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di Lucia Lo Bianco

La “Giornata internazionale della donna” è appena trascorsa e gli effetti sono ancora evidenti nei discorsi e negli articoli pubblicati in questi giorni sulla scia dei convegni o dei Reading letterari organizzati in varie parti del paese. Ci si chiede quanto durerà questa sensazione di autoconsapevolezza e di autocritica da parte del genere maschile o quanti altri episodi di violenza o discriminazione continueranno a riempire le nostre cronache.

La storia di quella che viene impropriamente definita “festa” delle donne risale ai primi del ’900 e si riferisce alla tragedia del 1908 in cui  le operaie dell'industria tessile Cotton di New York rimasero uccise da un incendio. Numerosi eventi seguirono nell’ambito della rivendicazione dei diritti della donna per ottenere parità in ambito politico, lavorativo, e familiare. Al VII Congresso della II Internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907 si discusse del voto alle donne. Il 3 maggio 1908 la socialista Corinne Brown  presiedette la Conferenza del Partito socialista a Chicago, che venne ribattezzata "Woman’s Day". Si parlò dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto.

Tra le tante associazioni va ricordata in ambito italiano l’istituzione dell’UDI, Unione Donne Italiane nel settembre 1944 a Roma, momento in cui l’8 marzo nelle zone liberate dell’Italia diventa  la giornata della donna che dal 1946 sarà contrassegnata dalla “mimosa”, fiore simbolo scelto perché di stagione e poco costoso. Sarà poi il 1975 ad essere definito dalle Nazioni Unite come l'Anno Internazionale delle Donne e l'8 marzo del 1977 di quell'anno i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono per ricordare l'importanza dell'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.

Ha ancora un significato questa giornata in un momento in cui il mondo del lavoro è testimone di licenziamenti di donne in stato di gravidanza e in cui le cariche continuano a non essere ugualmente distribuite nei posti chiave? In una fase storica che vede il proliferare di episodi di violenza e femminicidi, alcuni dei quali particolarmente cruenti, resta da chiedersi se non si stia lentamente regredendo nel processo evolutivo del genere umano. Sono ancora troppe le domande senza risposta, troppi gli aspetti della società da cambiare.

La scrittrice inglese Virginia Woolf nel suo scritto “Una stanza tutta per sé” ripercorreva il cammino che aveva lentamente condotto alle conquiste raggiunte dalle donne soffermandosi in particolare sulla produzione artistica. Lo squilibrio ancora esistente tra quanto prodotto da un uomo e quanto, al contrario, da una donna dipendeva a suo avviso dal fatto che le donne nella storia non avevano mai avuto una stanza tutta per loro in cui raccogliere privatamente i propri pensieri.

Fattore da non sottovalutare quello della “privacy”, dell’agognata intimità di sensazioni e sentimenti che le donne hanno per secoli condiviso con la famiglia riuscendo solo poche volte ad estraniarsi in quelli che a ragione vanno definiti come veri momenti creativi. Potrà allora l’arte salvare ed emancipare la donna attraverso ritrovati momenti di sognata libertà?

La protagonista del mio racconto “Le Donne lo Dicono” riesce in un ultimo barlume di lucidità a riflettere sulla sua fine imminente riconoscendo nella sua vicenda il triste ripetersi di uno schema «Doveva davvero morire con l’Isola muta testimone della sua fine? Urlava no, no e ancora no e in un angolo ancora lucido della sua mente albergava la consapevolezza di come la storia fosse destinata a non cambiare mai, leggenda dopo leggenda, secoli dopo secoli, in un susseguirsi e ciclico ripetersi delle stagioni. Fu il cespuglio di agave sulle rocce a sentire il suo ultimo no e ancora no mentre un enorme sasso la colpiva ripetutamente. Ma era no. Le donne lo dicono.» Saranno forse questi episodi di reiterata e feroce violenza l’oscuro segnale di un buio senza luce nel futuro delle donne?

