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di Alessandra Sorcinelli


Il clima, il luogo, l’incanto di una terra non è bastato, un territorio paradisiaco come quello sardo, non è riuscito ad evitare il fenomeno peggiore per un luogo che può e che deve offrire la vita ai suoi abitanti.
L’uomo da sempre si adatta a sopravvivere ovunque sul pianeta, ma questo assunto appare contraddirsi ed evidenziarsi se si osserva il fenomeno della denatalità, dello spopolamento, dell’invecchiamento, delle concatenate crisi dell’istruzione e dello sviluppo correlato.
La politica, le istituzioni, la società, la scuola, gli studiosi, la famiglia, le aggregazioni religiose e sociali non riescono a frenare un fenomeno emorragico senza soluzione.
Dati demografici, statistici, ci proclamano il triste verdetto, ci evidenziano e sottolineano questa annunciata morte della nostra isola.
Da ovunque e da chiunque si odono annunci di soluzioni valide per frenare questo fenomeno depressivo e per riavviare lo sviluppo.
Sprazzi di idee da ogni dove pervenuti e pervengano hanno aiutato e aiutano ma sono ancora soltanto dei corroboranti .
Una linea pregnante e risolutiva del fenomeno non pare esserci.
Interventi a spot si susseguono, comportanti investimenti di risorse pubbliche anche notevoli, ma restano ancora fenomeni risolutivi a macchia di leopardo.
Il miglioramento continuo è il solo motore che deve muovere persone e cose.
Urge una spinta motivazionale ed un rinnovato amore per la terra d’origine.
I concetti di massima globalizzazione da un lato ci coinvolgono e ci affascinano, fungendo anche da specchietti per le allodole.
Per contro una chiusura verso noi stessi sardi non giova.
Integrazione collaborazione aperture al mondo nuovo?
La condizione familiare e della donna si presenta a tratti evoluta e a tratti retrograda.
Non basta adagiarsi sul vantaggio di un ambiente da Eden, che spesso invece per contro, si configura come un handicap, un gap, rispetto ad un vero sviluppo.


C’è comunque da dire che questo agognato sviluppo bisogna poi vedere in cosa lo si vuole concretizzare sul piano concreto.
Conciliare le diversità nelle unicità sarebbe il primo atto che deve svilupparsi e radicare nell’animo di ciascuno.
Allenarsi a non volere omologarsi ma bensì significa un evidenziarsi come singolo e come aggregato con le proprie caratteristiche.
Le soluzioni pratiche tecniche giuridico economico sociale non saranno affrontate in questo intervento che mira invece a volere far emergere una modalità di pensiero.
Si sa che il pensiero, la spinta motivazionale al dire al fare al visualizzare nonché l’immaginare sono propedeutici e propulsori del cambiamento.
Stimolo invece le menti e gli animi verso una consapevolezza del fenomeno e verso l’urgenza indefettibile di sentire come i sardi sentono, con “su sentidu” ad ogni livello, partendo da una coscienza nuova, la necessità di produrre soluzioni stabili.
Queste tematiche non sono appartenenti solo alla mia terra di nascita e di vita.
Il fenomeno è diffuso e ampio in ogni luogo che non sia la sede della competitività e del “progresso produttivo”.
Ci appartiene pertanto e nessuno è escluso, ovvero nessuno può essere escluso dal fenomeno di un singolo che inevitabilmente si riverbera su tutti.
Anche la poesia ci può essere da sostengo e incentivo.

Dedicando a questo tema alcuni miei versi, ne vorrei fare un motto.

Da “Legacci “:

Sardegna Sardegna Terra Antica e Degna
Slegati il sandalo e l’anima
Ajo Tottus in pari
Non ha futuro chi non s’impegna.”

 

 

di Adelaide Baldi

È la domanda che si sono posti i coniugi giornalisti/documentaristi americani Laura Lopez e Julio Rodriguez. Il desidero di conoscere la risposta li ha portati da Miami ad Acciaroli, in provincia di Salerno, paese bagnato dal mar Tirreno. Son venuti fin qui per saperne di più sulla presenza di Ernest Hemingway in questo paese alla fine anni 40.

 

di Nicoletta Toselli 

Oggi 30 gennaio 2020 prende il via il Master biennale di specializzazione in Criminologia e Scienze Forensi. Parte la nona edizione di un evento davvero unico per formazione e scelta accurata dei docenti.
Il prof. Sergio Caruso, psicologo, criminologo, Direttore Scientifico del Master, sentito telefonicamente, illustra i punti salienti di quello che sicuramente è un punto di riferimento per i professionisti del settore: «A nome di tutti i colleghi sono lieto che insieme alla Presidente, dottoressa Graziella Mazza, siamo riusciti a creare un polo di formazione per la nostra terra. La nostra soddisfazione più grande? La stima di tanti corsisti provenienti non solo dalla Calabria, ma anche da altre Regioni italiane. Per iscrizioni e informazioni è possibile, pertanto, inoltrare una mail all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o telefonare al numero di cellulare 389.4817204.
Sito web https://www.formazionepromethes.it/corsi/scienze-forensi//».
Il Master si svolgerà online e sarà un naturale proseguimento della laurea di base. Si formeranno professionisti che potranno operare nel proprio settore con competenze teorico-pratiche di livello superiore e verrà fornito un approfondimento della gestione del Marketing per entrare sul mondo del lavoro. Gli ambiti di sbocco sono davvero vasti: da chi opera nelle scuole, ai minori, nell' investigazione privata, centri antiviolenza e tutti coloro che si occupano di situazioni con disagio psico-sociale.

