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"Carissimo Direttore,
mi chiamo Massimiliano Oriolo docente di Scuola Secondaria di Primo grado in Rende, in questa mia volevo esprimere tutto il rammarico e sconcerto nel ritrovarmi ancora una volta a dover svolgere il mio lavoro da casa.
Ad un anno dalla prima chiusura totale delle scuole in Calabria e non solo, mi ritrovo, anzi ci ritroviamo noi insegnanti, a dover colloquiare con i nostri alunni da dietro lo schermo di un Pc. Sicuramente la situazione pandemica di questo COVID 19 non ci permette ancora un ritorno ad una vita serena e normale, però è anche vero che non ci sono delle linee guida omogenee per tutto il territorio nazionale per cercare di fronteggiare il virus.
Ogni giorno si sente parlare di vaccinazioni che vengono somministrate agli insegnanti, molte regioni sono in uno stato avanzato del processo vaccinale che a noi calabresi e in particolare a noi rendesi e cosentini ci fa invidia. Siamo forse una delle poche zone d’Itala, se non l’unica a non avere iniziato nessuna prassi vaccinale per gli insegnanti e addirittura da ieri siamo nuovamente chiusi a casa perché non possiamo lavorare a contatto con gli alunni, mettendo in pericolo loro, le loro famiglie e noi stessi.
Per l’amor di Dio, la salute prima di tutto e quindi il principio attuato dal Presidente della Regione F.F. Spirlì è giusto, ma sarebbe stato ancora più giusto e inattaccabile qualora a chiusura degli istituti scolastici fosse corrisposta una immediata partenza con le vaccinazioni degli insegnanti. E invece no, ci troviamo in una situazione davvero assurda, lavoriamo in Dad (che assolutamente non accetto come metodo didattico-educativo), siamo lontani dai nostri alunni che hanno bisogno del contatto con gli insegnanti e con i compagni e paradosso delle cose, non sappiamo quando e se ci vaccineranno. Inoltre, da sottolineare che tutto il comparto scuola, viene ripetutamente sballottato tra lavoro in presenza e Dad, a piacimento sia dell’Istituzione regionale, sia dal Tar che prontamente risponde in maniera affermativa ai tanti ricorsi che alcuni genitori fanno per svariati motivi personali.
Per finire mi rivolgo proprio a quei genitori che puntualmente si rivolgono al Tribunale Amministrativo Regionale, contestando le decisioni del Presidente di Regione in merito alla scuola. Signori miei diceva un detto antico che “Non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena”, volete e vogliamo tutti giustamente una scuola sicura nel massimo rispetto delle normative anti-Covid, allora permettete agli insegnanti e a tutti i lavoratori della scuola di essere vaccinati in tutta sicurezza, perché così facendo si potrà rientrare in classe prima e sicuri da tutti i punti di vista. Se proprio volete ricorrere ad una forma di protesta verso la nostra amata Regione Calabria, aiutateci, con le vostre belle lettere, affinché tutti noi riceviamo al più presto la nostra dose di vaccino, così come l’hanno ricevuto migliaia di colleghi in altre Regioni d’Italia”. 

 

