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di Gabriella Paci

 

LA VITA

Vincent Van Gogh nacque il 30 marzo 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi. Era figlio di un pastore protestante e durante l'infanzia si sentì un sostituto di un fratello morto un anno prima, di cui ebbe il nome. Fu un ragazzino taciturno e poco amante degli studi che abbandonò a 15 anni.

Nel 1869 cominciò a lavorare come apprendista presso un importante compagnia internazionale di commercio d’arte, a L’Aia, dove lo zio Vincent era socio. Amava quel lavoro perché amava l’arte dei pittori come Rembrandt e i paesaggisti francesi. Da l’Aia fu trasferito prima a Bruxelles e, poi, a Londra dove ebbe una crisi amorosa a causa del rifiuto di matrimonio di Eugenie Lover, figlia della sua affittuaria. Trasferito dalla compagnia a Parigi, venne poi licenziato.

Decise, allora, di seguire il padre e si iscrisse ad una scuola evangelica, ma non fu ammesso alla facoltà di teologia per cui andò come missionario evangelista a Wasmes, in Belgio, dove si prese cura dei minatori fino a trascurare se stesso: fu qui che disegnò “I mangiatori di patate”, opera poi tra le più celebri.

Tornato a casa nel 1880 decise di dedicarsi alla pittura, dipingendo con realismo il mondo degli svantaggiati e, come punto di partenza, si concentrò sui pittori realisti francesi. Caratteristica di questa fase l’uso di colori cupi e di scarsa illuminazione, come nel “Tessitore”. Era supportato, per le strette necessità, dal fratello Teo che, tra l’altro, si preoccupò di trovargli una compagnia in Paul Gauguin, dove andò a convivere con Vincent nella “Casa gialla, così chiamata per il colore della facciata.

Ben presto il carattere deciso ed insofferente di entrambi, provocò attriti e Van Gogh arrivò  minacciare Gauguin con un rasoio, tranne poi pentirsi e recidersi l’orecchio sinistro da offrire come discolpa all’amico, che inorridito, lo considerò un malato di mente. Di questo episodio ci restano due autoritratti: in uno di Vincent che ha un orecchio bendato e fuma malinconico la pipa.

Theo, preoccupato per la fama di squilibrato che il fratello si era fatto, lo convinse a farsi ricoverare nell'ospedale di Arlesdove, dipinse una gran quantità di quadri. Nel maggio 1889, spaventato all'idea di non poter più lavorare, lui stesso si fece ricoverare a Saint Remy-de Provence, dove restò per un anno. 

Aveva conosciuto e frequentato a Parigi gli impressionisti francesi e i puntinisti e la sua pittura, sia per l’influenza di questa scuola, sia per la sua indole irrequieta e visionaria, rappresenta un esempio altissimo dell’arte impressionistica.

Negli ultimi anni della sua vita la sua instabilità si accentuò, aveva profonde crisi, anche se la sua produzione, tranne brevi pause, andava avanti.

A 37 anni, un colpo di pistola pose fine alla sua vita. Anche in questa occasione, Theo gli fu vicino fino alla morte. Restano dubbi sul suicidio perché quello sparo all’addome e il mancato ritrovamento dell’arma hanno posto domande senza risposta.

LA PRODUZIONE ARTISTICA

Dal suo intenso rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza, allo studio sacrale del lavoro della terra, scaturiscono figure che agiscono in una rassegnata quotidianità, come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne che si occupano di lavori domestici (o curve nel trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno), umili personaggi  colti nella loro abitudinarietà.

La sua mano coglie, dunque, l’intensa osservazione della realtà più umile del tempo.
Particolare importanza riveste il periodo parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata ricerca del colore, sulla scia impressionista, e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di immagini vibranti anche cromaticamente, come confermano i numerosi autoritratti che sono la voglia di lasciare traccia di sé nella convinzione di una maggiore capacità rappresentativa, anche della figura umana.

È di questo periodo l’Autoritratto, a fondo azzurro con tocchi verdi, del 1887 presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, colta da pennellate rapide, vibranti che danno l’idea della sua tumultuosa anima.

Il colore diventa protagonista a partire dal 1887, forse per l’influenza del colore e dell’aria del sud, e ne sono esempi "Il seminatore ", "Il giardino dell’ospedale di Saint-Remy” o "Il burrone “,  dove si riaffacciano, però,  i fantasmi della sua anima nella voragine, e nel “Vecchio disperato " che simboleggia tutta la sua disperata solitudine.

LA FAMA POST-MORTEM

Grazie alla nobildonna “Helene Kröller-Müller", che era la moglie del ricco imprenditore olandese Anton Kröller, la collezione di Van Gogh fu salvata ed esposta.

Nata in una famiglia di industriali tedeschi, non era cresciuta in un ambiente particolarmente sensibile all’arte e iniziò ad apprezzare l’arte moderna quando aveva già superato i 30 anni. Così, tra il 1907 e il 1938, cominciò a collezionare i dipinti di Picasso, Mondrian, Signac Seurat, Redon e Van Gogh, di cui era rimasta colpita vedendo "I girasoli".