 

 

di  Virginia Murru

Gli inglesi sono arrivati prima di noi, pubblicando i riscontri storici su temi scientifici riguardanti il distanziamento sociale in tempi di pandemia. E’ stata la BBC a divulgare la notizia, ma in verità la scoperta del manuale diffuso oltre 4 secoli fa, è merito di un team di ricercatori dell’Università di Oslo.

Il team di scandinavi, nei loro studi sulla pandemia da Covid-19, e le misure sanitarie adottate per limitare i contagli, sono andati a ritroso nel tempo. Fino ad individuare un manuale sul distanziamento sociale ‘redatto’ da un medico lungimirante, che esercitava la sua professione durante il periodo in cui la cittadina catalana di Alghero fu aggredita dalla cosiddetta ‘peste nera’.

The 432 year old manual on social distancing” è il titolo del servizio che la BBC ha mandato in onda di recente, sorprendendo non solo la comunità scientifica e i sardi, ma chiunque ne sia venuto a conoscenza, tramite lo spazio che i media hanno dedicato a questa singolare scoperta.

C’è chi ha definito il manuale sul distanziamento sociale ‘inquietante e preveggente’, in realtà a quasi mezzo millennio di distanza, questo medico si è rivelato essere un precursore delle ‘tecniche scientifiche’ moderne, in particolare sul ‘protocollo’ di prevenzione che contiene più o meno le stesse ‘ordinanze’ emanate dalle autorità sanitarie che si occupano della lotta contro il Covid.

\Nel 1582 il dott. Quinto Tiberio Angelerio raccomandava, attraverso il suo manuale, in primis di mantenere le distanze, evitando di stringere la mani o qualsiasi segno di saluto che portasse a venire in contatto con le persone, inoltre che ad occuparsi delle esigenze alimentari della famiglia fosse una sola persona, autorizzata ad uscire per il sostentamento o primarie necessità dei suoi membri.

Il dott. Angelerio (1532-1617) aveva intuito che l’unico modo per limitare i contagi fosse quello dell’isolamento nelle proprie dimore, e gli studi sull’evoluzione della peste (definita anche peste nera) hanno accertato che il metodo aveva almeno circoscritto la diffusione dell’epidemia, certamente causando migliaia di vittime nella cittadina della costa Occidentale dell’isola, ma almeno, dato non trascurabile, si era evitato il contagio nei centri abitati del circondario. Se si fossero autorizzati gli spostamenti tutta l’isola avrebbe potuto diventare un devastante lazzaretto.

La popolazione di Alghero per oltre metà dei suoi abitanti fu decimata dall’imperversare dei contagi, ma il controllo e le direttive antiepidemiche, mai adottate prima, di questo medico, impedì che il focolaio raggiungesse gli altri centri limitrofi.

Si sa che questo ‘protomedicus’ divenne un’autorità seguita ed ascoltata in ambito sanitario nel XVI secolo, le sue intuizioni del resto si rivelarono essere all’avanguardia per le conoscenze scientifiche limitate dell’epoca.

Secondo gli studi dei ricercatori scandinavi, la peste giunse in Sardegna verso la fine del 1582, a causa di un marinaio francese che forse era già infetto, e che da Marsiglia raggiunse la cittadina catalana delle coste sarde. Egli pare avesse manifestato i sintomi conclamati della peste, il cui focolaio di contagi divampava nella città francese. Lo sfortunato marinaio, ignaro comunque del suo stato sbarcò ad Alghero, verosimilmente non sapendo quale sciagura portasse con sé per gli abitanti. In ogni caso indirettamente responsabile della decimazione di più della metà della popolazione.

I sintomi della peste dovevano essere veramente devastanti: la pelle dell’inguine si riempiva di gonfiori caratteristici (bubboni) altamente contagiosi, e l’eziologia della malattia era da ricercarsi nei parassiti, quali pulci, che trasmettevano all’uomo il batterio responsabile della sintomatologia e decorso spesso nefasto della malattia.

Purtroppo, nonostante i progressi della scienza medica, la ‘Yersinia pestis’ (nome del bacillo), termine scientifico che definisce quella conosciuta popolarmente come peste bubbonica, è stata tutt’altro che debellata, dato che di recente si sono verificati focolai anche in Mongolia.

Non esiste sul piano medico-scientifico una vera e propria prevenzione, in quanto non è stato mai studiato un vaccino efficace, pertanto l’unica via per trattarne i sintomi è quella di riconoscerla in tempo e seguire un protocollo di cura idoneo.

Il medico Angelerio nelle sue raccomandazioni scriveva: “le persone autorizzate ad uscire di casa (solo una come si è visto), devono portare con sé un bastone lungo sei piedi, affinché si mantengano le dovute distanze.”

Ma l’avveduto medico, al quale era sconosciuto per ovvie ragioni il concetto d’immunità, raccomandò anche di predisporre una sorta di ringhiera nei negozi che vendevano alimenti e merci agli abitanti, affinché fossero scongiurati i contatti tra gli individui; comunque in qualunque occasione d’incontro, anche durante l’ascolto della messa.

Il dott, Angelerio puntò sulla prevenzione anche tramite altre disposizioni, estremamente importanti per il contenimento dei contagi. Spiegò che era necessario seguire una linea essenziale d’igiene nei cimiteri, e che le persone che si incaricavano del rito della sepoltura dovessero rispettare le sue norme, dato che si trattava di operazioni ad alto rischio di contagio. Il famoso medico raccomandava lo scrupolo dell’igiene, e una sorta di lockdown tramite opportuni cordoni sanitari. Dopo tanti secoli queste indicazioni ben poco sono cambiate.

