Lo scrittore Domenico Bianco, pinerolese d’adozione, ma d’origini abruzzesi, appassionato di medicina naturale, d’iridologia, di riflessologia, di poesia, radioamatore e fondatore del «Premio Pablo Neruda» e del «Premio Letterario Città di Pinerolo», arrivato alla 32ª edizione, ha pubblicato «Minùc», Edizione Librintasca (Vernole), un libro straordinariamente coinvolgente, dove tratta, in maniera realistica ed appassionata, le vicende personali dello zio Carmine Bianco, chiamato «Minùc» con la passione e la determinazione che caratterizzano da sempre gli abruzzesi.
L’opera, frutto di una straordinaria ricerca storica, racconta le sofferenze di un soldato guardiese costretto a combattere una guerra ingiusta e, dopo l’8 settembre 1943, a patire le afflizioni di un recluso in un campo di prigionia in Germania.
I maltrattamenti, più feroci e inimmaginabili perpetrati dai suoi feroci aguzzini, sono descritti in maniera realistica e, nello stesso tempo, delicata.
Nella narrazione letteraria dello scrittore non si percepisce l’odio viscerale che avrebbe potuto costellare questo interessantissimo libro di denuncia.
La sofferenza di «Minùc», costretto a subire le angherie dei suoi torturatori teutonici, è descritta in modo scorrevole e drammaticamente coinvolgente.
L’autore non si è lasciato prendere la mano dal disprezzo che avrebbe potuto costellare queste tragiche vicende belliche ed è riuscito a scrivere un romanzo raffinato che consiglierei di fare leggere ai nostri studenti perché, come scrive Mario Rigoni Stern, «la memoria è determinante. È determinante perché io sono ricco di memorie e l’uomo che non ha memoria è un pover’uomo».
Un libro da assaporare pienamente, nelle sue varie sfaccettature letterarie, per fare riflettere le nuove generazioni sul significato intrinseco del concetto di Libertà.
Nella prefazione del libro la scrittrice prof.ssa Giusy Valla sottolinea il fatto che «Minùc, a poco a poco, non è più un numero, uno dei tanti prigionieri rinchiusi nei campi tedeschi. Sotto la lente di ingrandimento di una toccante comprensione e di una sincera vicinanza, diventa un nostro fratello, un nostro figlio e le sue tribolazioni suscitano pietà, rabbia e angoscia.[…] Il distacco dagli affetti più cari, la crudeltà dei conflitti, il terrore della morte, la paura del naufragio, la durezza del presente e l’incertezza del domani, tutto ritorna con sorprendente drammaticità per chi si ritrova indifeso e oppresso.
Da un tempo lontano, dalle battute schiette del protagonista e dei suoi compagni, dalla precarietà delle situazioni vissute, emergono tragiche riflessioni sulle ingiustizie sociali e sulla guerra che, come tutte le calamità, fa ovunque pagare un prezzo troppo alto alle persone e alle famiglie più fragili e meno fortunate.
A rendere la travagliata quotidianità della prigionia sempre più incalzante contribuisce, in ogni momento, un linguaggio chiaro, efficace, estremamente comunicativo che, seppur nella tragedia lascia, specie nella descrizione dei paesaggi, qua e là spazio a pennellate di autentica poesia perché, come scrive l’autore, mentre l’umanità soffriva per gli orrori della guerra la natura continuava il suo corso.
Dopo insormontabili ostacoli la triste odissea di Minùc ha fine, ma l’agognato ritorno in patria non porterà, come a Ulisse, gioia e amore, bensì altro dolore nel combattere e perdere la sua battaglia per la vita!
La croce di bronzo al “Merito di Guerra”, consegnata dopo 14 anni dal decesso del figlio avvenuto nel 1946, da uno sconosciuto signore con la borsa al vecchio padre, non riuscirà di certo a lenire l’immenso sconforto per una vita spezzata a ventisette anni nel pieno della gioventù!».
A Guardiagrele, ridente paese della provincia di Chieti, dove è nato Domenico Bianco, il 13 agosto scorso, è stata presentata una Collana di documenti storici dal titolo: “Guardiagrele: i deportati civili e militari durante la II Guerra mondiale "per non dimenticare", di 320 pagine.
L’autore della preziosa opera è Carlo Iacovella, presidente del Club Alpino Italiano guardiese, dove sono state riportate ben nove pagine del libro “Minùc”.
Sergio Melchiorre