 
E’ trascorso più di un anno da quando la nostra vita è cambiata totalmente a causa del virus Covid-19, che dalla lontana Cina, precisamente da Wuhan, è giunto sino a noi.
Il 30 gennaio 2020 arriva la notizia dei primi due casi accertati di coronavirus in Italia: sono due turisti cinesi, ricoverati all’ospedale Spallanzani di Roma.
Il 31 gennaio in Italia viene dichiarato lo stato di emergenza.
Da allora è stato un crescendo di notizie da parte di virologi e di infettivologi, che si sono prodigati a isolare e studiare il maledetto virus, che in breve tempo si è diffuso in tutto il mondo.
Quante immagini e quanti ricordi affiorano alla mia mente,ripercorrendo questo terribile anno di isolamento,terribile soprattutto per noi di una certa età,in cui si devono farei conti con varie patologie e fragilità.
Un anno tragico fatto di paure, di solitudine, di sconforto, diesortazione a stare chiusi in casa, ma anche di speranza…quella speranza che non dovrebbe mai abbandonarci, specie se si crede in qualcosa di sovrumano… che ci aiuta a salvarci!
I ricordi più vivi del primo lock-down sono le strade incredibilmente vuote, le file ordinate e silenziose ai supermercati, le strisce con le scritte “Andrà tutto bene”, “Restate a casa”, i canti e i suoni dai balconi per dare speranza, il corteo dei camion dell’esercito che trasportavano i morti in cimiteri anonimi in quel di Bergamo.
Ricordo i tanti medici e infermieri distrutti da turni massacranti di lavoro per cercare di salvare vite umane,anziani soprattutto, spaventati e lontani dai propri cari,e destinati ad una morte indecorosa e crudele.
Chi può dimenticare papa Francesco, che la sera del 27 marzo 2020 attraversa, con la sua andatura claudicante, una Piazza San Pietro insolitamente deserta, sfidando il freddo e la pioggia per pregare Dio su di un altare disadorno, posizionato al centro della grande piazza, per l’umanità intera, eper infonderci coraggio,speranza nella salvezza,che non potrà realizzarsi se non lottando insieme…perché “nessuno si salva da solo” e nessuno, allora, metteva in dubbio che saremmo diventati tutti più umani!!!
Quella sera le parole del Papa erano sovrastate dal suono lugubre delle sirene delle ambulanze,che non smettevano di trasportare i malati nei vari ospedali romani.
Ricordo di aver pianto quando le frecce tricolori, in segno di unità, di solidarietà e di ripresa, dal 24 maggio, per cinque giorni, hanno sorvolato l’Italia, toccando tutti i capoluoghi di Regione.
Da allora niente o quasi niente è cambiato: l’Italia è diventata come il vestito di Arlecchino…a colori!
La scuola anch’essa si è adattata alla nuova situazione…ora c’è la DAD (didattica a distanza), ma le mamme protestano: vogliono la scuola in presenza. Poi ricompaiono focolai e si ritorna alla DAD…non si capisce più nulla…tuttoè precario, tutto è in subbuglio.
Gli ospedali, dopo una breve pausa di quasi normalità per qualche mese estivo, per effetto delle vacanze e degli assembramenti, a cui molti incoscienti non hanno saputo rinunciare, sono di nuovo al collasso.L’economia soffre, le imprese rischiano il fallimento, la gente non ce la fa più ad andare avanti.
Ma la cosa più terribile è che più di 100.000 persone se ne sono andate senza nessun conforto, senza la vicinanza di un volto familiare accanto.
Siamo ancora terrorizzati dal virus assassino,che si permette anche di prenderci in giro, mutando le sue caratteristiche, rischiando di annullare l’effettodei vaccini, celermente approntati da varie case farmaceutiche.
Anche se ci sono intoppi per quanto riguarda la distribuzione e la somministrazione dei vaccini,spero che tutti possiamo fare in tempo a vaccinarci prima di contrarre la malattia, che ora sembra colpire non solo gli anziani, ma anche persone molto giovani.E questo mi dispiace moltissimo!

 

 

di Lucia Lo Bianco

La “Giornata internazionale della donna” è appena trascorsa e gli effetti sono ancora evidenti nei discorsi e negli articoli pubblicati in questi giorni sulla scia dei convegni o dei Reading letterari organizzati in varie parti del paese. Ci si chiede quanto durerà questa sensazione di autoconsapevolezza e di autocritica da parte del genere maschile o quanti altri episodi di violenza o discriminazione continueranno a riempire le nostre cronache.

La storia di quella che viene impropriamente definita “festa” delle donne risale ai primi del ’900 e si riferisce alla tragedia del 1908 in cui  le operaie dell'industria tessile Cotton di New York rimasero uccise da un incendio. Numerosi eventi seguirono nell’ambito della rivendicazione dei diritti della donna per ottenere parità in ambito politico, lavorativo, e familiare. Al VII Congresso della II Internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907 si discusse del voto alle donne. Il 3 maggio 1908 la socialista Corinne Brown  presiedette la Conferenza del Partito socialista a Chicago, che venne ribattezzata "Woman’s Day". Si parlò dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto.

Tra le tante associazioni va ricordata in ambito italiano l’istituzione dell’UDI, Unione Donne Italiane nel settembre 1944 a Roma, momento in cui l’8 marzo nelle zone liberate dell’Italia diventa  la giornata della donna che dal 1946 sarà contrassegnata dalla “mimosa”, fiore simbolo scelto perché di stagione e poco costoso. Sarà poi il 1975 ad essere definito dalle Nazioni Unite come l'Anno Internazionale delle Donne e l'8 marzo del 1977 di quell'anno i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono per ricordare l'importanza dell'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.

