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di Giuseppe Pizzuti

Ci siamo. Gli Europei di calcio, inizialmente previsti nel 2020 e poi posticipati al 2021 a causa della pandemia (formalmente la denominazione resta Euro 2020), inizieranno l'11 giugno allo Stadio Olimpico di Roma con la partita inaugurale tra Italia e Turchia. Dureranno un mese esatto, con ventuno giorni di partite. Saranno itineranti, cioè non si disputeranno in un unico Paese, per celebrare i sessant'anni della prima edizione del torneo (nel frattempo diventati sessantuno). Verranno ospitati da undici diverse città europee, da Roma a Londra, con quest'ultima che ospiterà a Wembley semifinali e finale (11 luglio). 

 

Sarà un Europeo a 24 squadre divise in 6 gironi, poi il tabellone a eliminazione diretta partirà dagli ottavi, a seguire quarti, semifinali e finale. La formula prevede il passaggio del turno da parte delle prime due squadre di ogni girone più le quattro migliori terze per comporre il quadro di sedici squadre, che giocheranno gli ottavi di finale.

L'Italia torna agli Europei dopo la mancata qualificazione al Mondiale 2018,con l'obiettivo di bissare la vittoria della competizione continentale dopo l'ultima (e unica) volta nel lontano 1968.

Gli azzurri di Roberto Mancini, inseriti nel Girone A, dopo la gara inaugurale, il 16 giugno sfideranno la Svizzera sempre all'Olimpico, sede anche dell'ultima gara del girone, quella contro il Galles del 20 giugno.

Ad Euro 2021 saranno presenti tutte le big del calcio continentale. Secondo i pronostici, Inghilterra e Francia sono le grandi favorite, a seguire Belgio, Spagna e Germania. L'Italia? Una delle prime outsider insieme al Portogallo e all'Olanda. In attesa, ovviamente, di avere la conferma o la smentita dal campo, che ha sempre e comunque l'ultima parola. 

 

 

Si proprio lui. Quel marciatore con i baffi e la canotta arancione della Podistica Solidarietà che in ogni gara esibisce con orgoglio la sua fede calcistica indossando una bandana giallorossa sui capelli inevitabilmente imbiancati dalle 67 primavere trascorse. I suoi record sono davvero invidiabili: oltre cento maratone, cinque 100 km del Passatore e tutte le Maratone di Roma fin qui svolte. In particolare questa sua assidua partecipazione alla più importante corsa della capitale gli è valsa il titolo di Senatore della Maratona di Roma. Oltre a queste corse Romano ha partecipato a oltre 2000 gare in tutta Italia e sulle varie distanze. Nel suo libro di alcuni anni fa “Se le mie scarpe potessero parlare” Romano racconta la sua storia, la storia di un atleta straordinario e stimato. Un escursus interessante e appassionato sul mondo del podismo visto da un’angolazione diversa: dalla coda. Un agonismo anomalo, senza esasperazioni ed ansie da prestazione, dove l’unico obiettivo è quello di arrivare. Tagliare il traguardo diventa l’unica vittoria possibile e questo la gente lo capisce, per questo ama questo marciatore, simbolo positivo e impareggiabile di uno sport dall’anima popolare. Esattamente come quella di Romano Dessì. 

 

di Paolo Russo

Parlare di Roberto Baggio è descrivere un campione che ha fatto sognare un'intera nazione attraverso il suo gioco, la sua sobrietà , la sua sofferenza e la sua forza di volontà.

Baggio è l'uomo con cui ogni italiano si è identificato dentro ogni contesto sociale. Era lui che tirava i rigori quando nessuno voleva calciarli prendendosi la responsabilità di sbagliare un tiro, che è valso un intero mondiale.

Baggio era il campione "umano" che tutti i tifosi amavano, c'era persino chi seguiva il calcio per vederlo giocare.

Un uomo in campo, che ha costruito una carriera brillante sempre con la smorfia di sofferenza in volto, per gli esiti di un infortunio gravissimo che lo hanno accompagnato dagli albori della sua carriera. Era il 5 maggio del 1985, Baggio, giocatore del Vicenza, durante una partita contro il Rimini  scivola  rompendosi crociato anteriore, capsula, menisco e collaterale della gamba destra. "La gamba destra era diventata così piccola che pareva un braccio”, scriverà Baggio successivamente nella sua  autobiografia (Una porta nel cielo).