Molti interrogativi senza risposta continuano ad accompagnare le riflessioni nel corso delle giornate a loro dedicate ogni anno per l’8 marzo. Serpeggia però un sentimento di stanchezza ed insofferenza da parte di chi non è più disposto ad aspettare che qualcosa cambi nel corso delle cose. La speranza rimane alla fine che ogni donna decida di prendere in mano le redini della propria esistenza senza chiedere o aspettarsi un cambiamento che forse non avverrà mai. Sarà ognuna di noi, mimose gialle in mano o scarpette rosse ai piedi poco importa, a dare una svolta al proprio destino perché non sia mai più soltanto quello che il mondo di noi vuole.

 

 

La diversità è l’unica bellezza intellettuale che distingue il medesimo pensiero passivo da primizie individuali ardite.
Il crudele pensiero immutabile, indolente, narcisista, diverge dalla naturale, mutabile e modesta relatività. Senza vincoli ridondanti e stanze con porte.
Chi giudica?
Chi bullizza?
Chi fa del suo indice un’arma e del suo pensiero un mandante?
Gli esecutori non sono forse coloro che desistono al generico, univoco e petulante modo di pensare?
Perché emarginati?
Perché scuciti dalla loro stima e cuciti in orli imbastiti di insicurezze?!
Forse potremmo essere noi Joker o potremmo essere gli stessi che hanno forgiato dei mostri attraverso i nostri comportamenti.
Risposte che si delineano nel film Joker del regista Todd Phillips.
Capolavoro e vincitore di due premi Oscar.

In questa foto:
Joaquin Phoenix, l’attore che ha interpretato Joker.
Un ragazzo deriso, bullizzato dalla società.
Indotto al margine, all’isolamento sociale, reso “folle” dal suo vissuto.
Dietro una maschera di clown, il suo intento: far sorridere. In quel medesimo sorriso, divenuto un’isterica risata provocata da un tic nervoso, è stato lentamente lasciato in balia della sua malattia”.

“La cosa peggiore della malattia mentale è che tutti si aspettano che tu ti comporti come se non l’avessi”.

La società, l’indifferenza o la sua uguale differenza intellettuale ai pochi diversi uguali, ha lasciato divenire morte la rabbia e l’audacia di una dissomiglianza o difformità che li ha resi speciali,
Accettati solo se divengono violenti e invisibili se scomodi.
Le loro intelligenze, sporadiche e visibili per pochi, fatte da sorrisi come risposte esaustive, sono perle senza guscio.
La diversità che poi non è altro che un comportamento o un atteggiamento gioioso, libero e intelligentemente fanciullesco, è considerato strano o “ folle”.

La pazzia: una voce flebile che penetra tacita nei meandri della ragione per poi farsi eco nelle azioni.
In questo film ho riscontrato questa linea sottile, questo piccolo divario che separa la ragione con la pazzia, perché in questa trappola potremmo caderci tutti.

Concludo con una mia poesia.

PAZZIA

Lentamente ti inietti
imbevi la mia sanità
la sbucci
come ossa senza pelle.
L'estremità del mio pensiero
si ricurvano dentro me.
Uncini
bucano la mia coscienza.
Irriverente
penetri i miei approcci
rastrelli le mie proiezioni
parli con me
ma
senza di me.

 

 

Una mamma, una moglie, una figlia ... un'amica, una nonna, una sorella... un'amante, una zia, una collega...LA DONNA!
Tante vesti, tanti volti ma un solo cuore che sappia rendere unico e magico ogni suo ruolo, sempre appropriato e mai scontato, mai fuori le righe.
Si ricorda di lei solo nel mese di marzo, giornata internazionale della donna, quando invece dovremmo in ogni tempo che abbia vissuto storie e sognato vite esser presenti e onorati della sua esistenza. Nel mese delle mimose si ricordano le lotte sociali e politiche che le donne hanno dovuto affrontare per migliorare le loro condizioni e lo facciamo SOLO l'8 di marzo ed è già questa una violenza gratuita verso il loro rispetto e la loro dignità .
Essere donne non significa pretendere un ruolo privilegiato nel mosaico del mondo ma viverlo alle pari opportunità con l'uomo e nella complicità con lui trovare l'equilibrio che renda tutto ... normalità .
CHI ARMA LA MANO DISARMA LA VITA DEL SUO ONORE... ricorda uomo che una donna va spogliata con i modi e non con le mani.
(Fabio De Cuia)

