di Mario Signoretti
Cosa hanno in comune il Cornetto Algida, l’arte marziale Krav Maga, il jazz e capolavori cinematografici come Kapò di Gillo Pontecorvo o Ragazzi di Vita di Pier Paolo Pasolini? La risposta sta in un luogo e nella sua storia: Ferramonti.
Siamo nel 1940 e a seguito della emanazione delle leggi razziali l’Italia di Mussolini realizzò in una sperduta e malarica landa della Calabria, Ferramonti di Tarsia, il più grande campo di concentramento fascista. Il campo contava 92 baracche e ospitava circa 2000 persone tra ebrei in grande maggioranza, ma anche prigionieri cinesi, jugoslavi, francesi e greci.
La storia di Ferramonti è molto particolare e seppur nell’ambito di un sistema di detenzione e di privazione della libertà personale, il campo di prigionia fu sì un campo di internamento ma per fortuna non di sterminio. In quel microcosmo in cui le privazioni si facevano stringenti man mano che la guerra si prolungava e la malaria imperversava si realizzò un equilibrio umanitario unico nel suo genere per il periodo. Vittime e carcerieri in una specie di tacito accordo crearono le condizioni per la nascita di una socialità all’interno del campo che permise agli internati di riuscire a vivere dignitosamente e sopravvivere agli stenti sia dal punto di vista fisico che morale. Furono favoriti, o almeno non furono vietati, la creazione di una biblioteca, di scuole di vario ordine e grado, tollerata la libertà religiosa (si contavano chiese ebraiche di varie confessioni, oltre che cattolica e ortodossa), incentivate rappresentazioni teatrali e musicali (a cui a volte partecipavano anche i notabili del posto), nonché partite di calcio, tornei di scacchi e altri giochi sociali. Numerosi furono i matrimoni celebrati e le nascite di bambini. Diffuso il contrabbando e lo scambio con le popolazioni del posto che barattavano generi alimentari con soldi, oro o prodotti dell’artigianato. Le poche morti che avvennero furono dovute alla malaria e ad un mitragliamento di un aereo alleato che per sbaglio scambiò il campo di internamento per un presidio militare.
Il campo ospitava numerosi professionisti, specie medici che spesso venivano chiamati nel paese di Tarsia per intervenire sulla popolazione e colmare le lacune della medicina locale. Anche i bambini venivano portati di tanto in tanto sulla automobile del direttore del campo a mangiare il gelato.
Il campo di Ferramonti venne liberato i 14 settembre 1943, all’indomani dell’armistizio, anche se ne giorni immediatamente successivi la ritirata delle colonne tedesche che percorrevano la strada adiacente al campo fece temere sulla sorte degli internati, molti dei quali fuggirono per le colline circostanti nascosti dalla popolazione. Il campo venne chiuso nel 1945. La sua storia è raccontata in diversi volumi. Ricordiamo Ferramonti di Tarsia di Mario Rende, Ferramonti 1943 di Mario Giacompolli, Ferramonti: la vita e gli uomini del più grande campo di concentramento fascista (1940-1945), di Carlo Spartaco Capogreco, Ferramonti. Un lager di Mussolini di Francesco Folino, Con la gente di Ferramonti. Mille giorni di una ebrea in un campo di concentramento di Nina Weksler.
Oggi il campo non esiste più. Le baracche sono state eliminate negli anni successivi al dopoguerra dai lavori per il transito della autostrada Salerno-Reggio Calabria o per far posto ad insediamenti agricoli. Al suo posto di recente è stato realizzato un Museo che accoglie documenti, libri, fotografie e oggetti di vita quotidiana del campo e gestito da una Associazione che si cura di accogliere i visitatori e conservarne la memoria. Si contano circa 20 mila visitatori all’anno, buona parte dei quali concentrati nei giorni di ricorrenza della Giornata della Memoria e dei Festeggiamenti del 25 Aprile. Per la peculiarità della sua organizzazione sociale e per il trattamento umano ricevuto dagli internati, il Jerusalm Post lo definì un paradiso inaspettato. Ferramonti è anche sede del Parco Letterario Ernst Bernhard che fa parte del circuito dei parchi letterari italiani.
Ma ritornando alla domanda iniziale, dal campo sono passati (e salvati) personaggi che divennero famosi nel campo dell’arte, della scienza, dell’economia e dello sport. Imi Lichtenfeld, campione ungherese di lotta, si trasferì nel dopoguerra in Israele con il compito di addestrare l’esercito del paese. Inventò il metodo Krav Maga tuttora in voga. Il greco Moris Ergas, uno dei principali produttori cinematografici degli anni ’60. Sua la produzione di film diretti da Pasolini, Pontecorvo e Rossellini. L’austriaco Oskar Klein apprezzato jazzista internazionale e tanti altri ancora. Io invece alterno il piacere della scrittura dell’articolo col gustarmi un cornetto Algida. E questo piacere lo devo (e lo dobbiamo tutti) ad Alfred Wiesner che a fine guerra ricevette in regalo da un soldato americano una macchina per fare gelati e da quel regalo nacque il cremino. Qualche anno dopo Wiesner fondò insieme ad altri la fabbrica di gelati Algida.