Baggio riesce a riprendersi dopo un durissimo lavoro di riabilitazione e da lì comincia una carriera indimenticabile, seguita da altri infortuni importanti da cui Roberto si è sempre ripreso.

Di Baggio si sapeva che non era lui a giocare, si è  vero lui ci metteva il talento straordinario ma veniva caricato da un pubblico che sentiva la sua fortissima passione per un gioco che ai suoi tempi era ancora agonismo puro.

Nessuno dei suoi tifosi capì l'esclusione dai mondiali, voluta da Trapattoni che costò tra l'altro l'eliminazione dal mondiale nel 2002.

Parlando di Baggio non si doveva parlare di età, infortuni, razionalità perchè in Baggio era intrisa quella qualità magica dell'animo umano che rende tutto imprevedibile e inaspettato, come d'altronde successe nel mondiale Usa in cui Baggio portò in finale una squadra molto più debole delle antagoniste sbagliando lui stesso però il rigore della finale che avrebbe potuto farci vincere il titolo mondiale.

Baggio era il Brescia che pareggia con la Juventus facendogli perdere lo scudetto. Tutto era possibile quando giocava il divin codino!

Non sentire la fatica, il dolore, la sofferenza nel nome della ricerca di gioie più grandi, nel nome della passione. Baggio era la madre che sopporta il travaglio, la forza di ogni padre di lavorare per mantenere i figli, era la lotta per le proprie idee e per i propri valori.

Era l'aspetto magico dell'animo umano!

Eppure arrivò la fine anche per Baggio che deluso dall'esclusione dal mondiale, due anni dopo lasciò il calcio contattando d'improvviso tutto il peso della sua condizione fisica. “Lasciare mi ha ridato vita e ossigeno, stavo soffocando, stavo troppo male, avevo troppo dolore fisico" e ancora Baggio: "quando da Brescia rientravo a casa, non riuscivo a uscire dall’auto, chiamavo Andreina, mia moglie, che mi aiutava ad aggrapparmi al tetto e poi a far passare il corpo. Ho sempre saputo che il calcio aveva una fine..."

Uscirà il 26 Maggio un film che commemorà questo straordinario personaggio che voglio presentarvi con il testo della canzone di Diodato scritta proprio per lui...

 Più di vent'anni in un pallone/Più di vent'anni ad aspettare quel rigore/Per poi scoprire che la vita/Era tutta la partita/Era nel raggio di sole/Che incendiava i tuoi sogni di bambino/Era nel vento che spostava il tuo codino/Che a noi già quello sembrava un segno divino/Era cercarsi un posto/In mezzo a un campo infinito/E poi trovare la gioia/Quando il tempo ormai sembrava scaduto/Era cadere e rialzarsi ascoltando il dolore/Sentire come un abbraccio arrivarti dal cuore/Di chi ti ha visto incantare il mondo con un pallone/Senza nascondere mai/L'uomo dietro il campione/E poi c'è tutta la passione/E quella cieca e folle determinazione/Che la destinazione/A volte è un'ossessione/Le cicatrici e i trofei/A ricordarti chi sei stato e cosa sei/E maglie stese ad asciugare/Sul filo di un destino che oggi può cambiare/E lì a cercarsi un posto/In mezzo a un campo infinito/Per poi trovare la gioia/Quando il tempo ormai sembrava scaduto/E poi cadere e rialzarsi accettando il dolore/Sentire come un abbraccio arrivarti dal cuore/Di chi ti ha visto incantare il mondo con un pallone/Senza nascondere mai/L'uomo dietro il campione/Che poi Roberto in fondo tutto questo amore è pure figlio del coraggio/(Figlio del coraggio)/Di quel campione che toccava ogni pallone come se fosse la vita/Lo so potrà sembrarti un'esagerazione/Ma pure quel rigore/A me ha insegnato un po' la vita...

 

di Virginia Murru

La storia di questo eccezionale boxeur è una vergogna tutta italiana. Grande pugile, campione dei pesi medi e medio-massimo, nato nei primi anni del Novecento. Le vicende che riguardano Jacovacci hanno rimandi leggendari, nonostante l’epoca in cui è vissuto e la struttura di una società asservita ad un regime autoritario, quale il Fascismo poteva essere tra gli anni ’20 e ‘40.

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