Ha ancora un significato questa giornata in un momento in cui il mondo del lavoro è testimone di licenziamenti di donne in stato di gravidanza e in cui le cariche continuano a non essere ugualmente distribuite nei posti chiave? In una fase storica che vede il proliferare di episodi di violenza e femminicidi, alcuni dei quali particolarmente cruenti, resta da chiedersi se non si stia lentamente regredendo nel processo evolutivo del genere umano. Sono ancora troppe le domande senza risposta, troppi gli aspetti della società da cambiare.

La scrittrice inglese Virginia Woolf nel suo scritto “Una stanza tutta per sé” ripercorreva il cammino che aveva lentamente condotto alle conquiste raggiunte dalle donne soffermandosi in particolare sulla produzione artistica. Lo squilibrio ancora esistente tra quanto prodotto da un uomo e quanto, al contrario, da una donna dipendeva a suo avviso dal fatto che le donne nella storia non avevano mai avuto una stanza tutta per loro in cui raccogliere privatamente i propri pensieri.

Fattore da non sottovalutare quello della “privacy”, dell’agognata intimità di sensazioni e sentimenti che le donne hanno per secoli condiviso con la famiglia riuscendo solo poche volte ad estraniarsi in quelli che a ragione vanno definiti come veri momenti creativi. Potrà allora l’arte salvare ed emancipare la donna attraverso ritrovati momenti di sognata libertà?

La protagonista del mio racconto “Le Donne lo Dicono” riesce in un ultimo barlume di lucidità a riflettere sulla sua fine imminente riconoscendo nella sua vicenda il triste ripetersi di uno schema «Doveva davvero morire con l’Isola muta testimone della sua fine? Urlava no, no e ancora no e in un angolo ancora lucido della sua mente albergava la consapevolezza di come la storia fosse destinata a non cambiare mai, leggenda dopo leggenda, secoli dopo secoli, in un susseguirsi e ciclico ripetersi delle stagioni. Fu il cespuglio di agave sulle rocce a sentire il suo ultimo no e ancora no mentre un enorme sasso la colpiva ripetutamente. Ma era no. Le donne lo dicono.» Saranno forse questi episodi di reiterata e feroce violenza l’oscuro segnale di un buio senza luce nel futuro delle donne?

Molti interrogativi senza risposta continuano ad accompagnare le riflessioni nel corso delle giornate a loro dedicate ogni anno per l’8 marzo. Serpeggia però un sentimento di stanchezza ed insofferenza da parte di chi non è più disposto ad aspettare che qualcosa cambi nel corso delle cose. La speranza rimane alla fine che ogni donna decida di prendere in mano le redini della propria esistenza senza chiedere o aspettarsi un cambiamento che forse non avverrà mai. Sarà ognuna di noi, mimose gialle in mano o scarpette rosse ai piedi poco importa, a dare una svolta al proprio destino perché non sia mai più soltanto quello che il mondo di noi vuole.

 

 

La diversità è l’unica bellezza intellettuale che distingue il medesimo pensiero passivo da primizie individuali ardite.
Il crudele pensiero immutabile, indolente, narcisista, diverge dalla naturale, mutabile e modesta relatività. Senza vincoli ridondanti e stanze con porte.
Chi giudica?
Chi bullizza?
Chi fa del suo indice un’arma e del suo pensiero un mandante?
Gli esecutori non sono forse coloro che desistono al generico, univoco e petulante modo di pensare?
Perché emarginati?
Perché scuciti dalla loro stima e cuciti in orli imbastiti di insicurezze?!
Forse potremmo essere noi Joker o potremmo essere gli stessi che hanno forgiato dei mostri attraverso i nostri comportamenti.
Risposte che si delineano nel film Joker del regista Todd Phillips.
Capolavoro e vincitore di due premi Oscar.

In questa foto:
Joaquin Phoenix, l’attore che ha interpretato Joker.
Un ragazzo deriso, bullizzato dalla società.
Indotto al margine, all’isolamento sociale, reso “folle” dal suo vissuto.
Dietro una maschera di clown, il suo intento: far sorridere. In quel medesimo sorriso, divenuto un’isterica risata provocata da un tic nervoso, è stato lentamente lasciato in balia della sua malattia”.

“La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l’avessi”.

