di Guendalina Middei
Qualcuno deve pur dirlo, anche a costo di andare controcorrente!
Ecco, lasciatemele dire io sono contraria alla «maternità surrogata.» O meglio, diciamolo chiaro e tondo, maternità surrogata, utero in affitto significa sfruttamento. Sfruttamento della disperazione altrui, della povertà altrui, del corpo di chi, senza speranze e prospettive, mette letteralmente in vendita il proprio utero. A nessuna donna sana di mente, a nessuna donna che vive una vita dignitosa dal punto di vista economico verrebbe mai in mente di impiantarsi nel proprio corpo il seme e gli ovuli di due completi estranei e affrontare i rischi di una gravidanza e tutto ciò che comporta una gravidanza così per… divertimento. Per puro spirito di altruismo.
Ma vedete oggi il punto è proprio questo: nessuno ha più il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Kant ci ha insegnato che l'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo. La maternità surrogata significa trattare il corpo delle donne come un mezzo. Come se fossero distributori automatici. Ed è assurdo fingere che non sia così, così come è altrettanto assurdo rendere la «maternità surrogata» reato universale. Ma che diavolo significa? È una follia sul piano giuridico, perché tu non puoi andare in casa di altri o in altri paesi e dire cosa possono o non possono fare le persone in quei paesi. Provate a pensare un attimo a cosa accadrebbe se tutti i paesi iniziassero a fare così… sarebbe la FINE.
Certo, giustamente la Littizzetto ha ragione quando dice se «l'adozione non fosse un percorso ad ostacoli come Squid Game, aperta a più persone possibili, senza discriminazioni di sesso o stato civile, forse meno persone farebbero ricorso alla gestazione per terzi.» Tutti dovrebbero poter diventare genitori, se lo desiderano.
Ma bisognerebbe anche porsi la domanda: fino a che punto questo desiderio può e deve spingersi? Insomma essere genitori è un dovere o un diritto? Voi che ne pensate?