Certo è che rileggendo l’ormai famoso vademecum risalente a mezzo millennio fa, diffuso dalla BBC, certe procedure evocano tristemente gli scenari dei nostri tempi, in realtà la logica del distanziamento, o circoscrizione di cluster, è l’unico intervento efficace per evitare la diffusione dei microrganismi, che si tratti di virus o batteri, altamente contagiosi.

Tiberio Angelerio era un medico di mezza età quando dovette intervenire per mettere in quarantena la popolazione di Alghero, aveva già una discreta esperienza nella sua attività professionale, dato che aveva soggiornato anche all’estero, e vissuto alcuni anni in Sicilia, dove aveva assistito peraltro a diversi focolai di ‘peste nera’, nel 1575. Ciò che accadde ad Alghero con le prime manifestazioni della malattia non gli era dunque estraneo, conoscendone l’eziologia.

Imporre le sue regole d’igiene e di distanziamento sociale non dovette essere facile, fu contrastato dall’eccesso d’ignoranza, ma non si scoraggiò, intuendo il pericolo di una incontrollabile diffusione del bacillo. Si rivolse al Viceré, il quale si dimostrò interessato alle sue proposte, e gli consentì di predisporre quel cordone sanitario intorno alla città, impedendo ingressi e uscite per qualunque ragione.

L’efficacia della sua profilassi fu alla fine riconosciuta, e alcuni anni più tardi raccolse in un vademecum sanitario le regole che aveva sperimentato nella cittadina di Alghero, al fine di limitare l’espandersi dell’epidemia. Il manuale fu stampato e intitolato “Ectypa Pestilentis Status Algheriae Sardiniae”, che conteneva le ormai note 57 norme per gestire l’emergenza sanitaria in tempi di peste.

Si può concludere con un cenno alla Cultura dei secoli assediati dalle epidemie, con Francesco Petrarca (Laura, la sua amata, era morta di peste), il grande poeta che riteneva impossibile ai posteri comprendere la gravità di quelle emergenze causate dall’esplosione delle grandi epidemie. Scriveva al riguardo nel 1374: “Sarà arduo capire una simile tragedia per i posteri, questa peste è senza eguali in tutti i secoli”.

La peste alla quale allude il grande poeta e umanista, era durata oltre 25 anni, e sosteneva che era fortunato tanto quanto era stato sfortunato, poiché aveva assistito alla scomparsa di troppi familiari e amici. Visse in effetti la pandemia più letale che la Storia possa annoverare, nel XIV secolo. Quella pandemia uccise 200 milioni di persone tra Europa, Asia e Nord Africa.

Un estratto del testo diffuso dai ricercatori scandinavi:

(Per chi volesse approfondire può leggere (in inglese) l’articolo pubblicato su NCBI, questo è il link: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3810900/

Historical Sources and Demographic Data

Using contemporary documents, we reconstructed the measures introduced by Angelerio and the city government to prevent and control plague epidemics (17). The history of the 1582–83 epidemic, which lasted 8 months, is detailed in Ectypa Pestilentis Status Algheriae Sardiniae (Instructions on the Alghero, Sardinia, Plague Epidemic) (p. 110) (17) (Figure 1). Angelerio wrote and dedicated the booklet, published in 1588 in Cagliari, to the Viceroy De Moncada (17,20). Two printed versions and a manuscript are extant. The 1588 edition was written in Latin with a 12-page addendum in Catalan entitled Instructions del Mates Autor (Instructions from the same author). The second edition, published in Madrid in 1598, was entitled Epidemiologìa sive Tractatus de Peste (Epidemiology or Treatise on Plague) and was written exclusively in Castilian (18,20). A copy of each edition is kept in the University Library of Cagliari, and 1 copy of the Ectypa is preserved at the Alghero’s Municipal Library (19). The detailed sanitary measures formulated in Ectypa included 57 instructions (Table 1, Appendix). In the Epidemiologìa, the number of instructions was reduced to 30.

 

 

 

a cura di Carmensita Furlano* 

Se i DRUIDI temevano che conl’abitudine di scrivere le cose, non ci si sforzi più di imparare e di ritenere”, ci dice Giulio Cesare nel De Bello Gallico, ora dobbiamo perfino temere di perdere la capacità di scrivere a mano, ai tempi dei computer.

