di Mario Signoretti
Il mondo del calcio internazionale è ad un bivio. Dodici tra i principali club europei per fatturato e titoli sportivi vinti hanno annunciato la creazione di una Super Lega, una sorta di campionato parallelo al campionato nazionale e alla Champions League, la principale manifestazione europea di club, in barba alle Leghe Nazionali, alla Uefa e alla Fifa. Ciò significa che i club più forti si scontreranno tra loro in questa manifestazione e si spartiranno un enorme volume di introiti mentre i rimanenti club dovranno accontentarsi delle briciole, anche se qualcuno di loro di tanto in tanto si fa valere a dispetto del budget (vedi Leicester in Inghilterra o Atalanta in Italia). A questa manifestazione hanno aderito i più titolati club italiani (Juventus, Inter e Milan), spagnoli (Real Madrid, Barcellona e Atletico Madrid) e inglesi (Manchester City, Liverpool, Chelsea, Tottenham, Arsenal e Manchester United). Mancano per ora all’appello i due principali club tedeschi (Bayern Monaco e Borussia Dortmund) e il più ricco francese (Paris Saint Germain).
Il calcio del XXI secolo non è quello pioneristico e semi-dilettantistico ante guerra, né tanto meno quello professionistico ma ancora seguito alle radioline fin quasi alla fine del secolo scorso. Oggi il calcio è una vera e propria industria, con fatturati milionari, centinaia di dipendenti a libro paga, stadi di proprietà in cui sport, merchandising e tradizione sono un tutt’uno. Il mondo del calcio del XXI secolo è dominato da cinici procuratori, calciatori businessmen, network in spietata concorrenza e sponsor che dettano i loro tempi. Per vincere hai bisogno di comprare i migliori; i migliori costano; i costi te li ripaghi coi proventi dei network televisivi (ma devi avere un grosso seguito nazionale), degli sponsor e del merchandising (e anche qui conta il numero dei tifosi nazionali e internazionali). Solo che se ti capita un ciclo negativo allora gli azionisti non sono disposti a sganciare soldi senza benefici e valide prospettive. Se sei quotato sul mercato i grossi fondi o i risparmiatori non investono su un club che non ha ambizioni. Pure gli sponsor ti abbandonano e ti dovrai accontentare del contributo di qualche azienda minore. Se a tutto ciò si aggiunge il Covid che ha fatto perdere circa un quarto del fatturato ai club e che ha accelerato questo processo di aggregazione già in itinere si capisce il perché di questa scelta di rottura con le Leghe ufficiali e le principali istituzioni sportive internazionali che minacciano di non far partecipare le società ai vari campionati nazionali.
Il rischio sarà quello di vedere due mondi calcistici paralleli: quello dei giganti e quello dei nani, con questi ultimi che prima o poi saranno costretti ad ambire ad entrare nella cerchia dei grandi perché il calcio dei nani rischierà di non avere più appeal e perché i nuovi talenti, a loro volta, riconosceranno come punti di riferimento solo i campioni dei grandi club e le lusinghe dei procuratori.
Aspettiamo con curiosità l’evolversi di questa morte annunciata, ma le grandi sfide stracittadine e festeggiamenti per l’arrivo dei grandi club negli stadi delle piccole città rischieranno di diventare uno sbiadito ricordo. Di questo passo non ci rimarranno che telecomando e pay tv.