di Paola Cecchini
Più di 60 spettacoli in 15 sedi, più di 500 artisti da 36 paesi: tutto questo a Spoleto nei 17 giorni che vanno dal 24 giugno al 10 luglio, per la 65a edizione del Festival dei Due Mondi.
‘L’America, le donne e i nuovi modi di raccontare la musica sono i tre filoni intorno a cui si condensa la programmazione di quest’edizione che segue la sua vocazione multidisciplinare e tesse una tela di relazioni trasversali tra le arti, condensandosi intorno a tre linee programmatiche principali. La prima è la musica dei due mondi, l’Europa e l’America, per cui sono stati riallacciati i rapporti con lo Spoleto Festival USA, che Gian Carlo Menotti fondò a Charleston come “succursale” americana di Spoleto. La seconda è la voce delle donne. La terza riguarda i nuovi modi di raccontare la musica”- ha sottolineato in conferenza stampa la direttrice artistica della rassegna Monique Veaute.
Per quanto concerne il filone americano, nel concerto inaugurale del festival del 24 giugno in Piazza del Duomo, Ivan Fischer dirigerà la Budapest Festival Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia con la prima esecuzione per l’Europa di The Passion of Ramakrishna, il monumentale oratorio che Philip Glass ha composto come tributo al leader spirituale indiano del diciannovesimo secolo.
L’ensemble Sentieri Selvaggi diretto da Carlo Boccadoro dedicherà tre concerti (1, 2 e 3 luglio) alla musica contemporanea USA, dal minimalismo di Philip Glass, Steve Reich e Terry Riley alla libertà espressiva di Missy Mazzoli, Christopher Cerrone, Timo Andres e Armando Bayolo, raramente eseguiti in Italia.
La Budapest Festival Orchestra (così come i complessi di Santa Cecilia) è in residenza al Festival e dopo l’inaugurazione sarà protagonista di altri concerti: il 24, 25 e 26 giugno nell’ambito dei Concerti di Mezzogiorno al Teatro Caio Melisso tributerà un omaggio a Gian Carlo Menotti- l’indimenticato ideatore e primo direttore della rassegna- presentando i suoi Canti della lontananza nella nuova trascrizione per voce ed ensemble commissionata ad Orazio Sciortino, accostandoli ad altre composizioni, tra cui Thrush Song dell’italo-americana Paola Prestini. Quindi il 28 eseguirà La Senna festeggiante, serenata per tre voci e strumenti di Vivaldi.
L’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia sarà invece protagonista il 10 luglio del concerto finale all’ora del tramonto in Piazza del Duomo, quando Antonio Pappano (che poche ore prima, a mezzogiorno, darà un concerto come pianista al Caio Melisso) dirigerà due autori americani del secolo scorso, Samuel Barber ed Aaron Copland, con la partecipazione del soprano Barbara Hannigan.
In questo concerto s’intersecano dunque il filone americano del programma e quello dedicato alle donne, di cui il soprano canadese è una delle protagoniste.
Il 2 luglio si esibirà infatti sia come cantante sia come direttrice dell’orchestra romana nella Voix humaine di Poulenc e il giorno dopo canterà Split the Lark e Jumalattaret, il ciclo di canzoni composto per lei da John Zorn.
Altre protagoniste di questo filone sono Mariza, la più grande interprete attuale del fado portoghese, Dianne Reeves, discendente dell’eredità lirico-jazz della grande Sarah Vaughan e vincitrice di cinque Grammy, e Angélique Kidjo, che porta a Spoleto le melodie e i ritmi della sua Africa.
Sono molte le donne nella sezione danza del festival. La coreografa senegalese Germaine Acogny accosterà il suo nuovo lavoro common ground[s] alla versione di Piana Bausch del Sacre du printemps. La poliedrica e innovativa coreografa spagnola Bianca Li stupirà con Le Bal de Paris, un’installazione/performance immersiva che fonde, musica, danza e realtà virtuale e catapulta lo spettatore in un universo fantastico e poetico (ad ogni rappresentazione potranno assistere solo otto spettatori e verrà eseguita continuativamente dal primo all’ultimo giorno del festival).
Ancora altre coreografe: l’americana Trisha Brown, icona della post-modern dance, sarà ricordata a cinque anni dalla scomparsa con una selezione dei suoi lavori più celebri; la fiamminga Anne Teresa De Keersmaeker si addentra nella ricchezza mistica e geometrica delle Sonate del Rosario del compositore barocco Franz von Biber; la dirompente, stravagante e sperimentale azione coreografica dell’argentina Ayelen Parolin è un vertiginoso esercizio ispirato alla dinamica dei movimenti collettivi.
L’opera era al centro del festival ai tempi in cui lo dirigeva Menotti. E in un certo qual modo è ancora importante. Ma non si tratta più dell’opera tradizionale (Traviata e Carmen, Rosenkavalier e Don Giovanni) ma di teatro musicale, che sfugge ad ogni definizione, perché ogni spettacolo è un caso a sé, un unicum che fonde in modi diversi musica, danza e teatro.
Sono tre gli spettacoli di questo tipo in programma. Il primo (24, 25 e 26 giugno) è Le Crocodile trompeur, firmato dai registi francesi Jeanne Candel e Samuel Achache: uno spettacolo che parte dall’opera seicentesca Dido and Aeneas di Purcell e si nutre di stimoli tratti dalla letteratura, dal cinema, dalla pittura, intrecciando mito e tragedia, musica e azione teatrale.
Ancora Jeanne Candel insieme alla compagnia la vie brève parte dalla Sinfonia n. 5 di Mahler per creare lo spettacolo Demi-Véronique (30 giugno–3 luglio): tutto può rapidamente trasformarsi, una stanza è stata distrutta da un incendio e il nero ha invaso tutto lo spazio, ma un altro mondo in gestazione si ricompone. In Sans Tambour un altro regista, Samuel Achache, parte dal Liederkreis op. 39 di Schumann per esplorare i meccanismi della ricostruzione: come farsi strada in una nuova geografia mentale dopo la separazione dall’amato o dalla patria?
Il programma offre molto altro e alcuni spettacoli e concerti sono in via di definizione e verranno comunicati prossimamente.
Vi aspettiamo.