Allora, forse, il compito nuovo che ogni essere umano deve compiere, e anche gli specialisti della scrittura devono attuare, è – diciamo in un certo senso virgolettato – “un ritorno al passato”, nel mondo della modernità, dei computer, dei droni, di android e di tutti i sistemi di moderna tecnologia dove si arriva alla realizzazione di robot che possono prendere il posto dell’essere umano. Ci si rende conto che, forse, i Druidi avevano a ben ragione visto il futuro, perché effettivamente la capacità di scrivere a mano - se non è del tutto smarrita - è chiusa nel fondo di un cassetto buio di una scrivania antica, riposta in un angolo di casa o di una soffitta che raccoglie le cose “vecchie” e polverose, ormai in disuso, e non confacenti all’era moderna. Scrivere può portare benefici a livello sia emotivo che fisico ed aiutarci a comprendere meglio noi stessi e le situazioni che creano in noi dei blocchi. Scrivere vuol dire vedere concretizzate sul foglio le proprie fantasie, i propri pensieri dandogli credito e autorevolezza. E i nostri pensieri influenzano tutta la nostra vita; scrivendo si può dire che questi prendano forma, diventino in una qualche maniera più “reali”, quindi, il loro condizionamento su di noi sarà ancora più forte. Di conseguenza, è necessario sapere gestire lo strumento scrittura, finalizzandolo alla soluzione di problematiche con forte aderenza alla realtà e al momento presente per evitare che lo scrivere diventi una via di fuga, un mondo parallelo in cui rifugiarsi.
Potremmo dire che la scrittura deve essere onesta, sincera, vera e pian piano libera da filtri e giudizi, solo in questo modo consente di compiere un esercizio di riflessione su di sé. Pertanto, nella scrittura si nasconde la verità di ciò che siamo. La scrittura è la rappresentazione grafica della lingua per mezzo di lettere o altri segni (grafemi).
I segni della scrittura (glifi) denotano sovente di suoni o gruppi di suoni (fonemi). Dopo la tradizione orale, la scrittura è il primo modo di comunicazione tra i popoli ed il primo mezzo usato per la conservazione e la trasmissione di dati. In un senso più ampio, si definisce "scrittura" ogni mezzo che permette una più facile e più veloce trasmissione di informazioni, come per esempio, la "scrittura" della musica, dell'algebra, ecc. L’ importanza della scrittura viene descritta con poche ma incisive parole di Walter Ong « Senza la scrittura le parole non hanno presenza visiva, possono solo essere "recuperate", "ricordate". »
La scrittura rappresenta il DNA dell’inconscio, lo specchio dove manifestare e far emergere le caratteristiche della personalità dell’individuo. La scrittura quindi è una proiezione esatta, in forma simbolica e allusiva di se stessi, di ciò che si è, si sente, si vuole, si decide, si fa. Nella nostra scrittura si evincono molti aspetti del nostro carattere, come la sessualità, l’espansività e l’apertura nei confronti del mondo circostante. Oppure se siamo ansiosi, depressi, gelosi o se siamo dei grossi bugiardi per esempio.
Ma a cosa serve la scrittura?
Provando dunque a darmi una risposta:
l’occasione mi è data da questo ottimo spazio libero in cui ognuno di noi può delirare, il foglio bianco, con i giusti limiti, grazie all’ideatore di tutto ciò, corso compreso. Scrittura, dovrebbe essere - e per me lo è -, umilissima pratica auto-terapeutica, rifugio personale eletto a bunker dello scriba, magma linguistico, invenzione, ritmo, emozione, musicalità, storia, corpo a corpo con se stessi.

GESÙ SI CHINA E SCRIVE PER TERRA

Le parole che nessuno lesse e che sogniamo un giorno di poter ritrovare. Quella parola che è forza e mistero.
Perché un comportamento così inusuale, illogico? Che c'entrava fare un gesto così scollegato dal contesto? Il Figlio di Dio che poteva tranquillamente fare a meno di piegarsi, fa un gesto strano, il Creatore dell'intero universo davanti al cui nome non c'è ginocchio che non si fletta! Eppure Gesù usa la scrittura, Gesù fu il più grande dei maestri orali, che una sola volta scrisse alcune parole in terra e nessun uomo lesse, la scrittura che è l’unico e meritevole lavoro, di gran lunga superiore a tutti gli altri che l'uomo può compiere con le mani, in grado di piegare umilmente il petto del Signore e per il quale il dito di Dio funge da penna!


La volontà di Dio ha fornito l'uomo delle dita per scrivere e non per combattere … con quel gesto ha voluto indicarci che la scrittura è quel mezzo davvero perfetto che ci rende unici diversi ma vicini e simili, esseri pensanti con la paura di sbagliare si, ma con la certezza che la scrittura resta nel cuore nella mente anche se spazzata via dal vento.

E cosa ci insegna il fatto di scrivere?

Prima di tutto ci ricorda che siamo vivi, e che questo è un dono e un privilegio, e non un diritto. Dobbiamo guadagnarci la vita, una volta che ci è stata concessa. La vita chiede in cambio delle ricompense per averci concesso l’animazione. Quindi, mentre la nostra arte non può, come vorremmo potesse, liberarci dalle guerre, dalle privazioni, dall’invidia, dall’avidità, dalla vecchiaia o dalla morte, ci può rivitalizzare nel mezzo di tutto questo.

Dobbiamo essere ubriachi di scrittura, perché la scrittura ammette esattamente la verità, la vita, la realtà che siamo capaci di mangiare, bere, digerire senza iperventilare e cadere come un pesce morto nel nostro letto.

Ho imparato che un’ora di scrittura è un tonico.

Bisogna fare una rivoluzione culturale altrimenti rischiamo di perdere una capacità antropologica: scrivere a mano accende molte più aree del cervello, aiuta a sviluppare il pensiero associativo e a costruire una memoria interna, favorisce la capacità di introspezione e concentrazione, aiuta ad adattarsi a circostanze diverse. È un gesto unico e assolutamente personale, utile per la costruzione della propria identità.

Allora cosa è la scrittura?
La Scrittura:
E' Libertà. E' Verità. E' Bellezza. E' Sfogo. E' Fantasia. E' Realtà. E' Musica. E' Vita.

Libertà: Perché quando scrivi non ti incarti con le parole, riesci a scrivere ciò che vorresti dire da tempo, e l'odore dell'inchiostro in quel momento è la tua libertà, perché ciò che scrivi è tuo, è solo tuo, e la carta lo custodirà per sempre.

Scrivere è come parlare, solo che la scrittura non da spazio a fraintendimenti.

Verità: Perché qualunque cosa tu faccia, non puoi dire bugie alla carta e all'inchiostro. Quando si parla, si ha davanti una persona, e tu puoi mentire, perché la persona davanti a te non ti conosce, e si scorderà delle tue parole, e tu mentirai. Non si può mentire sulla carta, perché anche solo una leggera pressione sul foglio rivelerà la verità.
Tutti almeno una volta hanno preso in mano un Diario, e ci hanno scritto la Verità. Pochi hanno saputo dire ad una persona in carne ed ossa tutto. Tutto il loro essere, la loro anima.

