La guerra, ogni guerra, provoca sempre una serie di sconvolgimenti nella quotidianità della vita umana: è un’esperienza devastante, che, più di ogni altra, spersonalizza l’individuo, facendogli perdere la propria umanità.
Capita a volte, però, che la stessa storia registri fatti e comportamenti umani d’eccezione, come sono stati, per esempio, quelli che diedero luogo alla cosiddetta Tregua di Natale, avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale (la Grande Guerra), nell’inverno del 1914. Fatti di straordinaria bellezza umana che, nonostante tutto, sono poco noti in Italia, spersi in quell’oceano di violenza e morte che fu la Grande Guerra, uno dei conflitti più sanguinosi e tragici della storia dell’umanità. Fatti che, comunque, è doveroso ricordare e portare alla conoscenza, specie delle giovani generazioni, per l’alto contenuto simbolico che incorporano e perché è giusto tramandare la memoria di quel che è stato: soldati di paesi diversi, contrapposti e in guerra, ma accomunati dallo stesso destino, dalle stesse fatiche quotidiane della vita in trincea e da un senso di umanità ancora vivo, furono capaci di “proclamare”, in modo spontaneo, momenti di autentica pace tra loro.
Il Natale è un Tempo di congiunzioni impossibili, di prodigi e illuminazioni. Tempo fecondo per crescere nella speranza. La speranza di un’umanità nuova. Non semplice metafora spirituale, ma segno efficace di grazia e di amore. A Natale tutto diventa possibile. E quella notte di Natale di oltre un secolo fa, in quella parte del mondo, il miracolo si compì. Grazie alla magia del Natale. E grazie ad uomini-soldati che non avevano perso del tutto la loro umanità, sui quali una pace surreale scese in quella notte di prodigio.
La guerra, iniziata sul finire del mese di luglio, in pochi mesi aveva già fatto circa un milione di morti. Papa Benedetto XV, eletto al Soglio Pontificio poche settimane dopo l’inizio della guerra, aveva espresso apertamente, e in diverse occasioni, la sua condanna al conflitto, che stava mettendo a ferro e fuoco l’Europa, definendolo ”inutile strage”. All’inizio di dicembre aveva lanciato anche un appello a tutti i capi di governo dei paesi belligeranti, chiedendo loro di concordare una tregua in occasione del Natale, prossimo a venire. Ma quell’appello rimase letteralmente inascoltato.
Dopo un inizio pieno di retorica patriottica e trionfalistica, sotto lo slogan “Entro Natale tutti a casa”, quella che doveva essere una “guerra lampo” si trasformò ben presto in “guerra di posizione”. Una guerra usurante e letteralmente sporca: combattuta in situazioni disperate nelle trincee, quegli stretti corridoi scavati nella terra, dove i soldati convivevano con il fango, i parassiti, i topi, i cadaveri putrescenti dei loro compagni.
Con l’approssimarsi del Natale, gli alti comandi degli eserciti coinvolti (Tedeschi, Inglesi e Francesi), e le famiglie dei soldati al fronte, avevano inviato loro pacchi dono. Fra le altre cose, i pacchi dei soldati tedeschi contenevano anche dei piccoli alberi di abete.
Per diversi giorni e notti una continua e gelida pioggia battente era caduta lungo tutto il fronte occidentale, fra Germania, Belgio e Francia, rendendo ancora più difficile la vita a quei soldati. Ma la sera del 24 dicembre, la vigilia di Natale, non piovve, anzi, il cielo era stellato e luminoso. Come, forse, nell’immaginario degli uomini che lì si fronteggiavano e si combattevano, doveva essere stata quella stessa notte di quasi duemila anni prima, in un altro paese lontano, quando la Luce di Betlemme risvegliò l’umanità a un mattino nuovo, alla speranza di un mondo rinnovato e migliore.
Tante luci punteggiavano quella notte lungo le linee tedesche. I soldati, infatti, avevano posto i loro piccoli abeti, poveramente addobbati, sui bordi delle trincee e avevano acceso lumi di fortuna e moccoli di candele. In quella notte di prodigio, costellata di stelle e di luci tremolanti, su quel duro e tremendo teatro di guerra, quegli uomini-soldati vissero, oltre al mistero dell’Incarnazione, un evento straordinario e inimmaginabile, un vero e proprio miracolo umano. Da qualche parte, vicino alla cittadina di Ypres, in Belgio, si levò improvvisamente un canto. Dapprima era una voce sola, poi più voci, fino a diventare un coro forte e crescente e le parole di Stille nacth riempirono l’aria gelata. Dalle trincee tedesche il canto giunse ai soldati inglesi, stipati nelle loro trincee, i quali risposero intonando le note di Silent night. Canti e carole natalizie si susseguirono ininterrottamente per ore e ore, in tedesco e in inglese, fino a fondersi infine in un unico coro e in un’unica lingua nell’ Adeste fideles.