 

 

di Annamaria Emilia Verre

Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale della società”. (Rita Levi Montalcini)

Oggi 8 Marzo ricorre la Giornata Internazionale Dei diritti della Donna meglio conosciuta come “Festa delle donne”. Tale accezione comune, in realtà, risulta essere impropria: questa giornata, infatti, è dedicata al ricordo e alla riflessione sulle conquiste politiche, sociali, economiche del genere femminile e a tutto ciò che le donne hanno dovuto affrontare affinché la loro voce venisse ascoltata. L’8 Marzo era, quindi, una giornata di lotta, specialmente nell’ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli.
Le sue origini sono molto controverse. Alcune fonti la fanno risalire a una tragedia accaduta nel 1908, che vede come protagoniste le operaie dell’industria tessile Cotton di New York rimaste uccise da un incendio. Si tratta, in realtà, di una leggenda, un adattamento ad un episodio realmente accaduto, ma con tempi e modalità differenti. Altre fonti citano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857. La sua nascita ebbe, in realtà, una genesi molto più “ordinaria” legata al clima politico di inizio ‘900, quando la popolazione femminile iniziò a manifestare per reclamare maggiori diritti, in primis il diritto al voto

 

Negli Stati Uniti la prima Giornata della Donna si ebbe il 23 Febbraio 1909, in seguito alla Conferenza del Partito Socialista, ribattezzata “Woman’s day”, tenutasi a Chicago nell’anno precedente, nella quale venne trattato lo sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, le discriminazioni sessuali, la rivendicazione del voto alle donne. Su tale scia negli anni successivi venne istituita a Copenaghen la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste, nella quale fu proposto di istituire a livello mondiale, una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. Per vari anni la Giornata della Donna fu celebrata in giorni diversi nei vari Paesi del mondo. Mentre, l’8 Marzo divenne la data più diffusa in seguito alla decisione presa nella Seconda Conferenza Internazionale, tenutasi a Mosca nel 1921, nella quale venne istituita "La Giornata Internazionale dell’Operaia”. Tale data fu adottata in merito a ciò che successe l’8 Marzo 1917 a San Pietroburgo, quando molte donne manifestarono al fine di ottenere “il pane e la pace”. In Italia la “Giornata Internazionale della donna” fu tenuta, per la prima volta, nel 1922, per iniziativa del Partito Comunista Italiano, che la celebrò il 12 Marzo, prima domenica successiva al fatidico 8 Marzo. Nel settembre del 1944, si creò a Roma l’Unione Donne Italiane (UDI). Fu proprio quest’ultimo a decidere di celebrare il successivo 8 Marzo del 1945, nelle zone dell’Italia liberate dal fascismo: “La giornata della donna”. Solo nel 1946, fu introdotta la mimosa quale simbolo di questa giornata. Furono tre ex combattenti, iscritte all’UDI, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei a scegliere i fiori di mimosa come simbolo per “la Giornata Internazionale della donna di lotta e di festa”, questa la definizione originale. La mimosa fu scelta non per un significato simbolico particolare, ma perché è un fiore che sboccia presto, alla fine dell’inverno, proprio in questo momento dell’anno. Si disse: “Noi giovani donne (…) abbiamo pensato che le mimose in questo periodo sono abbondanti e disponibili a quasi costo zero…”. Simbolo di forza, femminilità, libertà e autonomia, con i suoi fiori giallo oro, rappresenta la potenza e lo splendore, e, nonostante la sua fragilità apparente, è capace di crescere anche su terreni più difficili: perfetto per rappresentare la figura della donna! In Italia si dovrà arrivare agli anni ’70 per vedere la nascita di un vero e proprio movimento femminista. Così, l’8 Marzo 1972 in Piazza Campo de’ Fiori a Roma si tenne la Giornata della Donna. Intorno alla piazza manifestarono poche decine di donne per la rivendicazione dei loro diritti: dal divorzio alla contraccezione fino alla liberazione omosessuale. L’ONU proclamò il 1975 “Anno Internazionale delle Donne”, e l’8 Marzo di quell’anno i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono per ricordare l’importanza dell’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.
L’Ordinamento giuridico italiano prevede diverse disposizioni legislative al fine di garantire la tutela della Donna e della sua condizione sociale. Già i Padri Costituenti, nel 1948, consacrarono tra i Principi fondamentali della Carta Costituzionale “l’eguaglianza tra i sessi” (art. 3 Cost.). Il legislatore ordinario, in seguito alla Riforma del Diritto di famiglia nel 1975, abolì la figura del capofamiglia e dispose la parità dei diritti e doveri tra uomo e donna. Molte norme di diritto del lavoro novellarono quelle già in vigore al fine di evitare ogni forma di disparità di trattamento, anche se queste ultime, sostanzialmente, non sono proprio effettive. Basta pensare che l’ art. 37 della Costituzione sancisce che “ la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e nell’art. 51 si evince che ” tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza …” ,  ancora ,al giorno d’oggi permangono disuguaglianze in ambito lavorativo, politico, sociale ed economico che devono essere pienamente superate. A prescindere dall’aspetto legislativo, oggi, si può veramente parlare di “parità di genere”? Nonostante si cerchi di sensibilizzare l’opinione pubblica su problemi di varia natura che riguardano il sesso femminile, quante donne, ancora oggi subiscono violenze fisiche e psichiche nei vari contesti: familiari, sociali, lavorativi? Quante donne vittime di femminicidio, numero esorbitante, se si pensa al periodo del lockdown stabilito dal governo nello scorso anno per far fronte all’emergenza da covid-19. Quante donne vittime di stalking, di mobbing e oggi, anche, di violenza online? Quante donne che con capacità di resilienza continuano ancora a lottare per sfuggire al loro carnefice e quante di esse subiscono in silenzio. Uno sguardo va rivolto non solo alle donne della porta accanto, ma anche a quelle che vivono in Paesi con culture e tradizioni profondamente diverse da quelle occidentali. Esse sono vittime di torture che agli occhi di una società moderna appaiono inspiegabili. Basta ricordare quelle giovani donne sottoposte a pratiche come la mutilazione genitale, alle spose bambine, le quali vengono private dal loro diritto all’infanzia, tutte quelle donne che si attivano ogni giorno al fine di difendere i diritti umani e vengono recluse, sottoposte a ogni forma di abuso e alle più cruente torture, a tutte coloro private della loro libertà perché sottoposte a loschi traffici internazionali.
L’8 Marzo, riconosciuto nel 1977 dall’Assemblea delle Nazioni Unite quale “ Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la Pace Internazionale”, diviene, così, un’occasione per festeggiare le battaglie vinte e ricordare quelle ancora da combattere. 

