di Monica Vendrame
Aveva solo 15 anni quando Mattia Marotta ha deciso di togliersi la vita nel parco della sua città, a Carbonia, nel sud della Sardegna.
I genitori del giovane sono convinti che a spingere il figlio alla disperazione siano state le violenze da lui subite quando frequentava la scuola. Molestato dai suoi compagni ha vissuto nel disagio per anni ed è lì che è iniziata la sua depressione . Subiva continue derisioni e vessazioni, un tragico viaggio nell’angosciosa quotidianità che il ragazzino doveva puntualmente affrontare. Rifiutato e preso in giro per il suo modo di essere, soffriva in silenzio senza riuscire ad evitare gli atteggiamenti indisponenti dei compagni. Probabilmente sentiva su di sé lo sguardo di tutti, li vedeva sorridere quando lo guardavano, soffriva quando veniva isolato. Ma in particolare si è sentito tradito dagli insegnanti che avrebbero dovuto proteggerlo e comprenderlo.
A distanza di 3 mesi dalla morte di Mattia, la mamma Manuela decide di pubblicare una lunghissima lettera di denuncia sul profilo facebook del marito.
Sono parole che fanno male e che invitano a riflettere, a fermarsi un attimo, ad approfondire:
“Questa volta e solo per questa volta desidero essere io, Emanuela mamma di Mattia e moglie di Christian a scrivere qualcosa. Chi mi conosce sa che sono riservata e non amo queste cose. Ma ho bisogno di ringraziare chi ci è vicino, chi ci ha abbracciato, sostenuto e continua a farlo. La nostra famiglia che non ci lascia soli un minuto e i nostri amici più cari, che al pari della nostra famiglia sono sempre silenziosamente accanto a noi. Ho bisogno però anche di fare chiarezza, di togliermi un peso, di ricordare o di spiegare a chi non lo conosceva chi era Mattia.
Mattia era il nostro bambino, aveva 15 anni ed era estremamente intelligente e come tutte le persone particolarmente intelligenti , era tremendamente sensibile. Una sensibilità che lo faceva sentire diverso e non compreso. Ecco chi era Mattia! Gentile ed affettuoso, sensibile, vivace, allegro…. Ma si sentiva anche incompreso, spesso con poca autostima causata da quegli adulti che sin da piccolo lo hanno tormentato, umiliato, bullizzato solo perché non si uniformava ai suoi compagnetti, perché amava abbracciare gli amici o perché stare seduto per sei ore per lui era difficile.
Mattia ci scrive: “Sono morto a 6 anni!” per farci capire che il suo tormento ha origini lontane. In seconda media accade qualcosa, nell’animo sensibile del nostro bambino qualcosa si spezza, non sappiamo cosa sia stato, forse l’esclusione dalla gita scolastica per colpa della disciplina o forse perché si è sentito per l’ennesima volta tradito da quegli adulti che avrebbero dovuto comprenderlo e guidarlo; qualunque cosa sia stato, Mattia ci dice che quell’anno ha capito quanto dolore avesse dentro, e quanto questo lo logorasse. Sì è sentito tanto solo, aveva tolto WhatsApp, perché nessuno dei suoi amici lo chiamava per chiedergli ‘come stai?’. E allora è subentrato il buio della sua stanza e i pianti ogni notte. Da quel momento per il nostro bambino ci sono stati momenti più sereni ed altri più bui, ma qualcosa lo affliggeva, il buio avvolte riprendeva il sopravvento. La scuola che non lo comprendeva, che lui non sentiva sua, che era solo un posto dove si sentiva etichettato e dove doveva uniformarsi.
Mattia in tutto questo tempo ci ha nascosto completamente il suo disagio, solo tra gennaio e febbraio siamo riusciti a percepire che non stava bene e non siamo stati con le mani conserte: abbiamo informato la scuola, contattato un consulente psicologico, cercato di prenotare una visita in neuro psichiatria infantile, abbiamo cercato di chiedere aiuto e purtroppo, per Mattia e per noi, ci siamo scontrati con l‘indifferenza della scuola, con un consulente psicologico che lo ha abbandonato quando il suo supporto si rendeva ancora più necessario e per finire un reparto di neuropsichiatria che mi ha contattata solo il giorno dopo la scomparsa di mio figlio a causa della pessima gestione della mia richiesta di aiuto.
Perché ho raccontato tutto questo? Perché io e mio marito siamo stanchi di sentire che la morte del nostro bambino viene trattata dai nostri concittadini come un pettegolezzo da bar. Mio figlio era un bambino di 15 anni, era deluso dagli adulti, dalle istituzioni , le stesse che non hanno reputato neanche di dover proclamare il lutto cittadino,nonostante il mio bambino abbia scelto un parco cittadino, diventato luogo degradato per porre fine alla sua vita ( non lo ha fatto a caso)! Nostro figlio non era altro che un figlio amatissimo a cui il buio ha tarpato le ali. Nostro figlio poteva essere uno dei vostri figli; il figlio del sindaco, dello psicologo e di chi risponde al maledetto telefono di un reparto di neuropsichiatria infantile. I pensieri di nostro figlio, possono essere quelli dei vostri e loro figli e chiunque potrebbe ritrovarsi come me e Christian, disperati per non essere riusciti a salvare il proprio figlio.
Sono trascorsi tre mesi da quel maledetto giorno, tre mesi in cui noi non ci diamo pace, in cui nostro figlio ci manca come il respiro, sono trascorsi tre mesi e ne passeranno tanti tanti altri in cui noi continueremo a soffrire ma sono passati anche tre mesi che avrebbero dovuto far riflettere, tutti quegli adulti, che in un modo o nell’altro hanno tradito nostro figlio e tradiscono ogni giorno i figli di qualcun altro… Mattia ci ha detto che ci amava…. E solo di questo purtroppo, da quel giorno in poi noi ci potremo nutrire.
Concludo chiedendovi di condividere, nella speranza che qualcuno comprenda quanto sia necessario tacere se non si sa o non si conosce, ma soprattutto portare rispetto ad un bambino di 15 anni che non è riuscito a sopportare il male del mondo. Grazie Emanuela e Christian.”
Leggere questo messaggio è davvero straziante, ci fa immergere nel buio più totale, lo stesso che lentamente ha chiamato a sé Mattia, fino a rapirlo. Impariamo a parlare ai nostri figli, a cercare il loro sguardo, ad abbracciarli quando meno se lo aspettano, a cercare la tenerezza di fronte all'insofferenza. A non arrendersi alla loro desolazione, a difenderli. Con spontaneità e senza giudizio.
E’ importante fargli capire che NON SONO SOLI…MAI.