Bellezza: Perché non c'è cosa più bella di immaginare che un giorno ciò che stai scrivendo farà Sognare qualcuno, qualcuno col tuo libro in mano, e un plaid sulle ginocchia, e la cioccolata calda vicino a sé. Perché non c'è cosa più bella di vedere la propria storia germogliare come una piantina, e crescere, ramificarsi... e diventare sempre più bella.

Sfogo: Perché la carta in fondo trattiene tutte le tue paure, tutte le cattiverie che si sono, le trattiene come la spugna con l'acqua. Perché quando non si riesce a esprimersi a voce, la tua mano scriverà, e si esprimerà per te. Perché quando non c'è nessuno che ti sarà accanto, i fogli saranno lì, pronti ad ascoltarti, e a confortarti.

Fantasia: Perché le storie più belle sono quelle dimenticate, è vero, e c'è un modo per tenerle a sé, imprigionarle in una gabbia d'inchiostro, capaci di far sognare milioni di persone, e allora la Fantasia entrerà nei sogni e nella scrittura, e colorerà il Mondo di miliardi di colori.

Realtà: Perché ogni cosa che vediamo, che troviamo, che tocchiamo, che sentiamo, che annusiamo...è la nostra realtà, e la scrittura è la nostra vista, il nostro olfatto, il nostro tatto, la nostra Realtà.

Musica: Perché la musica è libertà, e bellezza, e ingenuità, ed è il fuori dagli schemi, ed è il cinguettio degli uccellini sull'albero, è un pianoforte, e la scrittura è lo spartito, ed è l'albero... E cos'è La scrittura se non la Musica della penna e della carta?

Vita: Perché Io ho intenzione di dedicare la mia vita a questa carta, a questa musica, a queste penne e a questo inchiostro, alla mia fantasia, alla mia realtà.

*Dr.ssa Grafologa
Docente di Grafologia Pastorale

 

 

di Alessandro Porri  / Seconda parte

 

LETTERATURA
Continuiamo il nostro “eccitante” viaggio alla ricerca dei punti di contatto tra droghe ed arte attraversando il mondo della letteratura.
Più o meno contemporaneo al movimento pittorico impressionista in Francia, Charles Baudelaire, con il suo pensiero e le sue opere, influenzò quelli che da lì a poco prenderanno il nome di poeti maledetti. La definizione di “poeti maledetti” trae origine dall’omonima opera del poeta francese Paul Marie Verlaine che insieme a Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbiere fu il maggior esponente di questa corrente. Potremo racchiudere o sostituire la parola “Maledetti” con anticonformisti, ribelli, innovatori. C’era una vera e propria ricetta per poter entrare a pieno merito a far parte del gruppo dei maledetti:
• Ad una base di gravi frustrazioni affettive aggiungete difficoltà materiali a volontà.
• Appena l’insieme risulta omogeneo versate dosi generose di vita sessuale promiscua, denutrizione, alcolismo, stupefacenti, tabagismo.
• Lasciate cuocere a fuoco lento fino alla comparsa di malattie veneree varie, sofferenza fisica e disturbi della mente
• Ed in fine l’ingrediente segreto, la maledizione del poeta, infatti, avrete lo splendido risultato di essere maledetti tre volte, dalla società, da Dio e da voi stessi!
Charles Baudelaire scrisse nel 1860 il saggio “Paradisi artificiali” dove oltre a parlare del vino si dedica a descrivere gli effetti dell'hashish e dell'oppio. È in questa opera che ritroviamo l’ormai celebre frase “Chi beve solo acqua ha qualcosa da nascondere” È noto come molte altre delle opere del poeta francese e alcune delle poesie più belle siano state scritte sotto l'effetto degli oppiacei e dell'alcol. Affascinato e in qualche modo dedito alle droghe Baudelaire faceva parte, insieme a Rimbaud, Malarmé, Hugo, Dumas ed altri del cosiddetto “Club des Hashischins”.
Nel saggio Baudelaire passa da un iniziale elogio della droga vista quale strumento umano per soddisfare il "gusto dell'infinito" ad una irrimediabile condanna della stessa: l'Artista, che segue i Principi Superiori dell'Arte, non può che rifiutare la droga come mezzo di creatività.


Contemporaneo di Baudelaire un altro scrittore ha catturato per la sua particolare storia la mia attenzione e curiosità, Robert Louis Stevenson. Parliamo dell’autore conosciuto principalmente per due sue opere, “Dottor Jeckill e Mr. Hide” e “L’Isola del tesoro”. Ma come può essere possibile che dalla stessa penna siano uscite fuori due opere così distanti tra di loro?


Una praticamente un romanzo per ragazzi, l’altra il percorso senza protezioni dentro la follia umana. Cosa era accaduto nella mente di quell’uomo? Inizialmente si attribuì allo scrittore l’uso di cocaina e morfina che forse usò anche in altri frangenti ma almeno in questo caso la spiegazione era un’altra. Secondo recenti ricerche Stevenson avrebbe scritto Dottor Jeckill e Mr. Hide sotto l'effetto di derivati dell'ergot, un fungo delle segale e del frumento, allucinogeno e potenzialmente letale. L'ergotina veniva utilizzata per iniezione nell'Ottocento come rimedio contro la tubercolosi e lo scrittore era appunto colpito da tale patologia. Secondo due studiosi dell'università di Glasgrow, l'effetto su Stevenson fu quello di trasformarlo in una sorta di “doppio” del suo Mr.Hide. La moglie riferì in una preoccupata lettera dell'agosto del 1885, che il marito per giorni era rimasto come ipnotizzato a letto in posizione inginocchiata con la faccia sul cuscino. Due settimane dopo cominciò a scrivere il famoso racconto sulla duplicità della natura umana, il tutto di getto, in una sola settimana.