La società, l’indifferenza o la sua uguale differenza intellettuale ai pochi diversi uguali, ha lasciato divenire morte la rabbia e l’audacia di una dissomiglianza o difformità che li ha resi speciali,
Accettati solo se divengono violenti e invisibili se scomodi.
Le loro intelligenze, sporadiche e visibili per pochi, fatte da sorrisi come risposte esaustive, sono perle senza guscio.
La diversità che poi non è altro che un comportamento o un atteggiamento gioioso, libero e intelligentemente fanciullesco, è considerato strano o “ folle”.

La pazzia: una voce flebile che penetra tacita nei meandri della ragione per poi farsi eco nelle azioni.
In questo film ho riscontrato questa linea sottile, questo piccolo divario che separa la ragione con la pazzia, perché in questa trappola potremmo caderci tutti.

Concludo con una mia poesia.

PAZZIA

Lentamente ti inietti
imbevi la mia sanità
la sbucci
come ossa senza pelle.
L'estremità del mio pensiero
si ricurvano dentro me.
Uncini
bucano la mia coscienza.
Irriverente
penetri i miei approcci
rastrelli le mie proiezioni
parli con me
ma
senza di me.

 

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Una mamma, una moglie, una figlia ... un'amica, una nonna, una sorella... un'amante, una zia, una collega...LA DONNA!
Tante vesti, tanti volti ma un solo cuore che sappia rendere unico e magico ogni suo ruolo, sempre appropriato e mai scontato, mai fuori le righe.
Si ricorda di lei solo nel mese di marzo, giornata internazionale della donna, quando invece dovremmo in ogni tempo che abbia vissuto storie e sognato vite esser presenti e onorati della sua esistenza. Nel mese delle mimose si ricordano le lotte sociali e politiche che le donne hanno dovuto affrontare per migliorare le loro condizioni e lo facciamo SOLO l'8 di marzo ed è già questa una violenza gratuita verso il loro rispetto e la loro dignità .
Essere donne non significa pretendere un ruolo privilegiato nel mosaico del mondo ma viverlo alle pari opportunità con l'uomo e nella complicità con lui trovare l'equilibrio che renda tutto ... normalità .
CHI ARMA LA MANO DISARMA LA VITA DEL SUO ONORE... ricorda uomo che una donna va spogliata con i modi e non con le mani.
(Fabio De Cuia)

 

 

di Annamaria Emilia Verre

Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della società”. (Rita Levi Montalcini)

Oggi 8 Marzo ricorre la Giornata Internazionale Dei diritti della Donna meglio conosciuta come “Festa delle donne”. Tale accezione comune, in realtà, risulta essere impropria: questa giornata, infatti, è dedicata al ricordo e alla riflessione sulle conquiste politiche, sociali, economiche del genere femminile e a tutto ciò che le donne hanno dovuto affrontare affinché la loro voce venisse ascoltata. L’8 Marzo era, quindi, una giornata di lotta, specialmente nell’ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli.
Le sue origini sono molto controverse. Alcune fonti la fanno risalire a una tragedia accaduta nel 1908, che vede come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York rimaste uccise da un incendio. Si tratta, in realtà, di una leggenda, un adattamento ad un episodio realmente accaduto, ma con tempi e modalità differenti. Altre fonti citano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857. La sua nascita ebbe, in realtà, una genesi molto più “ordinaria” legata al clima politico di inizio ‘900, quando la popolazione femminile iniziò a manifestare per reclamare maggiori diritti, in primis il diritto al voto

 