Con l’alba del giorno di Natale (il primo Natale di quella guerra), il miracolo continuò. I soldati degli opposti schieramenti esposero cartelli con gli auguri di Natale, invitando gli avversari a non sparare. Tante sono le testimonianze contenute nelle lettere e nei diari dei soldati che descrivono e confermano quanto avvenuto in quella circostanza. E in effetti l’eccezionalità e la straordinarietà di quei fatti trova un’eco importante proprio nelle lettere dei soldati che vi presero parte: le loro testimonianze costituiscono la prima fonte informativa su di essi, un memoriale di grande importanza documentale e storica. A pubblicarle, all’epoca, furono soprattutto i giornali inglesi. Oggi, un centinaio circa di quelle lettere, sono raccolte nel libro "La tregua di Natale - lettere dal fronte" (2014), curato da Alberto Del Bono.
In diverse testimonianze si racconta, in particolare, di un soldato tedesco che, uscito dalla sua trincea, si incamminò verso quella inglese, attraversando il “non luogo di mezzo” (la “terra di mezzo”, lo spazio che separava le due opposte trincee, quella tedesca e quella inglese), disarmato e con le braccia al cielo. Altri seguirono il suo esempio e, superati sorpresa e timore iniziali, anche i soldati inglesi fecero altrettanto. Uomini-soldati degli opposti schieramenti militari si incontrarono in quel lembo di terra, la “terra di nessuno”, divenuta, in quel momento, terra di ognuno di quegli uomini affratellati dalle comuni radici cristiane, ancora vive e preziose, e dal senso di appartenenza ad una stessa ed unica umanità.
Nei canti che avevano intonato, gli stessi per gli uni e per gli altri anche se in lingue diverse, nella comune antica tradizione, nella fede nello stesso Dio, nella condivisione del ”mal comune” (le tristi condizioni dei soldati), nella comune paura, negli stessi sogni, nel guardarsi negli occhi, nell’empatia che tra di loro si era fatta largo, quegli uomini si erano riconosciuti e si erano ritrovati. Nel loro nome hanno fraternizzato.
Si strinsero mani e si scambiarono abbracci, auguri e piccoli doni. Si mostrarono a vicenda, con nostalgia e gioia, le foto dei loro cari lontani. Seppellirono i loro morti, celebrarono messa, si raccontarono, si fecero tante foto. Improvvisarono partite di calcio, con palloni e porte di fortuna. Quel giorno, senza combattimenti e senza morti, vinsero tutti. Era giorno di Natale, quel giorno! Anche per i giorni successivi, lungo tutto il tratto occidentale del fronte, e non solo, si registrarono tregue spontanee ed episodi di fraternizzazione fra i soldati degli opposti eserciti di quella guerra, decisa e voluta troppo in alto per essere evitata ma per nulla condivisa da chi dovette combatterla. Non era guerra di popoli, bensì guerra di stati.
Il miracolo di quel Natale, nella “terra di nessuno”, ad opera di uomini-soldati contrapposti militarmente ma uniti nei valori, fu un gesto rivoluzionario, una rivolta spontanea e autentica dell’uomo, il cui ricordo va custodito e tramandato, per poter meglio costruire una società veramente fondata sulla convivenza civile e sociale, sulla condivisione e sulla pace.
Le gerarchie militari minimizzarono e cercarono di insabbiare quegli episodi, arrivando perfino a negarli. Fecero di tutto per evitare che si verificassero ancora. Gli alti comandi, infatti, stabilirono periodici trasferimenti di soldati lungo i diversi fronti, proprio per impedire che eventi del genere si ripetessero. E così, pian piano, si perse la memoria storica di quella vicenda, la Tregua di Natale del 1914.
Ma la storia non si dimentica mai del tutto. Passa, ma non si dimentica. Così, diversi libri, opere teatrali e diversi film, negli ultimi decenni, hanno riportato all’attenzione del grande pubblico gli eventi di quel giorno di Natale del 1914, e dei giorni immediatamente successivi. Ricordiamo, fra gli altri, il bellissimo film “Joyeux Noel - una verità dimenticata dalla storia” (2005) del regista francese Christian Carion e il video di “Pipes of Peace” (1983) di Paul McCartney.
L’undici dicembre del 2014, nel centenario di quei fatti, nella cittadina belga di Ploegsteert, il presidente pro tempore dell’Uefa, Michel Platini, ha inaugurato un monumento a ricordo di tutte le improvvisate partite disputate quel giorno di Natale del 1914, in cui il calcio unì uomini di nazioni nemiche in guerra.
Tuttavia ci fu anche chi criticò aspramente quegli episodi. In modo particolare un giovane caporale tedesco, porta ordini, che aveva passato proprio una di quelle notti nei sotterranei di un’abbazia vicino a Ypres. Lo scrisse nel suo diario e poi lo riportò nel suo scritto più famoso: il "Mein Kampf". Quel caporale era Adolf Hitler. Ma questa è tutta un’altra storia.
Michele Petullà