A cavallo tra il 1800 e 1900 uno scienziato e scrittore di numerosi trattati e saggi scientifici divenne famoso anche per l’uso di cocaina al punto da diventarne, ancora oggi, una sorta di icona del primo sperimentatore volontario di tale sostanza quasi ne avesse evidenziato un uso terapeutico, stiamo parlando di Sigmund Freud (1856 1939) Considerato il padre fondatore della psicoanalisi, Freud fu un assiduo consumatore di questa sostanza sostenendo come questa avesse degli effetti benefici contro la tristezza e la depressione. Tuttavia nel 1890 dovette interrompere l'uso di cocaina durante le sedute, dopo aver quasi ucciso uno dei suoi pazienti sotto l'effetto della droga. Così scrisse alla sua fidanzata:

Se tutto va bene scriverò un saggio su questa sostanza, che mi aspetto avrà molto successo e troverà posto nelle terapie che oggi fanno uso di morfina. Ho anche altre speranze e progetti su questa cosa. Ne prendo piccolissime dosi per curare la depressione e le indigestioni”.

“Nella mia ultima depressione ho fatto uso di cocaina e una piccola dose mi ha portato alle stelle in modo fantastico. Sto ora raccogliendo del materiale per scrivere un canto di preghiera a questa magica sostanza”.



Sigmund Freud

Avvicinandoci sempre più ai nostri giorni merita un capitolo importante William Burrougs (1914 1997). È stato uno scrittore, saggista e pittore statunitense, vicino al movimento della BEAT GENERATION. Gli elementi centrali della cultura "Beat“ degli anni 50/60 sono il rifiuto di norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione delle droghe, la sessualità alternativa, l'interesse per la religione orientale, un rifiuto del materialismo e rappresentazioni esplicite e crude della condizione umana.


Affiancano e fanno parte allo stesso tempo del movimento Beat tre movimenti culturali di quegli anni:
I movimenti culturali e studenteschi del 1968


L’opposizione al conflitto del Vietnam


Il movimento hippy

“La scimmia sulla schiena” (titolo originale Junkie) è un romanzo del 1953, forse il più potente e famoso di Burrougs. In questo scritto l’autore trasporta nelle pagine lo scottante tema dell'eroina e lo fa con sguardo lucido, estremamente scientifico e crudelmente personale. Definisce "scimmia", il bisogno di droga nel momento dell'astinenza, termine entrato prepotentemente nella gergalità del mondo delle dipendenze. Il suo è un resoconto preciso e lucido, attraverso uno stile pulito, senza fronzoli, diretto: il romanzo si pone come una visione nello stesso momento "ad personam" e sociologicamente di massa, uno sguardo crudele sull'America che stava iniziando a conoscere i movimenti artistici giovanili. In Italia è Eugenio Finardi con la sua “SCIMMIA” a riprendere questa definizione e a scrivere la più precisa canzone italiana sulle sensazioni e sulle conseguenze provocate dall’uso di eroina. (vedi terza parte).

Uno dei capolavori della letteratura internazionale che senza dubbio deve gran parte della sua stesura alle droghe è “La nausea” di Jean Paul Sartre. Il titolo già ci mette sulla buona strada, ci fa intuire cosa potrebbe essere accaduto e la sua lettura ci guida in una esperienza dello scrittore che potremo definire mistica. L’autore stesso parla senza problemi di alcune nuove e stupefacenti dimensioni trovate grazie ad un alcaloide psichedelico che si trova in una pianta del deserto messicano. Si tratta della mescalina di cui, il futuro vincitore del premio Nobel per la letteratura, fece grandissimo uso. Lo scrittore dichiarò di non riuscire a distinguere il mondo reale da quello letteralmente “costruito” dalle allucinazioni. Non contento, alcuni anni dopo, durante la stesura di altri libri, si affidò a strani mix di caffe e corydrane, un forte eccitante.

“Niente pareva reale; mi sentivo circondato da uno scenario di cartone che poteva essere smontato da un momento all'altro. “

Forse a molti era venuto qualche sospetto sull’uso di sostanze stupefacenti da parte di Stephen King visti alcuni passaggi inquietanti dei suoi libri che sembravano arrivare da una mente non proprio lucida, a rimuovere definitivamente ogni dubbio fu l’autore stesso che affermò che per scrivere Cujo e Misery bevve così tante birre e assunse talmente tanta cocaina da non ricordare quasi nulla della stesura di questi libri.


Persino Elsa Morante fece uso di mescalina, seppur sotto il controllo medico, come affermò lo stesso Alberto Moravia. La donna arrivò in seguito anche al consumo di LSD il cui nome si ritrova come una sorta di gioco di ringraziamento nelle iniziali dei titoli di alcuni suoi componimenti come:

La sera domenicale

La smania dello scandalo.

Edgar Allan Poe e l’alcool, Charles Dickens con l’oppio, Victor Hugo l’hashish etc. etc. Sono davvero tanti gli scrittori di ogni livello che hanno visto influenzata la loro mente ed i loro pensieri da sostanze che li hanno trasportati in un mondo diverso da quello “realmente reale”. Cosa avrebbero scritto, cosa avrebbero partorito le loro menti se fossero restate completamente lucide, purtroppo non lo sapremo mai a me piace pensare che avrebbero generato qualcosa di ancora più bello anche se però, se così fosse, avremo perso davvero tanto.

