di Gabriella Paci
A metà Ottocento, poco fuori dalle mura di Firenze, è un mondo contadino fatto di case coloniche, renaioli lavandaie e tessitrici domestiche. Proprio la zona Piagentina dà vita a una scuola di pittori conosciuti con il nome di “Macchiaioli”; artisti che dipingono la realtà locale attraverso l’uso della luce e che da Piagentina msi diramano a Venezia, La Spezia, Castiglioncello.
Il termine “Macchiaioli” apparve nella “Gazzetta del popolo”nel 1862 e il cronista voleva indicare con questo nome un modo nuovo di fare pittura, fuori dai canoni tradizionali, in modo realista, facendo tuttavia delle “macchie”. Ovvio che il termine era dispregiativo e derivava da “darsi alla macchia” “essere fuggitivo” insomma .
Del resto, il sostenitore del movimento, Diego Martelli, aveva sostenuto che “la forma non esisteva e siccome alla luce tutto risulta per colori e per chiaroscuro, si volle ottenere la realizzazione della realtà attraverso toni di colore, per macchie, insomma” distruggendo quasi il disegno come era la tradizione accademica per sostituirlo con il colore come elemento dominante.
Martelli nel suo discorso fa riferimento a quanto veniva detto nel “Caffè Michelangelo” di Firenze in via Cavour tra il 1855 e il 1866 quando, al suo interno discutevano animatamente Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi, Giovanni Fattori, Adriano Cecioni, Cristiano Bantima anche i veneti Vincenzo Cabianca, Fedrico Zandomeneghi, il ferrarese Giovanni Boldini, il romagnolo Silvestro lega, il pesarese Vito D’Ancona .
Tra i sostenitori, oltre al già citato Martelli, troviamo il poeta Giosuè Carducci. Oggi delle due stanze del Caffè, al numero 21, resta una targa a testimoniare la presenza di un luogo che ha dato ospitalità a celebri artisti che volevano liberarsi dalle pedanterie accademiche per esprimere la libertà, compresa quella della patria, attraverso una forma d’arte che avvicinasse il popolo. Non a caso tra i dipinti più conosciuti troviamo “Cucitrici di camicie rosse” e “26 aprile 1959” dove una donna cuce una bandiera tricolore di Odoardo Borrani che celebrano in pieno il Risorgimento italiano.
Negli anni '70 con il trasferimento di artisti a Parigi o la loro scomparsa, il gruppo si sfalda e nuovi movimenti rivelano altre sensibilità artistiche ma i “Macchiaioli” eserciteranno suggestioni su vari registi come Garrone che per il suo film “Pinocchio” sceglie sfond che fanno pensare alla luce e ai colori usati da questi, o Scorzese che ne “L’età dell’innocenza” inserisce un dipinto di Fattori o ancora Luchino Visconti che in “Senso” inquadra più opere dei Macchiaioli.
Oltre 130 le opere dei “Macchiaioli” in mostra a Pisa dall’8 ottobre fino al 23 febbraio 2023 nel Palazzo Blu, provenienti da collezioni private e da istituzioni museali.