Le nozioni storiche sono il frutto di approfondimenti bibliografici e accurate ricerche su fonti autorevoli web.

 

 

L’emergenza sanitaria Covid-19 che sta tragicamente vivendo il nostro paese e non solo, ha inevitabilmente coinvolto anche la scuola che si è trovata, senza essere preparata e fornita di strumenti adeguati a gestire l’emergenza cercando di garantire la propria funzione educativa.
Per altro lo stesso DPCM nella nota n. 388 del 17.03.2020 sottolineava la necessità che la scuola si riorganizzasse al fine di rispondere, con senso di responsabilità a questa situazione imprevista affinché la lontananza non significasse per gli studenti abbandono.
L’introduzione quindi della didattica a distanza o, più comunemente DAD ha cercato di garantire, mantenendo sempre vivo il senso di appartenenza alla comunità scolastica, il diritto allo studio ed all’acquisizione di quei valori sanciti dalla nostra Costituzione. A distanza di quasi un anno ormai e facendo seguito alle molteplici osservazioni emerse in merito nonché dalla volontà di moltissimi studenti di voler tornare alle lezioni in presenza, vale la pena esprimere qualche considerazione sugli aspetti più rilevanti di questa esperienza.
Premesso tuttavia che la DAD ha permesso comunque ai nostri alunni di poter concludere l’anno scolastico con una certa serenità anche grazie alla straordinaria capacità degli insegnanti di modificare l’intervento didattico adeguandolo alla nuova realtà, sul piano pratico è emerso che:


Partecipare e studiare a distanza presuppone una certa disponibilità di strumenti informatici adeguati di cui non tutte le famiglie sono in possesso, specialmente laddove ci sono ragazzi di età e classi diverse;
• Didattica a distanza implica una discreta dimestichezza nell’impiego degli strumenti informatici competenze che molte famiglie ancora non hanno;
• Gli alunni della scuola dell’infanzia e della scuola primaria non sono ancora autonomi nell’uso e nella gestione degli strumenti informatici per cui necessitano della presenza costante di un adulto per seguire le lezioni;
• Lo stesso vale per gli alunni con problemi di apprendimento, di comportamento e/o in situazioni di svantaggio;
sul piano didattico, inoltre la DAD:
• Non garantisce e non favorisce l’uguaglianza e l’omogeneità degli apprendimenti;
• Riduce la distanza tra gli alunni mettendoli sullo stesso piano anzi, non tiene in conto le fasce più deboli che rischiano di essere escluse;
• I bambini più piccoli, ore ed ore davanti ad un computer rischiano quel senso di isolamento sociale che potrebbe generare disaffezione, disadattamento, mancanza di stimolo. Questo anche perché vivono un’età in cui è fondamentale il bisogno costante di operare,sperimentare,confrontarsi,simulare situazioni nuove e significative, relazionarsi e giocare e, soprattutto avere una figura di riferimento che possa guidarli rassicurandoli sui progressi e stimolandoli in caso di insuccesso. Anche nei ragazzi più grandi, da quanto emerso di recente, si registrano casi di disagio psicologico, disaffezione senso di abbandono;
• Rischio, per i docenti di trasformarsi in tecnici,in asettici somministratori di compiti ed esercitazioni facendo si che l’eccessivo carico cognitivo possa risultare opprimente piuttosto che stimolante e gratificante.

 

 

