di Lucia Zappalà
In questi giorni d'estate è inevitabile che la memoria vada sulla Nazionale Italiana di Spagna 82, l'unica che sembra aver dato un senso al calcio italiano nonostante tutto.
Quella che al secondo turno dei Mondiali raccolse in campo un'impennata di plausi tra gli spettatori italiani.
Ci ha regalato sogni e ci ha fatto capire che si deve sempre volare in alto. Ancora più in alto e sempre più in alto dove quelle parole come "sconfitta" non possono arrivare. Durante il campionato mondiale del 1982 in Spagna si è concentrata tutta la forza del non arrendersi, tutto lo splendore che possedeva la Nazionale. Gli azzurri fecero tantissimo senza mai pensare di non essere all'altezza, anche se pervasi da una grande paura. Non potevano restare fermi a lamentarsi di ciò che non funzionava. Ci hanno messo il cuore, la cautela, la dignità e non si contano le emozioni che ci hanno dato, facendoci balzare dalle sedie in salotto davanti alla TV fino a "farci toccare il cielo con un dito", con un entusiasmo che non è passato senza lasciare traccia. Perché si vince solo con un cuore che batte e con un'anima che si riempie di tenacia. Non si vince se non si fatica, se non si soffre. Non si vince se non si ha la paura di perdere.
Per le sue "imprese eroiche" e per i suoi gol si ricorda soprattutto l'attaccante Paolo Rossi, che proprio in Spagna conquistò il titolo di capocannoniere e che era già stato nominato "Pablito", dopo la sua incredibile performance ai Mondiali del 1978 in Argentina.
Diverse furono le partite che si meritarono il brivido dell' "edizione speciale", ma una, in particolar modo, è stata ritenuta da alcuni l'incontro calcistico più eclatante di tutta la storia del calcio. Fu la partita del 5 luglio allo Stadio di Sarriá di Barcellona tra la nazionale italiana e quella del Brasile e che vide l'uscita della nazionale brasiliana dal torneo.
La squadra del Brasile era la favorita come sempre e forse in quel Mondiale ancora di più. Aveva mostrato già nel primo girone del campionato un buon livello di gioco, sconfiggendo l'Unione Sovietica per 2-1, la Scozia 4-1 e la Nuova Zelanda 4-0. La nostra squadra al contrario aveva superato le prime prove eliminatorie fra tante controversie, molto imbarazzo e pareggi combattuti e sofferti. Lo 0-0 nella prima partita con la Polonia, 1-1 nella seconda con il Perù e nella terza con il Camerun.
Per di più in quel periodo il calcio italiano era marchiato dallo "scandalo scommesse del 1980" che aveva compromesso parecchi giocatori, tra i quali lo stesso Paolo Rossi. Per questi motivi in un primo momento né i tifosi né la stampa avevano manifestato grandi aspettative nei confronti della nostra nazionale.
Rossi dopo una squalifica di due anni, aveva ripreso a giocare da poche settimane; tuttavia il commissario tecnico, Enzo Bearzot, lo aveva convocato al Mondiale di Spagna lasciando a casa Pruzzo, capocannoniere della Serie A 1981-1982, che aveva già raggiunto il top della carriera e che naturalmente la stampa venerava. Bearzot volle offrire al centravanti col numero 20 sulla maglia l'occasione di dare il meglio di sé, di dare il proprio contributo per poter cambiare le cose. Intuì che Rossi avrebbe fatto la differenza, che avrebbe lasciato il segno, che sarebbe stato il solo giocatore con cui si poteva pensare di riportare l'Italia alla grandezza, di vincere quel Mondiale e fece di tutto per rimetterlo in sesto, rimetterlo in carreggiata. La ripresa di Rossi non si ottenne in poco tempo, ci furono problemi da risolvere (Pablito era rimasto fermo per due anni) che richiesero maggior lavoro e tempi più lunghi. Ma ciò che conta è che si diede subito inizio al cambiamento.
Nello stadio rovente del Sarriá Pablito segnò tre gol al Brasile e il trionfo finale non fece altro che confermare che l'allenatore della nazionale azzurra aveva fatto bene a fidarsi del suo intuito.
La sconfitta del Brasile fu definita dalla stampa brasiliana la "tragedia di Sarriá". perché, come affermava il portiere verde oro, Valdir Peres, "il calcio è vita e morte dalle nostre parti. Anzi, a volte è l'unica ragione di vita".
Peres fu ritenuto responsabile della sconfitta, e da quella volta non venne mai più convocato in quanto inadatto al ruolo.
La Federcalcio brasiliana inoltre attribuì la colpa della disfatta al comportamento poco cauto dell'allenatore del Brasile, Santana, perché non si era accontentato di un pareggio che sarebbe stato sufficiente per passare il turno, ma aveva osato ambire alla vittoria.