco valgono la parole di chi non conosce le altrui realtà. Posso solo dire, di non arrendersi mai e di lavorare sempre per dar vita ai propri sogni». 

 

 

- A presto, con altri libri e con un prossimo imminente concerto.

«Lo spero, ma non dipende solo da me...».

 

Ringrazio Don Backy per avere accettato di rispondere alle varie domande e un grazie particolare al Direttore Fiore Sansalone per avermi dato questa opportunità.