di Massimo Reina
C’è una nuova inquisizione in città. Non si veste di nero, non impugna croci né minaccia roghi in piazza, ma il suo effetto è il medesimo: il silenzio di chi dissente. È il politicamente corretto, signore e signori, l’ultimo ritrovato per mascherare l’ipocrisia dietro una parvenza di virtù. Un tema scottante, che Alain de Benoist affronta con rara lucidità nel suo libro La nuova censura, uno di quei testi che rischia di diventare clandestino proprio perché dice ciò che tutti pensano ma nessuno osa dire.
Un’invasione di buonismo tossico
Il politicamente corretto è nato – o almeno così ci hanno raccontato – per evitare discriminazioni, offese gratuite, insulti. Nobile intento, non c’è dubbio. Peccato che, nel tempo, si sia trasformato in una sorta di Prozac sociale: azzera i conflitti, uniforma le idee e, quel che è peggio, anestetizza il pensiero critico. D’altronde, come ricorda De Benoist, «il linguaggio non è mai neutro»: chi controlla le parole, controlla le idee, e chi controlla le idee, controlla la società. Basta aggiungere una dose massiccia di buonismo tossico ed ecco servito il cocktail perfetto per soffocare qualsiasi forma di dissenso.
Oggi, nel nome del politicamente corretto, si riscrive la storia, si epura la cultura, si censurano libri e film. Si discute più del genere di un personaggio letterario che della qualità della sua scrittura. Si corre il rischio, paradossalmente, di perpetuare le stesse discriminazioni che si vorrebbero combattere: chi pensa diversamente diventa un “pericoloso reazionario”, un “intollerante”, un “nemico del progresso”. In altre parole, un bersaglio da eliminare.
Censura woke: combattere gli stereotipi creandone altri
De Benoist lo spiega bene: «La tolleranza non è l’eliminazione delle differenze, ma la capacità di gestirle e accettarle, anche quando sono scomode». Ecco il punto: l’omologazione non è sinonimo di progresso, ma di stagnazione. Una società democratica non cresce schiacciando il dissenso, ma aprendosi al confronto, anche – e soprattutto – con chi dice cose che ci disturbano. E invece, viviamo in un’epoca in cui tutto ciò che urta la sensibilità di qualcuno viene censurato, rimosso, nascosto. Una nuova forma di dittatura, travestita da emancipazione.
La nuova censura non è un libro facile, e nemmeno comodo. È un pugno nello stomaco per chi ancora crede nella libertà di espressione, nel diritto al dissenso, nella pluralità delle idee. Ma è anche un invito a svegliarsi, a smettere di piegarsi al diktat del politicamente corretto e a riprendere il controllo del nostro pensiero. Perché, come scrive De Benoist, «una società che non tollera il dissenso è una società che non tollera se stessa».
Un testo essenziale, dunque, per chiunque abbia ancora il coraggio di pensare con la propria testa e non con quella degli altri. Ma attenzione: leggerlo potrebbe risultare offensivo per i censori del pensiero unico. E forse, proprio per questo, è una lettura imprescindibile.