La vera storia di Andrea Spezzacatena, quindicenne vittima di bullismo e cyberbullismo omofobo
di Guendalina Middei
Lo avete visto? Voglio dirvi una cosa su il ragazzo dai pantaloni rosa, il film di cui tutti parlano! C’è chi lo ha ama, chi lo odia, chi lo critica, c’è perfino chi lo ha boicottato, perché «affronta temi troppi difficili e delicati» per i ragazzi.
Io, invece, durante questo film ho PIANTO! Questo film mi ha toccata da vicino. La storia penso che ormai la conosciate tutti: c’è questo ragazzo, un ragazzino come tutti, di nome Andrea che viene deriso, umiliato, tormentato dai suoi compagni per un paio di pantaloni scoloriti e una lavatrice sbagliata. Ecco, io mi sono rivista in Andrea.
Quando ero bambina ero quasi cieca, non vedevo quasi nulla. Fui operata tre volte agli occhi. E per anni dovetti portare una una benda sull’occhio. Gli altri bambini mi prendevano in giro per questo. Da ragazza, poi, ero quella che tutti deridevano perché non mi vestivo come tutti, non parlavo delle cose che interessavano a tutti, non pensavo come «tutti». In un’epoca di conformismo imperante, basta davvero poco per essere etichettato come strano.
E nel corso degli anni ho visto tanti insegnanti, troppi, che fanno finta di non vedere. Che girano la testa dall’altra parte. Ho visto genitori che se ne fregano e che giustificano. E vedete, è proprio questo il punto, e questo non riguarda soltanto i ragazzi: omertà e silenzio sono i veri mali del nostro paese. Tutti sapevamo come sarebbe andato a finire quel film, tutti conosciamo la storia di Andrea: questo ragazzino così pieno di vita, di sorrisi, di speranza, si toglie la vita. Il giorno dopo il suo compleanno. Ma fino alla fine speri che qualcuno o che qualcosa lo salvi. Che qualcosa cambi. Ma non è così! Perché alle volte l’odio è più forte di tutto!
Poi, prima dei titoli di coda sullo schermo compaiono le fotografie di Andrea quello vero, quello che non c'è più, travolto dall'odio dei suoi coetanei. E allora mi domando: ma cosa diavolo stiamo insegnando ai nostri ragazzi? L’ho già detto ma lo ripeto, i ragazzi non se ne faranno nulla di una padronanza assoluta dei computer, della tecnologia, di aver memorizzato vita, morte e miracoli di un autore, se manca l’empatia. Se mancano il RISPETTO, la sensibilità, l’amore. Non abbiamo bisogno di più sapere ma di più amore. Perché sapere non basta. Capire non basta. Occorre amare. Camus diceva: la vera tragedia non è non essere amati, ma non amare.
Pensare che durante la proiezione con le scuole Teresa Manes, la mamma di Andrea, abbia dovuto sentire ancora una volta le risa e gli schiamazzi di altri adolescenti che proseguivano ad insultare suo figlio, dodici anni dopo la sua morte, mi fa orrore. Orrore. Perché significa che come società, che come paese abbiamo fallito!
Con queste parole ricorda la morte del figlio, parole dolorose, che fanno male, ma anche piene di coraggio e di forza: «Appresa la notizia della morte di mio figlio, ricordo che ero in casa quando strappai da un quaderno il pezzetto di un foglio.
Di getto, scrissi queste tre cose:
L' ha fatto in casa, mettendosi comodo, in pigiama.
L' ha fatto in una giornata di sole.
Ha usato la mia sciarpa.
Credo che nella scelta della sciarpa sia racchiusa la sua volontà a che lo accompagnassi in quella decisione folle, quasi a dargli forza in un intento che altrimenti, probabilmente, non avrebbe avuto. Ci sono mamme che stringono tra le mani un rosario e pregano, dopo un fatto doloroso. Io, invece, stringevo tra le mie quel pizzino di cui spesso ne rileggevo il contenuto. Avevo necessità di aggrapparmi a qualcosa che mi desse fiato. Sentivo la mia ragione vacillare e non esisteva che questa cosa potesse accadere.Dovevo restare in piedi per amore di Andrea.
Perché dessi corpo alla sua voce in modo da dire a tutti che il bullismo fa schifo».