Sarò rossa, sarò gialla: sarò come tu mi vuoi
di Lucia Lo Bianco
La “Giornata internazionale della donna” è appena trascorsa e gli effetti sono ancora evidenti nei discorsi e negli articoli pubblicati in questi giorni sulla scia dei convegni o dei Reading letterari organizzati in varie parti del paese. Ci si chiede quanto durerà questa sensazione di autoconsapevolezza e di autocritica da parte del genere maschile o quanti altri episodi di violenza o discriminazione continueranno a riempire le nostre cronache.
La storia di quella che viene impropriamente definita “festa” delle donne risale ai primi del ’900 e si riferisce alla tragedia del 1908 in cui le operaie dell'industria tessile Cotton di New York rimasero uccise da un incendio. Numerosi eventi seguirono nell’ambito della rivendicazione dei diritti della donna per ottenere parità in ambito politico, lavorativo, e familiare. Al VII Congresso della II Internazionale socialista svoltosi a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907 si discusse del voto alle donne. Il 3 maggio 1908 la socialista Corinne Brown presiedette la Conferenza del Partito socialista a Chicago, che venne ribattezzata "Woman’s Day". Si parlò dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto.
Tra le tante associazioni va ricordata in ambito italiano l’istituzione dell’UDI, Unione Donne Italiane nel settembre 1944 a Roma, momento in cui l’8 marzo nelle zone liberate dell’Italia diventa la giornata della donna che dal 1946 sarà contrassegnata dalla “mimosa”, fiore simbolo scelto perché di stagione e poco costoso. Sarà poi il 1975 ad essere definito dalle Nazioni Unite come l'Anno Internazionale delle Donne e l'8 marzo del 1977 di quell'anno i movimenti femministi di tutto il mondo manifestarono per ricordare l'importanza dell'uguaglianza dei diritti tra uomini e donne.
Ha ancora un significato questa giornata in un momento in cui il mondo del lavoro è testimone di licenziamenti di donne in stato di gravidanza e in cui le cariche continuano a non essere ugualmente distribuite nei posti chiave? In una fase storica che vede il proliferare di episodi di violenza e femminicidi, alcuni dei quali particolarmente cruenti, resta da chiedersi se non si stia lentamente regredendo nel processo evolutivo del genere umano. Sono ancora troppe le domande senza risposta, troppi gli aspetti della società da cambiare.
La scrittrice inglese Virginia Woolf nel suo scritto “Una stanza tutta per sé” ripercorreva il cammino che aveva lentamente condotto alle conquiste raggiunte dalle donne soffermandosi in particolare sulla produzione artistica. Lo squilibrio ancora esistente tra quanto prodotto da un uomo e quanto, al contrario, da una donna dipendeva a suo avviso dal fatto che le donne nella storia non avevano mai avuto una stanza tutta per loro in cui raccogliere privatamente i propri pensieri.
Fattore da non sottovalutare quello della “privacy”, dell’agognata intimità di sensazioni e sentimenti che le donne hanno per secoli condiviso con la famiglia riuscendo solo poche volte ad estraniarsi in quelli che a ragione vanno definiti come veri momenti creativi. Potrà allora l’arte salvare ed emancipare la donna attraverso ritrovati momenti di sognata libertà?
La protagonista del mio racconto “Le Donne lo Dicono” riesce in un ultimo barlume di lucidità a riflettere sulla sua fine imminente riconoscendo nella sua vicenda il triste ripetersi di uno schema «Doveva davvero morire con l’Isola muta testimone della sua fine? Urlava no, no e ancora no e in un angolo ancora lucido della sua mente albergava la consapevolezza di come la storia fosse destinata a non cambiare mai, leggenda dopo leggenda, secoli dopo secoli, in un susseguirsi e ciclico ripetersi delle stagioni. Fu il cespuglio di agave sulle rocce a sentire il suo ultimo no e ancora no mentre un enorme sasso la colpiva ripetutamente. Ma era no. Le donne lo dicono.» Saranno forse questi episodi di reiterata e feroce violenza l’oscuro segnale di un buio senza luce nel futuro delle donne?
Molti interrogativi senza risposta continuano ad accompagnare le riflessioni nel corso delle giornate a loro dedicate ogni anno per l’8 marzo. Serpeggia però un sentimento di stanchezza ed insofferenza da parte di chi non è più disposto ad aspettare che qualcosa cambi nel corso delle cose. La speranza rimane alla fine che ogni donna decida di prendere in mano le redini della propria esistenza senza chiedere o aspettarsi un cambiamento che forse non avverrà mai. Sarà ognuna di noi, mimose gialle in mano o scarpette rosse ai piedi poco importa, a dare una svolta al proprio destino perché non sia mai più soltanto quello che il mondo di noi vuole.