di Gabriella Paci
Eri una ragazzina qualunque, da cinque anni venuta qui in Italia dal Pakistan. Tuo padre c’era da quindici ed aveva voluto con sé la famiglia di cui tu, Saman, facevi parte.
Ti eri ambientata subito: troppo perché avevi preso a pensare di poter vivere come loro, le altre, le tue compagne e amiche italiane. Anche tu come le altre adolescenti, ti eri fatta il fidanzatino e ti facevi dei selfie, con un filo di trucco e senza il velo.
Ma le regole di vita dettate dalla tua religione islamica non prevedevano che tu, una femmina, che deve essere sottomessa ed è proprietà del padre prima e del marito poi, potesse dire di no ad una scelta di vita decisa da tuo padre: prendere uno sposo scelto da lui per te.
In Pakistan come in altri luoghi dell’Oriente si seguono integralmente le regole dell’Islam e ancora oggi nel 2021 i matrimoni vengono combinati tra ragazze, a volte addirittura bambine di otto, nove anni con uomini maturi, a volte quasi vecchi. Saman è arrivata in Italia in un’età in cui in Pakistan sarebbe già stata moglie e dunque…
Anche tu Saman, come le femmine del tuo paese eri una proprietà di tuo padre e a lui dovevi perfetta sottomissione e neppure tua madre suddita anche lei, ha messo in dubbio questa consuetudine: forse anche lei come sua madre prima di lei e le sue antenate avranno immaginato una vita diversa o forse no, tanta era l’abitudine a sottostare a quello che gli uomini di casa decidevano per loro.
Non era forse stata capace mai di difendere se stessa e non ha difeso te neppure quando ha saputo che eri stata destinata alla punizione estrema :quella della morte per un diniego così inaccettabile.
Chi poi sia stato l’esecutore materiale o come ti abbia ucciso è ancora poco chiaro, ma è orami certo il movente e l’epilogo della tua breve storia.
E’ da chiedersi se chi sceglie, per motivi diversi, di rifarsi una vita in un paese dalle tradizioni culturali etiche e politiche profondamente differenti, non capisca che quell’integrazione che viene chiesta passa anche attraverso il rispetto di quelle norme etico - comportamentali e giuridiche che regolano quel paese.
Quello che desta raccapriccio e sdegno oltre l’uccisione di un’adolescente colpevole di volersi adattare alla vita delle sue coetanee protese a sognare il loro futuro con il ragazzo ideale, è che proprio gli stessi genitori, preposti dalla natura stessa a proteggere la prole, siano stati se non i carnefici materiali, i mandanti.
E’ vero che anche nel mondo occidentale moltissime donne siano considerate esclusiva proprietà del compagno o marito e che un loro rifiuto venga spesso punito con violenze che arrivano anche alla deturpazione o addirittura alla morte ma qui è proprio la stessa famiglia d’origine che, sulla base di un’osservanza cieca e disumana della religione decreta a freddo la morte di una ragazzina la cui unica colpa è stata quella di volersi sentire uguale alle ragazze italiane nel Paese che, forse, oramai considerava suo.
Ci auguriamo almeno che le tue risa, le tue carezze, la tua voce manchino almeno a quella donna che ti ha ospitato nel suo ventre e che avrebbe dovuto difenderti a costo della sua stessa vita: perché solo cosi possiamo riuscire, da donne, a compatire una donna che è essa stessa vittima e carnefice.