Da quanto evidenziato emerge che la DAD, le piattaforme, le App e tutti i programmi specifici di apprendimento (classroom- google meet- calender e via dicendo) sono strumenti preziosissimi in quanto le informazioni sono immediate,fruibili in tempo reale da tutti tanto che basta un semplice click per avere a portata di mano un universo di dati, sono alleati che possono stimolare, arricchire, facilitare persino l’insegnamento e l’assunzione di competenze attraverso vari canali ma da soli non bastano. La conoscenza infatti, si acquisisce e si identifica esclusivamente con la relazione sociale, con la comunicazione verbale e non verbale, con la dialettica del contrasto e l’interscambio di idee e concetti, apprendere è interiorizzare il mondo ma, soprattutto dominarlo con l’intelligenza e le capacità personali. Se è vero che l’alunno entrando in una società digitalizzata deve essere preparato a ciò che la società gli chiede in termini di competenze e altrettanto vero che l’alunno deve riconoscersi come persona, come soggetto consapevole ed in grado di modificare la società stessa perché da questo nasce il progresso. La tecnologia è un effetto non la causa è uno strumento al servizio dell’uomo non viceversa! La società è in continuo mutamento e se anche la scuola deve adeguarsi alle nuove esigenze che la realtà richiede, deve farlo sempre tenendo presente che l’uomo non è un prodotto finito della cultura ma è pensiero infinito, creativo sovversivo per certi aspetti ma è così che si arriva al progresso. Solo non adeguandosi in modo pedissequo alla società reale ma modificandola si determina il cammino della civiltà.” La misura dell’intelligenza è la capacità di cambiare” Albert Einstein.
E non è un caso che proprio la DAD abbia contribuito a rivalutare e rendere giustizia alla figura dell’insegnante, figura che in un’ottica futura dovrebbe essere adombrata dal dominio incontrastato della tecnologia. Molte famiglie infatti, nel tempo hanno preso coscienza della complessità del ruolo e di tutti gli impegni di cui i docenti si fanno carico nel loro lavoro. E questo senza contare quanto non spendono sul piano relazionale e metodologico affinché l’apprendimento risulti efficace e fecondo. Il rapporto docente - alunno è e resta un rapporto unico ed imprescindibile e le molte rivendicazioni degli studenti nel voler riprendere le lezioni in presenza, lo hanno ampiamente dimostrato. La stessa storia del pensiero filosofico occidentale peraltro è segnata, sul piano educativo, dalla religiosità, dalla sacralità di questo rapporto come causa ed effetto di tutto l’apprendimento. Come non ricordare fra i tanti Socrate, Comenio, Sant’Agostino Locke per i quali l’allievo ha già in se la conoscenza ma ha bisogno del dialogo, dell’interazione con il maestro per arrivare dalla conoscenza ai concetti morali, alla verità. Lo stesso Quintiliano nella sua “ Istitutio Oratoria” (96-93 DC) afferma che tutti possiamo imparare se curati e guidati e traccia del maestro alcune linee guida che ancora oggi sono solidissime (Institutio Oratoria II° 2-4-8).
Questo perché insegnare non è solo trasmettere conoscenza ma soprattutto educare, tendere ai valori e al bene universale. Se tutto ciò che intorno a noi è “occasione” di crescita intellettuale e culturale è altrettanto vero che la conoscenza deve essere orientata su binari che portino a scelte consapevoli, eticamente riconosciute come tali. Tanto più l’uomo è capace di scelte consapevoli tanto più è libero. E’ questo, un aspetto che nessun sistema informatico può cogliere. La DAD nel processo di apprendimento indubbiamente è un potenziale didattico da non trascurare ma non può sostituire quel coinvolgimento emotivo empatico, sociale morale che si stabilisce tra docenti ed alunni. Tuttavia bisogna ammettere che la didattica a distanza è stata forse un ottimo banco di prova per capire ed orientare meglio le scuole del domani. Ci ha offerto occasioni nuove per far riflettere sul ruolo del docente e sui benefici della didattica in presenza, elementi imprescindibili per un apprendimento consapevole. Gli strumenti informatici sono e restano un valore aggiunto nel processo di apprendimento in quanto offrono una molteplicità di approcci didattici ed un potenziale di tutto rispetto nella veicolazione di contenuti e nella strutturazione di attività didattiche specifiche. L’importante deve essere che lo strumento non sostituisca l’uomo perché è stato l’uomo a crearlo forse……”un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i nostri problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno” (Albert Einstein) ma noi speriamo sempre di continuare a porre problemi anche perché “ la tecnologia dovrebbe migliorare la tua vita non diventare la tua vita” (Harvey B. Mackay) e su questo credo siamo tutti d’accordo.

 

 

Monica Biaggini, impiegata in un Ipermercato genovese da 22 anni


Dopo che è trascorso quasi un anno da quel maledetto giorno posso affermare che...

È così che inizia la sua intervista a “due mani”, lei una delle tante cassiere addette di ipermercato, che si sono trovate ad essere travolte, in ogni aspetto del proprio essere, da questo flagello per l’umanità intera chiamato “COVID”.

- Quando ti sei resa conto che questa sarebbe stata una situazione poco gestibile e che stava scappando di mano?
«Faccio l’addetta alla cassa in questo ipermercato ligure da circa 22 anni e di situazioni “difficili” ne ho visto ed attraversato più di una, un esempio per tutti è quello del crollo del “ponte Morandi” con tutte le conseguenze che ha avuto, umane ed economiche, questa situazione però aveva un altro “sapore” era meno gestibile. Ci siamo trovati, i primi giorni dall’inizio della pandemia, a dover gestire una quantità di clienti altissima, clienti presi da una “smania” di corsa alle provviste, una fobia di accaparramento di ogni tipo di derrata alimentare, farina lievito erano diventati i più gettonati e introvabili, tra gli scaffali sembrava fosse scoppiata la guerra, non si aveva nemmeno il tempo di caricare la merce».

- Cosa hai pensato in quel momento?
«Ad essere sincera il tempo per pensare era poco, le sensazioni erano altalenanti, si rincorrevano, si aggregavano e si intricavano a seconda di quello che ci giungeva alle orecchie dai vari mezzi di comunicazione, la paura comunque prendeva sempre il sopravvento, si cercava di tutelarci in qualche modo con dispositivi di fortuna (mascherine, guanti, disinfettanti) arrivando alla fine di ogni turno stanchi e stremati».

