di Lucia Zappalà
"Un eroe è un normale essere umano che fa la migliore delle cose nella peggiore delle circostanze".
(Joseph Campbell)
Ci sono momenti straordinari in cui le emozioni si accumulano una sull’altra. Momenti indimenticabili. È la storia di Giuseppe Girolamo, l'EROE del naufragio della Costa Concordia: una grande nave da crociera, la città galleggiante da centinaia di milioni di euro e da decine di migliaia di tonnellate. Giuseppe aveva presto lasciato la Puglia, dov'era nato, per andare a vivere nella capitale e lì inseguire i suoi sogni, perché ogni gesto di oggi ha effetti e risultati sul domani e il futuro si deve "fabbricare" un passo dopo l'altro, giorno dopo giorno. Aveva trent'anni; era un ragazzo normale che amava il rock and roll e voleva diventare un batterista di successo. E mentre la sua mente vagava verso interessanti aspettative, per sbarcare il lunario suonava nell'orchestra di quella nave.
Nella vita non tutto si può comandare e il futuro a volte riserva "sorprese non gradite". Un imprevisto a modificare i piani. Un salto nel vuoto, una vicenda inaspettata senza ritorno.
Ricostruiamo gli avvenimenti in ordine di tempo. Le sere a bordo della nave erano tutte uguali.
Anche quella del 13 gennaio del 2012 fu dapprima una sera come le altre. L'orchestra suonava e un clima di festa si diffondeva nella grande sala da pranzo della Costa Concordia. Il batterista Giuseppe Girolamo scandiva il tempo dei brani musicali, deliziando con la sua performance la cena dei passeggeri. Il salone da pranzo era pieno di croceristi che si divertivano fra uno spettacolo e l'altro e fra gli applausi. Gli ufficiali, dinamici e affaccendati, assumevano atteggiamenti esageratamente ammalianti ed affabili con le signore a bordo. Eccelleva fra questi il Capitano Schettino. Qualcosa di diverso accadde però quella sera e non ci fu niente di peggio in quel momento di un’ azione azzardata e pericolosa. Il Comandante congedò i commensali e si avviò verso la plancia. Voleva ostentare ad una ballerina moldava la sua abilità nel realizzare con la sua nave "l'inchino" a un tiro di schioppo dall'Isola del Giglio.
L'orchestra continuava a suonare. Che motivo c’era d’interrompere! Giuseppe con le sue bacchette continuava a percuotere piatti e tamburi. Nessuno pensava di certo che si sarebbe trovato nel bel mezzo di un naufragio. Ad un certo punto un fragore sconvolgente superò notevolmente il suono della batteria e dell'intera orchestra. Un rumore terribile e subito a bordo una straziante e lunghissima vibrazione fu il primo segnale della tragedia. Ci fu un blackout, la nave si piegò su un fianco, solo corridoi e ponti furono evidenziati dai generatori di emergenza. Con la difficile comunicazione fra chi dava ordini e chi doveva eseguirli, fra la leggerezza e la troppa faciloneria dell'equipaggio coinvolto, passò più di un'ora prima che venisse dato l'ordine di portare in acqua le scialuppe. La gente, che aveva indossato i giubbotti salvagente, era in preda al delirio nel tentativo di salire sulle scialuppe, dimenticando ogni sorta di galanteria. Regnava il caos più grande. Quella fu la tragica conclusione della manovra disastrosa del comandante.
Giuseppe seguì gli altri e si precipitò verso le scialuppe quando si sentì un altro rumore inquietante, che non fu ambiguo, che bastò a spaventarlo ancora di più e a fargli capire cosa sarebbe accaduto da lì a poco. Riuscì a salire per fortuna sull'ultima scialuppa a disposizione. Gli sembrò quasi incredibile e, quando fu lì stretto in mezzo agli altri turisti, giunse una voce dietro di lui. La voce di una mamma che urlava, che implorava di salire; di far salire almeno il bambino. Nella scialuppa non c'era più spazio. Non si poteva far salire più nessuno a meno che qualcun'altro non avesse il coraggio di scendere. La paura era enorme, il panico sconfinato e l'egoismo pure. Tutti vollero restare indifferenti a quella donna. Non c'era traccia di generosità sui loro volti. D'altro canto come potremmo condannarli. Erano tutti sordi e indifferenti e con le teste basse quasi a temere che un loro sguardo potesse venire interpretato male. Solo Giuseppe guardò quella donna, mise da parte tutte le paure, dimenticò di non saper nuotare, le si avvicinò, allungò le braccia per prenderle le mani e l'aiutò a salire. Rinunciò al suo posto sulla scialuppa solo per far salire la donna. E così, quella fu la cosa più bella in una notte d’inverno di dieci anni fa. Prima di scendere si fermò a fissare la faccia di quella donna sconosciuta, già raggiante di commozione e gratitudine. Un viso che diceva tutto senza bisogno di parole. Lo sguardo di una mamma che manifestava il grande impulso di stringere subito fra le braccia quel ragazzo buono e ringraziarlo. In quel momento Giuseppe non ebbe la chiarissima consapevolezza della grandiosità del suo gesto, non si gloriò della sua opera. Visse solo qualcosa che gli venne dettato dal cuore, provando una di quelle sensazioni di benessere di cui aveva sentito parlare e che a lui non erano mai toccate fino ad allora.
Il corpo di Giuseppe fu ritrovato in mare e identificato qualche mese dopo il naufragio della Costa Concordia, assieme ai cinque ultimi corpi riportati a galla dai sommozzatori. La donna e il suo bambino, invece, riuscirono a mettersi in salvo.
Giuseppe, quella sera, tirò fuori dal suo intimo un sentimento che diede a quel momento della sua vita un elemento di ALTRUISMO DEGNO DI ESSERE RICORDATO e che noi oggi NON DOBBIAMO e NON POSSIAMO DIMENTICARE.