 

When day comes, we ask ourselves where can we find light in this never-ending shade? (Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?)

da “The Hill We Climb” (La collina che scaliamo) di Amanda Gorman

Se la poesia non riesce a salvare il mondo può sicuramente rischiararlo. E’ quello che ha fatto la ventiduenne Amanda Gorman, giovane poetessa afroamericana laureata ad Harvard che è riuscita ad incantare Joe Biden durante un recital al punto da salire a Capitol Hill e, sesta nella storia del suo Paese, accompagnare il giuramento di Biden con una poesia scritta da lei stessa. Pur così giovane, Amanda ha già ottenuto il prestigioso National Youth Poet Laureate che la fa volare in alto con le sue aspirazioni artistiche. Il messaggio della poesia appare chiaro: guadare il fiume e risalire la collina dopo un periodo nell’ombra, nella certezza che la nazione non possa dichiararsi spezzata se una ragazzina di colore cresciuta da una mamma single può ancora sognare di diventare Presidente e di recitare davanti alla nazione. Applaudita da Barack e Michelle Obama, Amanda ha lasciato il segno con la sua presenza e per usare le sue parole ci siamo riappropriati dell’alba perché esisterà sempre la luce nonostante l’ombra.

La poesia come genere letterario non gode sempre del plauso del pubblico. Poco propensi alla lettura e interpretazione dei versi, gli italiani preferiscono generalmente leggere romanzi e sono abbastanza selettivi nella scelta della tipologia. Il poeta vive quindi isolato nella sua torre segreta riuscendo a condividere i suoi pensieri con pochi, scrivendo di notte per citare la grande Alda Merini. Alla poesia non viene quindi assegnato un ruolo sociale e il suo impatto sulle coscienze non viene considerato determinante dai più.

L’evento di Capitol Hill si pone in contrapposizione rispetto alla visione generalizzata sul potere dei versi. Amanda usa uno strumento antico per veicolare un messaggio di forte contenuto politico, sociale ed umano dimostrando come la forma di letteratura più vecchia, la poesia appunto, venga apprezzata maggiormente all’estero. Nei suoi versi la giovane alterna immagini di luce ed ombra, ossimori di forte componente emozionale per annunciare un agognato cambio di regia alla guida degli Stati Uniti e del mondo intero. Senza paura ricorre a termini crudi dove la bestia si oppone a valori quali la pace e la giustizia e finisce per rassicurare il popolo americano: la nazione non è spezzata se una giovane afro-americana può ancora parlare a tutti proprio come lei ha fatto durante la cerimonia di inaugurazione.

Consapevole della difficoltà di unire un paese così variegato per etnie, cultura, colori, e condizioni sociali Amanda insiste sulla necessità di unire includendo le stesse differenze e guardando al passato per rinascere come nuovi. La giovane poetessa usa strumenti e meccanismi poetici quali l’allitterazione per contrapporre “blade”, lama, a “bridge”, ponte, escludendo completamente ogni idea di violenza e proponendo invece solidarietà tra i popoli.

La democrazia è stata solo ritardata ma non sconfitta. Sarà possibile scalare la collina se saremo in grado di osare: Amanda insiste sulle ferite del suo paese ma allo stesso tempo evidenzia la necessità di reagire all’inerzia e alle intimidazioni e preparare il terreno per le generazioni future alle quali va lasciato un paese migliore. La metafora della collina è forte e densa e l’uditorio ne è rimasto contagiato. Le parole della poesia volano alto ed includono ogni angolo del paese per legare le coscienze scosse dagli ultimi tragici eventi nell’attesa di una nuova alba, come solo Marthin Luther King era riuscito a fare prima di lei.

Lucia Lo Bianco

IL TESTO DELLA POESIA, NELLA SUA VERSIONE ORIGINALE

When day comes, we ask ourselves where can we find light in this never-ending shade?
The loss we carry, a sea we must wade.
We’ve braved the belly of the beast.
We’ve learned that quiet isn’t always peace,
and the norms and notions of what “just” is isn’t always justice.
And yet, the dawn is ours before we knew it.
Somehow we do it.
Somehow we’ve weathered and witnessed a nation that isn’t broken,
but simply unfinished.
We, the successors of a country and a time where a skinny Black girl descended from slaves and raised by a single mother can dream of becoming president, only to find herself reciting for one.

And yes, we are far from polished, far from pristine,
but that doesn’t mean we are striving to form a union that is perfect.
We are striving to forge our union with purpose.
To compose a country committed to all cultures, colors, characters, and conditions of man.
And so we lift our gazes not to what stands between us, but what stands before us.
We close the divide because we know, to put our future first, we must first put our differences aside.
We lay down our arms so we can reach out our arms to one another.
We seek harm to none and harmony for all.
Let the globe, if nothing else, say this is true:
That even as we grieved, we grew.
That even as we hurt, we hoped.
That even as we tired, we tried.
That we’ll forever be tied together, victorious.
Not because we will never again know defeat, but because we will never again sow division.

Scripture tells us to envision that everyone shall sit under their own vine and fig tree and no one shall make them afraid.
If we’re to live up to our own time, then victory won’t lie in the blade, but in all the bridges we’ve made.
That is the promise to glade, the hill we climb, if only we dare.
It’s because being American is more than a pride we inherit.
It’s the past we step into and how we repair it.
We’ve seen a force that would shatter our nation rather than share it.
Would destroy our country if it meant delaying democracy.
This effort very nearly succeeded.
But while democracy can be periodically delayed,
it can never be permanently defeated.
In this truth, in this faith, we trust,
for while we have our eyes on the future, history has its eyes on us.
This is the era of just redemption.
We feared it at its inception.
We did not feel prepared to be the heirs of such a terrifying hour,
but within it, we found the power to author a new chapter, to offer hope and laughter to ourselves.
So while once we asked, ‘How could we possibly prevail over catastrophe?’ now we assert, ‘How could catastrophe possibly prevail over us?’