- Hai parlato di paure; quali sono prevalse e quali ancora ti stai portando dietro?
«Si aveva paura per noi ma soprattutto per i famigliari che erano a casa, figli genitori, avevamo paura di portarlo a casa il “COVID”. La paura era la nostra e anche quella della gente, quella gente che affollava ogni giorno le corsie dell’ipermercato, che si proteggeva con dispositivi di fortuna, mascherine fatte con carta da forno coperti perfino con sacchetti dell’immondizia; una cosa però ci accomunava: avevamo, tutti, lo sguardo smarrito. Era la paura dell’ignoto, dello sconosciuto, quel virus venuto da lontano del quale poco o niente si sapeva. Le paure continuano ad esistere, il virus muta, le varianti sono tante e non si vede per ora la luce in fondo al tunnel».

 

 

- Come ti sei / ti hanno tutelata?
«Devo dire che all’inizio c’è stata un po' di confusione non si sapeva cosa fare, che comportamento tenere, devo dire però che l’azienda per la quale lavoro ha cercato subito di trovare protezioni e soluzioni per mettere in sicurezza sia i suoi dipendenti che i clienti, e ancora oggi lo sta facendo cercando di stare al passo con tutte le regole imposte giornalmente. Ha investito in barriere di plexiglass, in dispositivi sanificanti, creato percorsi mirati, segnaletiche orizzontali e verticali, ecc.. Non è stato semplice adattarsi, anzi molti ancora oggi a distanza di un anno fanno fatica. C’è stato un enorme potenziamento dei servizi alternativi tipo taglia coda locker drive».

- Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«In primis mi ha lasciato la consapevolezza che la nostra “normalità” è andata persa, quella libertà che ognuno di noi non si rendeva neppure conto di avere. E’ stata ed è ancora una esperienza forte che mi ha fatto apprezzare di più alcuni lati della vita, come tutto può cambiare all’improvviso, come sia importante un abbraccio, una carezza, un sorriso. Ho imparato a guadare le persone negli occhi, anche se spesso in alcuni di loro leggo ancora rabbia e frustrazione. In contrapposizione a questi, tanti sono stati i clienti che ci hanno ringraziato per il nostro servizio, svolto sempre con la massima professionalità nonostante tu tto».

- Cosa speri?
«La mia speranza è quella di tutti, uscire presto da questo brutto sogno, di tornare presto alla normalità, spero che nessuno muoia più a causa di questo virus e come “anima sola senza saluto”, spero che i vaccini siano a disposizione di tutti, in primis delle categorie a rischio (dottori, infermieri, professori, ecc..), ma che per una volta si pensasse, senza nulla togliere alle categorie sopra, che anche noi addetti di supermercato siamo giornalmente a rischio. Spero che l’economia si rialzi ridando lavoro a chi da un giorno all’altro si e trovato a non averlo più. Realisticamente però mi rendo conto che il sistema forse non abbia ancora certezze, che non ci sia ancora la garanzia dei vaccini per tutti, insomma che la strada purtroppo sia ancora lunga e tortuosa. Concludo con un ringraziamento a tutti quelli che da un anno operano in prima linea e un pensiero a chi purtroppo non ce l’ha fatta».

Monica Maria Biaggini

 

 

Due mari , due città, due priorità salute e lavoro... antagonisti non per scelta ma per la vita dove l'empatia non regge la scelta ma d' interesse il conflitto . Bellissima nel suo abito da sera tra luci, ombre e silenzi , il cielo fumè ne fa da cornice, così cala la notte sulle vesti bianche e sulle scarpe rosse mentre la verità cerca ancora via tra le menzogne della vita .

Davide e Golia , il fanciullo che sconfisse il gigante per mano di una fionda, qui nella Taranto che lotta non occorre armare la furbizia, perché già di essa per volontà loro ne patisce ma rendere astuta la forza di una città che non molla per amore!

Un altro eroe oggi ha dovuto lasciare la notizia ... per la storia !

 

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