Negli Stati Uniti la prima Giornata della Donna si ebbe il 23 Febbraio 1909, in seguito alla Conferenza del Partito Socialista, ribattezzata “Woman’s day”, tenutasi a Chicago nell’anno precedente, nella quale venne trattato lo sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, le discriminazioni sessuali, la rivendicazione del voto alle donne. Su tale scia negli anni successivi venne istituita a Copenaghen la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste, nella quale fu proposto di istituire a livello mondiale, una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. Per vari anni la Giornata della Donna fu celebrata in giorni diversi nei vari Paesi del mondo. Mentre, l’8 Marzo divenne la data più diffusa in seguito alla decisione presa nella Seconda Conferenza Internazionale, tenutasi a Mosca nel 1921, nella quale venne istituita "La Giornata Internazionale dell’Operaia”. Tale data fu adottata in merito a ciò che successe l’8 Marzo 1917 a San Pietroburgo, quando molte donne manifestarono al fine di ottenere “il pane e la pace”. In Italia la “Giornata Internazionale della donna” fu tenuta, per la prima volta, nel 1922, per iniziativa del Partito Comunista Italiano, che la celebrò il 12 Marzo, prima domenica successiva al fatidico 8 Marzo. Nel settembre del 1944, si creò a Roma l’Unione Donne Italiane (UDI). Fu proprio quest’ultimo a decidere di celebrare il successivo 8 Marzo del 1945, nelle zone dell’Italia liberate dal fascismo: “La giornata della donna”. Solo nel 1946, fu introdotta la mimosa quale simbolo di questa giornata. Furono tre ex combattenti, iscritte all’UDI, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei a scegliere i fiori di mimosa come simbolo per “la Giornata Internazionale della donna di lotta e di festa”, questa la definizione originale. La mimosa fu scelta non per un significato simbolico particolare, ma perché è un fiore che sboccia presto, alla fine dell’inverno, proprio in questo momento dell’anno. Si disse: “Noi giovani donne (…) abbiamo pensato che le mimose in questo periodo sono abbondanti e disponibili a quasi costo zero…”. Simbolo di forza, femminilità, libertà e autonomia, con i suoi fiori giallo oro, rappresenta la potenza e lo splendore, e, nonostante la sua fragilità apparente, è capace di crescere anche su terreni più difficili: perfetto per rappresentare la figura della donna! In Italia si dovrà arrivare agli anni ’70 per vedere la nascita di un vero e proprio movimento femminista. Così, l’8 Marzo 1972 in Piazza Campo de’ Fiori a Roma si tenne la Giornata della Donna. Intorno alla piazza manifestarono poche decine di donne per la rivendicazione dei loro diritti: dal divorzio alla contraccezione fino alla liberazione omosessuale. L’ONU proclamò il 1975 “Anno Internazionale delle Donne”, e l’8 Marzo di quell’anno i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono per ricordare l’importanza dell’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.
L’Ordinamento giuridico italiano prevede diverse disposizioni legislative al fine di garantire la tutela della Donna e della sua condizione sociale. Già i Padri Costituenti, nel 1948, consacrarono tra i Principi fondamentali della Carta Costituzionale “l’eguaglianza tra i sessi” (art. 3 Cost.). Il legislatore ordinario, in seguito alla Riforma del Diritto di famiglia nel 1975, abolì la figura del capofamiglia e dispose la parità dei diritti e doveri tra uomo e donna. Molte norme di diritto del lavoro novellarono quelle già in vigore al fine di evitare ogni forma di disparità di trattamento, anche se queste ultime, sostanzialmente, non sono proprio effettive. Basta pensare che l’ art. 37 della Costituzione sancisce che “ la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e nell’art. 51 si evince che ” tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza …” ,  ancora ,al giorno d’oggi permangono disuguaglianze in ambito lavorativo, politico, sociale ed economico che devono essere pienamente superate. A prescindere dall’aspetto legislativo, oggi, si può veramente parlare di “parità di genere”? Nonostante si cerchi di sensibilizzare l’opinione pubblica su problemi di varia natura che riguardano il sesso femminile, quante donne, ancora oggi subiscono violenze fisiche e psichiche nei vari contesti: familiari, sociali, lavorativi? Quante donne vittime di femminicidio, numero esorbitante, se si pensa al periodo del lockdown stabilito dal governo nello scorso anno per far fronte all’emergenza da covid-19. Quante donne vittime di stalking, di mobbing e oggi, anche, di violenza online? Quante donne che con capacità di resilienza continuano ancora a lottare per sfuggire al loro carnefice e quante di esse subiscono in silenzio. Uno sguardo va rivolto non solo alle donne della porta accanto, ma anche a quelle che vivono in Paesi con culture e tradizioni profondamente diverse da quelle occidentali. Esse sono vittime di torture che agli occhi di una società moderna appaiono inspiegabili. Basta ricordare quelle giovani donne sottoposte a pratiche come la mutilazione genitale, alle spose bambine, le quali vengono private dal loro diritto all’infanzia, tutte quelle donne che si attivano ogni giorno al fine di difendere i diritti umani e vengono recluse, sottoposte a ogni forma di abuso e alle più cruente torture, a tutte coloro private della loro libertà perché sottoposte a loschi traffici internazionali.
L’8 Marzo, riconosciuto nel 1977 dall’Assemblea delle Nazioni Unite quale “ Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la Pace Internazionale”, diviene, così, un’occasione per festeggiare le battaglie vinte e ricordare quelle ancora da combattere. 

Le nozioni storiche sono il frutto di approfondimenti bibliografici e accurate ricerche su fonti autorevoli web.

 

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