We will not march back to what was, but move to what shall be:
A country that is bruised but whole, benevolent but bold, fierce and free.
We will not be turned around or interrupted by intimidation because we know our inaction and inertia will be the inheritance of the next generation.
Our blunders become their burdens.
But one thing is certain:
If we merge mercy with might, and might with right, then love becomes our legacy and change, our children’s birthright.

So let us leave behind a country better than the one we were left.
With every breath from my bronze-pounded chest, we will raise this wounded world into a wondrous one.
We will rise from the golden hills of the west.
We will rise from the wind-swept north-east where our forefathers first realized revolution.
We will rise from the lake-rimmed cities of the midwestern states.
We will rise from the sun-baked south.
We will rebuild, reconcile, and recover.
In every known nook of our nation, in every corner called our country,
our people, diverse and beautiful, will emerge, battered and beautiful.
When day comes, we step out of the shade, aflame and unafraid.
The new dawn blooms as we free it.
For there is always light,
if only we’re brave enough to see it.
If only we’re brave enough to be it.

IL TESTO DELLA POESIA, TRADOTTO IN ITALIANO

Quando arriva il giorno, ci chiediamo dove possiamo trovare una luce in quest’ombra senza fine?
La perdita che portiamo sulle spalle è un mare che dobbiamo guadare.
Noi abbiamo sfidato la pancia della bestia.
Noi abbiamo imparato che la quiete non è sempre pace,
e le norme e le nozioni di quel che «semplicemente» è non sono sempre giustizia.
Eppure, l’alba è nostra, prima ancora che ci sia dato accorgersene.
In qualche modo, ce l’abbiamo fatta.
In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta,
ma, semplicemente, incompiuta.
Noi, gli eredi di un Paese e di un’epoca in cui una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro.

Certo, siamo lontani dall’essere raffinati, puri,
ma ciò non significa che il nostro impegno sia teso a formare un’unione perfetta.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo.
(Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale.
E così alziamo il nostro sguardo non per cercare quel che ci divide, ma per catturare quel che abbiamo davanti.
Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze.
Abbandoniamo le braccia ai fianchi così da poterci sfiorare l’uno con l’altro.
Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.
Lasciamo che il mondo, se non altri, ci dica che è vero:
Che anche nel lutto, possiamo crescere.
Che nel dolore, possiamo trovare speranza.
Che nella stanchezza, avremo la consapevolezza di averci provato.
Che saremo legati per l’eternità, l’uno all’altro, vittoriosi.
Non perché ci saremo liberati della sconfitta, ma perché non dovremo più essere testimoni di divisioni.

Le Scritture ci dicono di immaginare che ciascuno possa sedere sotto la propria vite e il proprio albero di fico e lì non essere spaventato.
Se vorremo essere all’altezza del nostro tempo, non dovremo cercare la vittoria nella lama di un’arma, ma nei ponti che avremo costruito.
Questa è la promessa con la quale arrivare in una radura, questa è la collina da scalare, se avremo il coraggio di farlo.  
Essere americani è più di un orgoglio che ereditiamo.
È il passato in cui entriamo ed è il modo in cui lo ripariamo.
Abbiamo visto una forza che avrebbe scorsso il nostro Paese anziché tenerlo insieme.
Lo avrebbe distrutto, se avesse rinviato la democrazia.
Questo sforzo è quasi riuscito.
Ma se può essere periodicamente rinviata,
la democrazia non può mai essere permanentemente distrutta.
In questa verità, in questa fede, noi crediamo,
Finché avremo gli occhi sul futuro, la storia avrà gli occhi su di noi.
Questa è l’era della redenzione.
Ne abbiamo avuto paura, ne abbiamo temuto l’inizio.
Non eravamo pronti ad essere gli eredi di un lascito tanto orribile,
Ma, all’interno di questo orrore, abbiamo trovato la forza di scrivere un nuovo capitolo, di offrire speranza e risate a noi stessi.
Una volta ci siamo chiesti: “Come possiamo avere la meglio sulla catastrofe?”. Oggi ci chiediamo: “Come può la catastrofe avere la meglio su di noi?”.

Non marceremo indietro per ritrovare quel che è stato, ma marceremo verso quello che dovrebbe essere:
Un Paese che sia ferito, ma intero, caritatevole, ma coraggioso, fiero e libero.
Non saremo capovolti o interrotti da alcuna intimidazione, perché noi sappiamo che la nostra immobilità, la nostra inerzia andrebbero in lascito alla prossima generazione.
I nostri errori diventerebbero i loro errori.
E una cosa è certa:
Se useremo la misericordia insieme al potere, e il potere insieme al diritto, allora l’amore sarà il nostro solo lascito e il cambiamento, un diritto di nascita per i nostri figli.

Perciò, fateci vivere in un Paese che sia migliore di quello che abbiamo lasciato.
Con ogni respiro di cui il mio petto martellato in bronzo sia capace, trasformeremo questo mondo ferito in un luogo meraviglioso.
Risorgeremo dalle colline dorate dell’Ovest.
Risorgeremo dal Nord-Est spazzato dal vento, in cui i nostri antenati, per primi, fecero la rivoluzione.
Risorgeremo dalle città circondate dai laghi, negli stati del Midwest.
Risorgeremo dal Sud baciato dal sole.
Ricostruiremo, ci riconcilieremo e ci riprenderemo.
In ogni nicchia nota della nostra nazione, in ogni angolo chiamato Paese,
La nostra gente, diversa e bella, si farà avanti, malconcia eppure stupenda.
Quando il giorno arriverà, faremo un passo fuori dall’ombra, in fiamme e senza paura.
Una nuova alba sboccerà, mentre noi la renderemo libera.
Perché ci sarà sempre luce,
Finché saremo coraggiosi abbastanza da vederla.
Finché saremo coraggiosi abbastanza da essere noi stessi luce.