Comprava dipinti come fossero oggetti accessori e ne fece una collezione che, solo dal 1913, rese aperta a visitatori selezionati. La scelta di Helene Kröller-Müller fu decisiva comunque per la conoscenza e l’apprezzamento dell’arte moderna da parte del pubblico. Nelle lettere al fratello Theo e nelle opere di Van Gogh, fino allora semisconosciuto, la donna ritrovò  lo stesso suo travaglio interiore. Anche lui si era liberato dalla fede intesa in senso tradizionale e da una ritualità borghese, non a caso il suo fervore religioso non è immediatamente percepibile nei dipinti. La scelta del pittore non fu dipingere scene religiose, ma la vita tormentata di tanti.

L’idea di costruire un museo fu dettata dall’incontro con Bremmer, suo maestro d’arte e primo estimatore di Van Gogh. Helene, inoltre, contrasse una grave malattia che la portò, una volta superata, a voler lasciare una traccia di sè.

Subito dopo la Grande Guerra, la Kröller-Müller incaricò l’architetto, e artista belga, Henry Van de Velde di costruire un immenso museo nelle sue proprietà. Purtroppo, la sua impresa fu destabilizzata da una grave crisi economica, ma l’esposizione delle opere in Europa e in America  incrementarono le sue finanze e la fama dell’artista, e così la donna potè realizzare il suo museo di cui divenne direttrice.

Per comprendere Van Gogh Helene studiò Spinoza, si sforzò di vedere Dio nella natura nella realtà quotidiana.
Secondo Helene l’arte moderna rappresentava una transizione "dal visibile all’Assoluto". Selezionando pezzi di periodi e stili diversi, desiderava evidenziare questo movimento dal Realismo all’Idealismo, ovvero all’astrazione. Apprezzava molto il lavoro di artisti astratti come Picasso e Mondrian, ma il top per lei erano quelle opere capaci di stare in equilibrio tra i due poli. Nella sua visione i dipinti di Van Gogh erano il massimo esempio di questa sintesi.

LA MOSTRA DI ROMA

La mostra, dunque, offre una panoramica utile a comprendere l’artista anche nei suoi risvolti personali e privati, che emergono, oltre che dalle sue opere, anche dalle sue azioni e dal suo pensiero noto, attraverso la fitta corrispondenza con l’amato fratello Theo, che lo supporterà in ogni senso fino alla sua tragica morte, arrivando a comprender anche la sua decisione, poi fallita, di sposarsi con una prostituta incinta e madre di una bimba.

La mostra,attiva daottobre , è stata prolungata fino  al 6 maggio sembra che siano state 70mila le prevendite dei biglietti registrate prima dell'inizio della mostra. Esistono diverse tipologie di biglietti con i rispettivi prezzi, molte riduzioni previste per particolari fasce di popolazione. In biglietteria, il costo di ogni ingresso è di 18 euro l'intero e 16 il ridotto. L’acquisto on line come spese di prevendita: prevede un sovrapprezzo di euro 1,50 : l'intero, quindi, costa 19,50 e il ridotto 17.50, mentre la visita guidata, dalla durata di 80 minuti, 25 euro a persona.

 

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Info Autore
Gabriella Paci
Author: Gabriella Paci
Biografia:
Laureata in storia e filosofia presso l’Università degli studi di Firenze, Gabriella Paci ha sempre vissuto ad Arezzo, dove ha svolto con passione l’insegnamento delle lettere presso un istituto superiore della città. Appassionata di viaggi e di letture, ha da sempre l’inclinazione ad osservare la realtà ed ascoltare la sua voce interiore. Nella certezza che inquietudini, passioni, emozioni e sogni sono propri dell’itinerario esistenziale di ognuno, e dunque universali, ha voluto e vuole condividere le sue poesie con gli altri. Ha pubblicato quattro libri di poesie: “Lo sguardo oltre…”, edito da Aletti nel 2015, “Onde mosse”, edito da Effigi nel 2017, “Le parole dell’inquietudine”, edito da Luoghinteriori nel 2019 “Sfogliando il tempo”.ediz Helicon 2021. Grazie anche ai numerosissimi e prestigiosi premi di carattere nazionale e internazionale ricevuti sia per le poesie singole che per i libri editi quali,per citarne solo alcuni tra i tanti,” Michelangelo; “Quasimodo”; “Buongiorno Alda” “Città di Varallo”, “Premio internazionale “Poeta dell’anno” di Milano, Premio Atlantide ecc. per un totale che supera ampiamente il centinaio, ha rafforzato la sua volontà di condividere emozioni e sentimenti con gli altri continuando nella sua attività di scrittura. Le sue poesie sono presenti in molte antologie, e sul giornale on line “Alessandria today news”. Ha pubblicato in riviste quali “Luogos” del Giglio blu di Firenze e “Buonasera Taranto”ed “Euterpe”. Fa parte dell’associazione “Wiki poesia” e di “Poetas du mundo” ed è presente sul blog “poetry factoy” “e Italian poetry”
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